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Alda Merini: poetessa controcorrente
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Alda Merini
Abbiamo intervistato Maria Grazia Calandrone, poetessa, scrittrice, giornalista e autrice del libro «Una creatura fatta per la gioia. Biografia poetica di Alda Merini», edito da Solferino, per comprendere meglio la visione, mistica e terrena, sulla vita che Alda Merini ha spassionatamente tramandato.
“Alda Merini è stata una poetessa completamente controcorrente”, inizia a raccontare Maria Grazia Calandrone contestualizzandola e descrivendo, in modo sintetico e assolutamente chiaro, il panorama culturale circostante nel quale la poetessa milanese ha scritto, su pezzi di carta ambulanti, dei versi che hanno cambiato un pezzo di storia, imprimendola.
L’intervistata spiega, sensatamente, i motivi per i quali è possibile affermare che Alda Merini è stata “una poetessa orfica”: nell’ambiente lombardo, c’erano state sì delle poetesse, meno note, come ad esempio la figura delicata di Antonia Pozzi, ma non ce n’erano molte altre, tantomeno di spicco. I poeti invece, da Maurizio Cucchi a Giovanni Raboni, formavano le fila della linea lombarda la quale, come spiega la Calandrone, “cominciava ad imperare”. Questo genere si distingueva per il suo tratto – e tatto – “minimalista”, chiarisce l’autrice, nella quale “l’intervento del metafisico era praticamente assente”.
In questo paesaggio marrone, fatto di terra, lineare e semplice come un tronco, i passi di Alda Merini avevano radici nel cielo: erano leggeri come il passaggio delle nuvole e allo stesso tempo pesanti, degli stivali capaci di lasciare delle impronte dove, anche i cani randagi in giorni di pioggia, potevano abbeverarsi. In questo contesto culturale, e di conseguenza anche sociale, totalmente “aderente alle cose”, sopra questo suolo arido – che non significa inumano, ma diversamente umano – la ‘nostra’ poetessa “parlava con gli angeli”. “Era un’ispirata”, dice saggiamente Maria Grazia ricordandola e, oltre al contenuto, visto che di poesia si parla, anche il linguaggio di Alda si discostava. “Era una lingua sovrabbondante”, commenta Maria Grazia, mentre quella dei poeti dell’epoca”, specifica, “era una lingua molto scarna”.
Nella storia dell’umanità, in questo lungo istante di contemporaneità che stiamo vivendo, via via sempre più materico, il passaggio ingovernabile e traboccante di amore di Alda Merini, è paragonabile alla scia di una slitta quando taglia, quando segna senza ripensamenti un campo immacolato di neve fresca. La poetessa milanese è stata una persona contemporanea a un salotto poetico in cui si parlava una lingua così essenziale da partorire un linguaggio “ossificato” e su questi divani, dove non si sedeva, lei è riuscita comunque a farsi sentire – come se non avesse altra scelta se non morire – attingendo alla sua sottile capacità di comprendere un tramonto, di andare oltre, oltre il giorno e la notte per raccontarci, chiaramente, e visivamente, cosa a occhi chiusi si possa vedere. Cosa, a orecchie tappate, si possa misteriosamente sentire.
Maria Grazia Calandrone illustra molti aspetti di Alda, ci rende consapevoli intanto, che la poetessa follemente innamorata dell’amore, “era una persona elegante”, racconta, e che grazie a questa sua nobile qualità “riusciva a fare quello che voleva”. Era una donna che, negli anni Cinquanta, scriveva “utero assetato di sperma”, scriveva, «il suo sperma bevuto dalle mie labbra / era la comunione della terra». I suoi versi carnali erano dei versi dichiarati, e nella poesia femminile di allora non esisteva niente di simile. Alda Merini fu un’avanguardista, non tanto per protesta o per, che so io, sovversione, ma per indole.
“Lei era assolutamente libera”, ribadisce con tono meravigliato Maria Grazia Calandrone sebbene conosca nel profondo il personaggio, e dichiara: “riusciva ad ottenere con tutte le sue arti, dall’implorazione, alla seduzione, alla colpevolizzazione, alla poesia, tutto quello che voleva”. E per tutto, si intende farsi sposare, ospitare in casa un barbone, conviverci, dialogarci assieme utilizzando un’anomala ed elegante forma di cortesia. Per tutto si intende posare nuda indossando soltanto i segni del tempo, e questo significa, in termini meno poetici, fregarsene: la poetessa milanese, nei suoi anni di gloria, è stata “la prima donna famosa a invecchiare sotto le telecamere”. E la sua grandezza, la sua rivoluzione come essere umano prima ancora di tante altre definizioni, sta nel fatto che lei ha fatto quello che ha voluto, perché lei era così. Punto e basta.
Lei era “una creatura fatta per la gioia”, per descriverla con il titolo della biografica scritta dall’intervistata. “L’amore per Alda Merini”, dice, “era il faro dell’esistenza”, e spiega: “nel senso che non c’era per lei altra possibilità di stare al mondo se non cercare disperatamente di essere amata”.
Al tempo stesso, però, e come precedentemente accennato, Alda era una persona molto generosa: era capace di amare, era, per dirla ancora una volta con le opportune parole di Maria Grazia, “estremamente seduttiva”. “L’amore per Alda”, continua la ‘nostra’ autrice, “da una parte era un amore creaturale e dall’altra un amore erotico, anche nei confronti delle donne”.
Se c’è una parola che Alda Merini riesce ancora a gridare, sebbene sia morta, è la parola “amore”. E anche qui, lei riesce ad esprimere tutto e il contrario di tutto: “era una persona incapace di solitudine. Quando si trovava nell’ambiente domestico”, svela la Calandrone, quindi con i figli, il marito e tutte le incombenze che una famiglia comporta, lei voleva scappare. Quando però, finalmente, si trovava sola”, confessa, “in realtà non faceva altro che chiamare gli amici chiedendo loro il perché l’avessero lasciata sola, minacciandoli di denuncia”.
Si può tranquillamente concludere che quella prima folata di vento primaverile, che il 21 marzo del 1931 ha riempito i polmoni di Alda Merini e subito dopo ha girato la gabbia delle sue costole per concederle la vita, era “un amore da una parte mitico e mistico, dall’altra parte terreno e ossessivo”. Questa contradizione “concerne tutti gli aspetti della vita di Alda Merini” e se è vero che, e adesso prendo in prestito le parole del grande scrittore russo Boris Pasternak, “un poeta vede al tempo stesso e da un punto solo ciò che è visibile a due isolatamente”, si può serenamente affermare che Alda è stata “poesia”, prima ancora di scriverla.
Francesca Bottari
Sono nata a Cles il 15 settembre 1984. Dopo essermi laureata in Lingue e Culture dell’Asia Orientale a Venezia, ho vissuto in Cina e in altre nazioni. In passato mi sono occupata di giornalismo e di inchieste. Oggi vivo a Bassano del Grappa, dove ogni giorno mi alleno a vivere scrivendo poesia: francescabottari.it






