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Africa: crocevia d'intrighi nucleari
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Se l'Africa ha di fatto rinunciato alle armi nucleari, ciò non deve far dimenticare che il continente ha giocato un ruolo importante nello sviluppo di questi armamenti. Per esempio: l'uranio impiegato nella bomba sganciata su Hiroshima nel 1945 proveniva da una miniera dell'allora Congo Belga (l'attuale Rd Congo); i primi esperimenti nucleari francesi furono compiuti nel Sahara algerino.
Venendo ai giorni nostri, il misterioso Abdul Qadeer Khan, il padre della bomba atomica pakistana, ha molteplici interessi in Africa. Il che allarma le potenze occidentali. Khan era il personaggio chiave di un network di persone e società che operavano in diverse parti del mondo per fornire ad alcuni stati (Libia e Iran tra questi) tecnologie per la costruzione di armi nucleari. Tripoli ha pagato al network gestito da Khan oltre 100 milioni di dollari per centrifughe atte a produrre uranio arricchito, progetti per la costruzione di un ordigno nucleare (un modello cinese degli anni '60) e componenti missilistiche.
Del resto, la Libia, fin dagli anni '70, ha finanziato il programma nucleare pakistano. È chiaro quindi che la rete di Khan non agiva in piena autonomia, ma agganciata a un accordo tra i governi di Tripoli e Islamabad. Khan è caduto in disgrazia perché sacrificato sull'altare delle relazioni tra Pakistan e Stati Uniti, che non vedono di buon occhio le attività nucleari pakistane. Ed è stata proprio la Libia di Gheddafi a fornire ai servizi segreti anglo-americani alcune delle prove più consistenti delle attività di Khan e soci. L'ex direttore della Cia, George J. Tenet, ha affermato che, grazie al lavoro degli agenti americani, la Libia è stata costretta ad ammettere ufficialmente il suo programma di armi di distruzione di massa. Alcuni commentatori osservano invece che è avvenuto esattamente l'opposto: è stato Gheddafi con le sue rivelazioni a mettere in imbarazzo l'intelligence americana che aveva ignorato (volutamente?) i commerci nucleari dell'alleato pakistano. Sarà la storia a dirci, domani, dove sta la verità⅀
Ambizioni nigeriane
Le attività di Khan in Africa non si limitavano però alla sola Libia. Secondo indagini svolte da organi di stampa occidentali, egli risulta proprietario dell'Hotel Hendrina Khan, a Timbuctu, nel Mali. Dal 1998 al 2002, Khan si è recato in diversi paesi africani, tra cui Sudan, Mali, Nigeria e Niger: tutti nel mirino delle intelligence occidentali perché titolari di depositi, accertati o presunti, di uranio. Per conto di chi Khan stava cercando uranio? Per il solo Pakistan oppure anche per qualcun altro? Vi sono alcuni sospetti su un possibile accordo missilistico e nucleare tra Nigeria e Pakistan. Accordo smentito da Abuja. Era stato però proprio il governo nigeriano ad alimentare voci su possibili vendite nordcoreane e pakistane di tecnologia missilistica e nucleare. A gennaio di quest'anno, infatti, un portavoce di Abuja affermò che una delegazione militare della Corea del Nord aveva offerto alla Nigeria tecnologia missilistica.
A marzo, il ministero della difesa nigeriano annunciava che il gen. Muhammad Aziz Khansi, capo di stato maggiore pakistano, durante la sua visita ad Abuja, aveva dichiarato la disponibilità di Islamabad a offrire al paese africano assistenza militare, compresa una non meglio specificata "nuclear power". La Nigeria ha reali ambizioni nucleari e missilistiche, oppure si tratta di un "ballon d'essai" per costringere i paesi occidentali ad accordare nuovi crediti al paese africano? Va anche ricordato che nel 1999 la Cina ha fornito alla Nigeria un reattore di ricerca, e proprio in quell'anno il misterioso dottor Khan ha fatto una visita nel paese africano, forse per negoziare la vendita di uranio destinato al reattore. La Nigeria ha comunque firmato i principali trattati internazionali che proibiscono la fabbricazione e la detenzione di armi nucleari, biologiche e chimiche.
Vi è, infine, un episodio dimenticato della guerra del Biafra (1968-70) che dimostra come, in situazioni di forte conflittualità e di incertezza, anche in Africa può farsi strada l'idea di ricorrere ad armi non convenzionali. I secessionisti ibo avevano ottenuto in Europa sufficiente materiale nucleare per costruire una "bomba sporca" (una bomba convenzionale arricchita con materiale radioattivo, la cui esplosione contamina una vasta area) da far esplodere a Lagos. Il materiale però scomparve misteriosamente in Portogallo, da dove doveva essere imbarcato alla volta dell'Africa.
