www.unimondo.org/Notizie/Aiuto!-Nevica-plastica!-228990
Aiuto! Nevica plastica!
Notizie
Stampa

Foto: Jonathan Knepper da Unsplash.com
Fine giugno. Parliamo di neve. O meglio, del fatto che nevichi plastica.
Succede in Antartide, dove un gruppo di scienziati neozelandesi ha fatto questa triste scoperta nella neve recentemente posatasi al suolo alle latitudini del Polo Sud. È la prima volta che succede ed è un fatto che, per quanto possa apparire insignificante – in fondo sono solo minuscole particelle di plastica in un posto non densamente popolato giusto? – costituisce una grave notizia, soprattutto per l’ecosistema.
La scoperta si traduce in una proiezione inquietante per il futuro del continente dove sono custoditi esempi unici di specie vegetali e animali e che deve affrontare un costante scioglimento di nevi e ghiacci sempre più accelerato. Le microparticelle di plastica, rinvenute in 19 campioni di neve prelevati e grandi poco meno di un chicco di riso, erano già state rintracciate in precedenza in campioni di acqua di mare e di acqua di superficie, ma è la prima volta che vengono rilevate nella neve fresca.
La ricerca, condotta presso l’Università di Canterbury e pubblicata sulla rivista scientifica The Cryosphere all’inizio di questo mese, è uno dei primi studi che si concentrano sulle microplastiche in atmosfera in quest’area del mondo. All’inizio gli scienziati erano ottimisti: pensavano che non avrebbero trovato nulla di quello che stavano cercando. Purtroppo le loro aspettative sono state smentite, e non è stato nemmeno necessario concentrare la raccolta di campioni nelle zone delle basi come la McMurdo Station o la Scott Base, dove in precedenza erano state riscontrate tracce di altre microplastiche. Dei 19 campioni raccolti nell’area di Ross Ice Shelf, tutti contenevano plastica. Una scoperta che ha generato sorpresa e al contempo grande tristezza, perché dà inequivocabile misura di come l’inquinamento della plastica abbia raggiunto anche le aree più remote e meno popolate del mondo, dalla cima del monte Everest alle profondità degli oceani.
È noto come le persone respirino microplastiche che fluttuano nell’aria o perfino le mangino inavvertitamente. Sono dunque particelle che non solo provocano danni all’ambiente, ma anche alle cellule umane: lo evidenzia un altro recente studio che ha messo in luce gli effetti sul corpo umano in termini soprattutto di precoce morte cellulare e reazioni allergiche, pur ammettendo ancora incertezze significative rispetto alla persistenza degli effetti e alle conseguenze dell’esposizione alle microplastiche per l’uomo.
Nella neve antartica la media è di 29 particelle di microplastiche per litro di neve sciolta, una concentrazione che supera nella stessa zona quelle di mare e ghiaccio e che diventa di 3 volte più alta in prossimità delle stazioni scientifiche – ovvero nelle aree popolate dall’uomo. 13 i diversi tipi di plastiche rintracciate, con maggior presenza di PET, la plastica che comunemente si trova nelle bottiglie delle bibite e nei vestiti. Si tratta di dati che, associati ai modelli atmosferici, suggeriscono un viaggio di migliaia di chilometri, anche se non va esclusa l’impronta ecologica provocata dalla presenza umana proprio in Antartide (si pensi per esempio alle bandiere utilizzate come segnalatori per individuare i percorsi intorno alla stazione, i cui colori coincidono con alcune delle microplastiche rinvenute).
Ricerche precedenti dello stesso team di scienziati avevano già mostrato come l’inquinamento delle microplastiche in atmosfera risulti negativamente determinante nell’intrappolare le radiazioni emesse dalla Terra e contribuisca a provocare i cambiamenti climatici in atto: si pensi per esempio alle particelle più scure, in quantità talmente elevata da poter assorbire la luce solare e provocare localizzati aumenti delle temperature.
Insomma, seppure la fase attuale rappresenta un momento di ricerca e studio sugli impatti provocati dalla presenza delle plastiche e gli impatti siano ancora in larga parte sconosciuti, le anticipazioni non promettono nulla di buono. Senza contare gli aspetti più tossici per la vita animale e vegetale… ma questa è un’altra, triste storia.
Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.