Il respiro dell’acqua

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Fate un bel respiro. Un’inspirazione profonda, un’espirazione lunga. È una bella sensazione no? L’aria fresca che entra, l’aria calda che esce. Ora fatene un altro. Ecco, questo secondo respiro proviene dagli oceani.

Inizia più o meno così una delicata, amichevole e struggente conversazione tra Vincenzo Venuto, biologo, divulgatore scientifico, autore e conduttore televisivo e Telmo Pievani, filosofo, evoluzionista e titolare della prima cattedra italiana di Filosofia delle scienze biologiche presso il Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova, in apertura di un podcast della raccolta che porta lo stesso titolo del coinvolgente libro di Venuto Il Gorilla ce l’ha piccolo.

Gli oceani sono stati la culla della vita, senza di loro non saremmo potuti esistere.
Producono ossigeno, controllano il clima, ci danno da mangiare, ci fanno respirare. Eppure non sembra che ce ne importi granché. Non è nemmeno così comune che se ne riconosca l’importanza per la nostra stessa sopravvivenza. Di fatto, li stiamo uccidendo. 

Un’affermazione forte, ma confermata in maniera inappellabile dal funesto sbiancamento delle barriere coralline, un insieme di aree con un’estensione di appena 600 mila km quadrati. Uno spazio che corrisponde allo 0,2% di tutta la superficie degli oceani. Cosa vuoi che sia? Invece. In questo 0,2% nato dalla combinazione fortuita e misteriosa di una preziosa varietà di organismi viventi, equilibrio di condizioni geologiche antichissimo, è ospitato il 33% di tutte le specie marine conosciute. E il rischio, già molto concreto, è quello che diventino un deserto subacqueo di morti e assenze.

Ci bastano un paio di riflessioni interconnesse tra le tante che si potrebbero raccogliere e citare, ma sufficienti a fotografare la situazione: se da un lato, attraverso la pesca indiscriminata e intensiva, continuiamo a sottrarre agli oceani le migliaia di tonnellate di pesci pescati oggi, e dall’altro lato continuiamo imperterriti a utilizzare tonnellate di plastica che sfociano a mare non solo nei più visibili sacchetti o tappi di bottiglia o flaconi di detersivo, ma soprattutto in trilioni di minuscole particelle (microplastiche), intorno al 2050 negli oceani di tutto il mondo ci sarà in termini di peso più plastica che fauna marina. Una proiezione sconfortante, e non solo per la sua vicinanza temporale drasticamente imminente. Senza contare le emissioni di gas serra, l’inquinamento da idrocarburi, insetticidi, pesticidi e metalli pesanti… anche “solo” con questo semplice dato possiamo tristemente accorgerci di quello che sta accadendo. Stiamo assistendo imbambolati all’assassinio degli oceani. E se gli oceani muoiono, moriamo anche noi. Stiamo soffocando la vita, quella degli ecosistemi che ci sorreggono, e dunque anche la nostra. Togliamo il fiato al mondo.

Maggiore è il grado di biodiversità, più un ecosistema è in grado di resistere agli attacchi esterni, un’equazione che si traduce in: più un ecosistema è ricco, maggiori sono le sue probabilità di resilienza. Se l’impoverimento peggiora per un insieme di attività combinate e letali – le conseguenze sono di facile intuizione. Consideriamo per esempio che gli oceani catturano circa il 30% della CO2 prodotta dalle attività umane (30 miliardi di tonnellate l'anno, secondo l'ONU) e la nascondono nelle loro profondità. Ci rendiamo conto che soffocarne la vita a favore di logiche economiche vandaliche e niente affatto lungimiranti non è per noi affatto vantaggioso. Perché la fondamentale funzione che ricopre l’oceano di sequestrare in modo naturale anidride carbonica contribuisce a contenere il surriscaldamento globale del Pianeta e i suoi effetti che, lo sappiamo bene, incombono inesorabili sul nostro presente, prima ancora che sul nostro domani.

Non poter fare quel secondo respiro, pensiamoci, fa la differenza. Se davvero sentissimo che ci manca l’aria proprio a causa della distruzione degli oceani? Asfissiarli è un delitto contro il DNA, che 3,5 miliardi di anni fa è nato proprio lì. È negare non solo il nostro futuro, ma anche le nostre origini.

Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.

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