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Amazzonia: ricordati di Cico, di Raimundo, di Semião …
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“I signori della morte hanno detto sì, l’albero più bello è stato abbattuto. I signori della morte non vogliono capire, non si uccide la vita, la memoria resta”. Così cantavano i Nomadi ricordando Chico Mendes il sindacalista, politico e ambientalista brasiliano ucciso a colpi di pistola il 22 dicembre 1988, colpevole di difendere la foresta dello stato amazzonico dell’Acre. Furono gli spari che fecero scoppiare in faccia al mondo il problema della deforestazione in Amazzonia. Nel dicembre del 1990, Darly Alves da Silva, proprietario terriero e allevatore locale, con il quale Chico si era più volte scontrato per l’ottenimento del titolo di “reservas extractivistas” per la sua regione, ricevette una condanna a 19 anni di prigione per essere stato il mandante dell’omicidio e suo figlio, Darci, ricevette la stessa condanna per esserne stato l’esecutore materiale. Ma purtroppo l’entusiasmo iniziale per questa sentenza e per la “giustizia fatta” durò poco. La condanna a Darly Alves da Silva fu annullata nel febbraio del 1992 a Rio Branco dalla corte d’appello statale e gli omicidi di leader indigeni, attivisti e sindacalisti che difendono la foresta e i suoi popoli continuano anche oggi, troppo spesso impuniti.
Così, non sorprende, ma fa egualmente male sapere che nell’indifferenza dei media anche José dos Santos è stato ucciso il 25 agosto scorso nella città di Bom Jardim, in Maranhão, per aver denunciato i taglialegna e per aver difeso la propria comunità, anche in qualità di rappresentante del sindacato dei lavoratori rurali di Bom Jardim. José Santos Rodrigues, che ha lasciato una moglie ferita nel'aguato e sei figli, era membro proprio dell’Istituto Chico Mendes per la Conservazione delle biodiversità (ICMBio) nella Riserva Biologica Gurupi, ultimo frammento di foresta amazzonica in Maranhão, una delle regioni amazzoniche in cui la foreste è più degradata. La riserva di Rebio Gurupi è circondata da tre aree indigene: Alta Turiaçu, Awá e Caru, che, al pari della foresta, sono preda di saccheggiatori di legname e di assassini, visto che un altro membro del sindacato dei lavoratori rurali, Raimundo Borges detto “Testa”, è stato assassinato solo tre anni fa.
“Le associazioni ambientaliste e per quelle per i diritti umani, - ha ricordato l’associazione internazionale Salva le Foreste - chiedono adesso che la morte di José Santos Rodrigues, Raimundo Borges e diverse altre vittime di questa quotidiana guerra alla foresta e ai popoli indigeni non resti impunità, e gli autori e i mandanti degli omicidi siano perseguiti dalla legge”. Un appello lanciato anche dai Padri Comboniani che suggeriscono di inviare una mail alle autorità affinché agiscano subito. Oltre a José dos Santos nell’ultimo mese, infatti, sono state uccise altre due persone e 29 famiglie di attivisti e piccoli agricoltori sono minacciate, al punto di dover lasciare la loro casa e i loro raccolti, per mettere al sicuro la propria vita. Per questo hanno chiesto i Comboniani “Chiediamo allo Stato brasiliano, attraverso il Ministero dello Sviluppo Agrario (MDA) e l’Istituto Nazionale di Colonizzazione e Riforma Agraria (Incra) di procedere il più rapidamente possibile all’esproprio e alla consegna di una nuova area per le 29 famiglie di agricoltori in fuga dall’insediamento del Rio das Onças II”.
