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Amnesty: al card. Bagnasco, 'mai definito l'aborto un diritto'
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Amnesty International risponde con una lettera indirizzata al presidente della Cei, card. Angelo Bagnasco, che ieri nella sua prolusione in apertura dei lavori del Consiglio Episcopale Permanente aveva fatto riferimento all'associazione parlando della "clamorosa inclusione" - che secondo il cardinale sarebbe stata operata da Amnesty - "tra i diritti umani riconosciuti, della scelta di aborto, magari anche solo nei casi di violenza compiuta sulla donna".
"Ogni attentato alla vita, alla famiglia, alla libertà educativa, alla giustizia e alla pace⅀ troverà sempre una parola rispettosa e chiara da parte della Chiesa" - aveva detto il card. Bagnasco nella sua prolusione. E proseguiva: "Mi si permetta, al riguardo, un rapido ma accorato riferimento allo scenario internazionale. Ossia, alla vicenda che, nelle ultime settimane, ha visto protagonista Amnesty International, a proposito della clamorosa inclusione, tra i diritti umani riconosciuti, della scelta di aborto, magari anche solo nei casi di violenza compiuta sulla donna. Sono derive che ci rendono ulteriormente avvertiti del pericoloso sgretolamento a cui sono sottoposte le consapevolezze umane anche più evidenti, e della necessità quindi di una presenza qualificata a contrastare simili esiti".
Alle parole del cardinale risponde oggi il presidente della Sezione italiana di Amnesty International, Paolo Pobbiati, ricordando le "numerose precisazioni e smentite" che l'organizzazione ha fatto nell'ultimo mese - "e che, peraltro, il quotidiano Avvenire ha rifiutato di pubblicare, in spregio al diritto di replica" - all'affernazione che il cardinale attribuisce ad Amnesty International. "Un'affermazione mai fatta: che l'aborto sia stato da noi considerato un diritto umano" - sottolinea Pobbiati.
"La nostra associazione - prosegue la lettera di Pobbiati - dopo tre anni di ricerca e di missioni in paesi in cui la violenza sulle donne è tanto diffusa ed endemica quanto impunita, ha voluto prendere le difese delle migliaia e migliaia di donne che ogni anno subiscono stupri (sulle nostre strade, durante le guerre così come nei tanti Darfur che hanno luogo tra le mura domestiche) e delle migliaia e migliaia di donne che vanno in carcere o rischiano la pena di morte per aver cercato di interrompere una gravidanza a seguito di violenza sessuale o perché essa mette a rischio la loro vita o quella del nascituro. Donne derise e umiliate, cui viene negata giustizia, che vedono i loro stupratori girare impuniti, davanti al portone di casa o a un campo profughi".
"Alla violenza devastante dello stupro - prosegue il presidente di Amnesty - queste donne devono aggiungere quella che poi ricevono dalla comunità di origine, che spesso le considera impure o addirittura responsabili di ciò che hanno subito. Vengono isolate, allontanate, picchiate e talora uccise". "In tali condizioni, quali argomenti si possono imporre a una donna che sceglie di non portare avanti una gravidanza frutto di violenza, magari subita da quegli stessi uomini che un attimo prima hanno massacrato, davanti ai suoi occhi, il marito e i figli?" - chiede l'associazione.
Il presidente di Amnesty poi prosegue ricordando che "quella che Le ho descritto è la realtà che molte missioni di ricerca di Amnesty International hanno conosciuto, nel corso della nostra campagna 'Mai più violenza sulle donne'. "Una realtà che ha portato due milioni di soci a scegliere di prendere una posizione. Amnesty International non auspica, non chiede che una donna violentata abortisca, ma se decide di farlo, vogliamo che non sia obbligata a rischiare la propria salute. Chiediamo, inoltre, che non finisca in prigione per aver preso quella decisione".
Pobbiati ricorda quindi che "Amnesty International ha deciso di profondere il massimo impegno per eliminare le condizioni che favoriscono la violenza sessuale nei confronti di centinaia di migliaia di donne ogni anno. Come abbiamo ribadito anche nel corso del nostro Consiglio internazionale, svoltosi ad agosto in Messico, Amnesty International lavorerà per contrastare tutti quei fattori che favoriscono gravidanze indesiderate o che contribuiscono a portare una donna a scegliere di abortire".
"Questo è il cuore della posizione di Amnesty International, che però non trova menzione nelle Sue parole di ieri né nelle precedenti dichiarazioni di altri autorevolissimi esponenti della Chiesa Cattolica" - sottolinea Pobbiati. Il presidente di Amnesty ricorda infine al cardinale che "Amnesty International non ha mai ricevuto, poiché a norma del suo Statuto non potrebbe mai sollecitarli né accettarli, finanziamenti dalla Santa Sede. La 'sospensione' di tali finanziamenti è tuttavia riportata oggi da alcuni organi di stampa, nel contesto delle critiche che Ella ha rivolto alla nostra associazione" - conclude Pobbiati.
Amnesty International aveva già replicato ad agosto al Segretario di Stato del Vaticano, cardinal Tarcisio Bertone, che in un'intervista a Radio vaticana aveva parlato del presunto riconoscimento di Amnesty dell'aborto come "diritto umano in caso di stupro" e precedentemente al cardinal Martino, presidente del Pontificio Consiglio 'Giustizia e pace', che aveva parlato di "svolta abortista" compiuta dall'associazione e aveva annunciato la "sospensione di ogni finanziamento a Amnesty da parte delle organizzazioni cattoliche". [GB]