Alcuni errori del volontario neofita in Africa. Ma non solo

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Abbiamo provato ad elencare alcuni degli errori del volontario neofita in Africa (ma non solo). Ecco il risultato.

Non studiare dove si va, quale popolazione s'incontrerà, quale cultura s'affronterà. Zero in storia, geografia ed in antropologia. Disinteressarsi totalmente della situazione politica e della salvaguardia dei diritti umani di quel paese.

Non imparare alcun vocabolo della lingua locale. Men che meno quella coloniale. Ci mancherebbe. Scandiremo per bene il nostro italiano. I-TA-LIA-NO

Non portare alcun dono a chi ci ospita. E se perdiamo le valigie?

Criticare da subito il tenore di vita di chi ci accoglie. Missionario o volontario: “ma come si permette?” Poi, dopo qualche giorno che ci presenta la solita minestra, ripetiamo ancora: “ ma come si permette?” “Avete, per caso, dello yougurt al lampone?”

Darsi immediatamente da fare per “aiutare”. Non per conoscere, capire, vedere, imparare. Ma per “salvare”. Chi poi?

Se si avvicina un bambino di strada fare subito un'offerta. 10 euro posson bastare? Certo. Poco importa se a causa di quei 10 euro il ragazzino non andrà più a scuola. Chi glielo fa fare?

Mettere all'indice le famiglie che si fanno aiutare in casa dai figli per il trasporto di legna ed acqua. Sfruttamento. I nostri si che non lavorano. (Si vede. Eccome.)

Fare il lavoro per il quale abbiamo la “massima incompetenza”. Un avvocato saprà pur fare il muratore. E' o non è laureato? E che cos'ha quello da ridere? …..E' un edile!

Non salutare persona alcuna. Dalla cuoca al prefetto della città che è venuto apposta a darci il benvenuto. “Non abbiamo mica tempo da perdere”.

Dare la mano con i guanti. D'altronde, le nostre forze dell'ordine non hanno guanti e mascherina a Lampedusa?

Dimenticarsi del galateo. Tono di voce alto, non bussare, bypassare la fila, attirare l'attenzione, ironizzare su tutto.

Aver già capito tutto e subito e deplorare coloro che, pur vivendo il territorio da decine d'anni, non riescono a cogliere il nocciolo della questione.

Non serve pianificare bene il viaggio informando chi ci ha ospitato e chi ci ospiterà sull'orario di partenza e di arrivo. Anche se arriviamo a notte fonda...cosa vuoi che succeda?

Se il driver ci scoraggia a percorrere una strada non ascoltarlo. Se poi ci si impantana vi sarà sempre il modo per uscirne. Casomai....guidiamo noi.

Vestirsi come si vuole. Fa caldo. Meglio andare un po' leggeri come si fosse in spiaggia. Calzoni corti e camicia aperta all'Indiana Joens. La domenica rigorosamente in tenuta coloniale....tanto per ricordare ai più anziani “i bei tempi”.

Rivolgersi a tutti con confidenza....my friend. “E che caspita. Non siamo qui per aiutarvi?”

Non contrattare nei mercati rionali. Poveretti. Hanno così poco. Anzi. Non ritirare il resto.

Fotografare e filmare senza riguardo la povertà. Anche se la povertà non vuole essere ripresa. Come se un nord-europeo venisse in Italia a fotografare i quartieri più poveri od entrasse nelle case di riposo con la macchina fotografica.

Narrare a tutti della grandezza del proprio paese e dell'eccellenza della propria classe politica. Altro che la loro.

Sfoderare tutti i luoghi comuni che sappiamo sull'Africa e non solo. “La donna è l'unica che lavora”, “non hanno voglia di far niente”, “ma tanto rubano”, “le Nazioni Unite non servono a nulla...noi si che”, “il Papa potrebbe dare tutti i propri beni all'Africa” e così via

Appena incontrati un po' di bambini cantare tutti assieme per mano “giro giro tondo casca il mondo, casca la terra tutti giù per terra”. Ancora dai.

Gettare caramelle al vento ad ogni villaggio. Poco importa se non potranno lavarsi i denti. Affar loro.

Non ascoltare persona alcuna. Spiegare sempre. Meglio in dialetto.

Pregare il proprio Dio biondo, slanciato con gli occhi azzurri, labbra rosse e capelli biondi. Origine bantu?

Rientrare ogni sera a che ora ci piace. Avremo pur diritto di spassarcela un po'.

Durante il Safari non ascoltare i locali. Scendere dalla jeep all'interno del parco per raccogliere fiori e piccole piante protette. Insomma per far due passi in santa pace. Proprio. “In santa pace”.

Raggiunto il lodge v'è un buffet. Preparare l'agguato come il leone prima di azzannare la zebra.

A sera tardi inizia la caccia al geco nella nostra stanza. Chissà di quali veleni è dotato.

Nel lasciare il territorio abitato il tempo di un lampo regalare “vestiti e medicine” a tutti. Non ai referenti che ci hanno ospitato e che conoscono molto bene le persone del luogo ma direttamente alle persone. Da noi si va alla Caritas. All'equatore siamo noi la Caritas.

Nel congedarsi fare un'offerta di pochi euro alla missione. D'altronde abbiamo mangiato per giorni e giorni, consumato acqua potabile a volontà ed utilizzato i veicoli della missione che ci hanno scorrazzato per metà paese. Cosa vogliono di più? Essere pagati come un albergo?

Acquistare dell'artigianato “made in China” all'aeroporto. D'altronde lo shop della missione era un po' squallido.

Tornare e mostrare a tutti migliaia di foto. Senza chiedersi se gli altri reggono alle ore 23.25 ancora 1.650 diapositive.

Confidare ad un amico: “è più quello che ho ricevuto di quello che ho dato”. Certo. Se uno parte con il presupposto che gli altri siano delle piante.

Dimenticare tutto in fretta e furia. Rimangono alcune foto che ruotano sul desktop a memoria ma, soprattutto, un africano sottocasa che si sta avvicinando. - “No. No. Grazie. Già dato”. Ops..... è il nuovo cardiochirurgo!

Fabio Pipinato

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