Secondo la denuncia della rete internazionale Justiça nos Trilhos i territori di Buriticupu e di Bom Jardim sono considerati dalla popolazione residente una “Terra senza legge”, in cui lo Stato è particolarmente assente e le istituzioni di difesa dei diritti collettivi sono estremamente deboli. Una situazione non tanto diversa da quella che si trova ad affrontare la comunità guarani di Nanderu Marangatu all’interno della quale sabato 29 agosto è stato ucciso da alcuni sicari al soldo degli allevatori Semião Vilhalva, un leader guarani. Per Survival International “Attualmente la terra ancestrale di questa comunità guarani è occupata da un allevamento di proprietà di Roseli Silva, presidente di un sindacato di allevatori che incita alla violenza per tenere gli Indiani lontano dalle loro terre”. Da alcune settimane la comunità di Semião aveva rioccupato parte della terra ancestrale dalla quale era stata allontanata a forza e secondo le testimonianze dei Guarani, “l’attacco contro Semião è stato coordinato proprio da Silva dopo una riunione nel corso della quale allevatori e politici avevano discusso sul come contrastare le rioccupazioni”. “Questi allevatori e questi politici incitano all’odio, alla violenza e all’assassinio dei Guarani. Sono crudeli e devono essere puniti!” ha dichiarato l’associazione guarani Aty Guasu.
“La cosa particolarmente straziante di questo assassinio è che i Guarani sapevano che la loro rioccupazione si sarebbe probabilmente conclusa nel sangue” ha dichiarato Stephen Corry, direttore generale di Survival. “Perché? Perché la terra che stanno rioccupando gli appartiene. Il Brasile lo ha riconosciuto anni fa, ma è troppo legato ai lobbisti per mantenere il suo obbligo di restituzione. Fino a quando il Governo non rispetterà i suoi impegni, andranno perse altre vite innocenti”. Gran parte della terra della tribù di Semião, infatti, è stata rubata agli Indiani decenni fa. Sebbene la costituzione brasiliana abbia imposto al governo di mappare i territori indigeni e di restituirli entro il 1993 alle tribù, per il loro uso esclusivo, la maggior parte della terra guarani resta tuttora nelle mani degli allevatori. Oggi la maggior parte dei Guarani è costretta a vivere in riserve sovraffollate o in accampamenti ai margini delle strade dove dilagano malnutrizione, malattie e suicidi. Il mese scorso le Nazioni Unite avevano chiesto al Governo brasiliano di prendere misure urgenti per proteggere i Guarani e mettere fine alla “campagna di terrore psicologico” montata dagli allevatori. Le autorità brasiliane, però, non sono ancora intervenute.
Come scrissero i Nomadi “lunga sarà la strada e tanti gli alberi abbattuti, prima che l'idea trionfi, senza che nessuno muoia”. Ma veramente “forse un giorno uomo e foresta vivranno insieme, speriamo che quel giorno ci sia ancora”. Noi intanto dobbiamo ricordare e mobilitarci per Cico, Raimundo, Semião e tutte le persone uccise per “una nuova idea dell’uomo”.
Alessandro Graziadei

Sono Alessandro, dal 1975 "sto" e "vado" come molti, ma attualmente "sto". Pubblicista, iscritto all'Ordine dei giornalisti dal 2009 e caporedattore per il portale Unimondo.org dal 2010, per anni andavo da Trento a Bologna, pendolare universitario, fino ad una laurea in storia contemporanea e da Trento a Rovereto, sempre a/r, dove imparavo la teoria della cooperazione allo sviluppo e della comunicazione con i corsi dell'Università della Pace e dei Popoli. Recidivo replicavo con un diploma in comunicazione e sviluppo del VIS tra Trento e Roma. In mezzo qualche esperienza di cooperazione internazionale e numerosi voli in America Latina. Ora a malincuore stanziale faccio viaggiare la mente aspettando le ferie per far muovere il resto di me. Sempre in lotta con la mia impronta ecologica, se posso vado a piedi (preferibilmente di corsa), vesto Patagonia, ”non mangio niente che abbia dei genitori", leggo e scrivo come molti soprattutto di ambiente, animali, diritti, doveri e “presunte sostenibilità”. Una mattina di maggio del 2015 mi hanno consegnato il premio giornalistico nazionale della Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue “Isabella Sturvi” finalizzato alla promozione del giornalismo sociale.