Niger e Francia
Il Niger, altro paese visitato da Khan, ha fornito uranio al Pakistan, e forse è da lì che proviene l'uranio usato nel programma d'armamento libico. Il Niger, ricordiamolo, è nella sfera d'influenza francese. Vengono alla mente allora la vendita di sottomarini francesi a Islamabad e certe operazioni effettuate dai libici nell'Africa occidentale a supporto della politica francese nella regione (l'appoggio a Charles Taylor nel conflitto liberiano, per esempio), come possibile contropartita di forniture di uranio del Niger a entrambi i paesi. Il Niger è stato anche oggetto (più che protagonista) della "bufala" rifilata ai servizi anglo-americani sui presunti acquisti di uranio da parte di agenti di Saddam Hussein. Fatto che, se fosse stato vero, avrebbe visto un coinvolgimento francese. Le miniere di uranio del Niger, infatti, sono sfruttate da due società nelle quali vi è una forte presenza del capitale statale francese. Il gruppo Somair è detenuto al 37,5% dalla Cogema (azienda di stato francese per la produzione e commercializzazione del combustibile nucleare) e per il 19,4% da Cfm, un'altra azienda d'Oltralpe. La Cogema detiene anche il 34% di Cominak, l'altro gruppo incaricato di sfruttare le miniere d'uranio del paese africano.
L'Africa ha svolto un ruolo fondamentale nello sviluppo del nucleare civile e militare francese. La Cogema controlla le miniere di uranio non solo del Niger ma anche del Gabon. Quest'ultimo paese è terreno di caccia dell'Elf (fusasi con Total nel 2000) per quanto riguarda il petrolio, e della Cogema per l'uranio. L'azienda francese è il primo acquirente della Compagnie des Mines d'Uranium de Franceville (Camuf), fondata nel 1961. La Camuf ha venduto uranio anche a Giappone, Italia e Belgio. Per proteggere gli interessi del proprio complesso nucleare, civile e militare, Parigi non è andata per il sottile: colpi di stato e appoggio a regimi oppressivi sono la norma. Si sono trovati accordi anche con il regime scaturito dalla feroce guerra d'indipendenza algerina (1954-62). La Francia ha compiuto 17 esperimenti nucleari in Algeria dal 1960 al 1966; gli ultimi, quando il paese era ormai indipendente.
Solo da poco, si è venuti a conoscenza di una serie di patti segreti firmati nel 1967 tra Algeria e Francia, che permisero ai militari francesi di continuare in segreto i loro esperimenti con armi chimiche in Algeria fino ai primi anni '70. Le sperimentazioni furono condotte in una segretissima base, conosciuta con il nome in codice "B2-Namous", all'epoca probabilmente uno dei poligoni più vasti del mondo per armi chimiche. Questa installazione è stata completamente smantellata solo nel 1978.
Ancora oggi, il continente africano continua a essere usato per sperimentare nuove armi, anche non convenzionali, al riparo da occhi indiscreti. La Mauritania, per esempio, era stata probabilmente teatro di qualche sperimentazione irachena tra la fine degli anni '80 e i primi anni '90. Ora gli iracheni sono stati sostituiti dagli israeliani che, secondo alcune fonti (ma le informazioni disponibili sono assai scarse), condurrebbero una serie di test di nuovi armamenti in questo vasto e spopolato paese.
Uranio in giro per il mondo
L'Algeria è ora al centro dell'interesse delle intelligence occidentali a causa del suo programma nucleare. Nel 1991, i satelliti spia statunitensi scoprirono un impianto nucleare segreto a Ain Oussera, una località a 150 km da Algeri. Fino al 1991, l'Algeria dichiarava solo l'esistenza di un reattore di ricerca fornito dall'Argentina, collocato a Draria, a 20 chilometri dalla capitale. Di fronte all'evidenza, Algeri ha ammesso che l'impianto di Ain Oussera consiste di un reattore (chiamato Es Salam) da 15 megawatt di fabbricazione cinese. Secondo il governo, il programma nucleare ha fini pacifici: ricerca scientifica e produzione d'energia elettrica per dissalare l'acqua del mare. Fonti di intelligence spagnole e inglesi sostengono, invece, che il paese nordafricano punterebbe a dotarsi di armi nucleari. A riprova di queste affermazioni, l'intelligence spagnola fa osservare che gli scienziati algerini hanno prodotto ben poca documentazione scientifica sui loro lavori di ricerca con il reattore Es Salam. Nel corso degli anni '90, inoltre, la centrale di Ain Oussera ha subito lavori di ampliamento e di ammodernamento, che farebbero sospettare un potenziamento della capacità di produrre materiale utilizzabile a fini militari. L'Algeria ha firmato il trattato di non proliferazione nucleare nel 1995, che comporta ispezioni internazionali degli impianti nucleari. L'Occidente però rimane sul chi vive: non solo per l'esistenza di un eventuale programma militare segreto, ma soprattutto per un possibile furto di materiali nucleari da parte di estremisti islamici.
Ma le preoccupazioni per il nucleare in Africa non finiscono qui. Nell'Rd Congo, crocevia di trafficanti d'ogni genere, la miniera di uranio di Shinkolobwe è sfruttata da migliaia di minatori abusivi. Proprio da Shinkolobwe proveniva l'uranio impiegato nella bomba di Hiroshima. Nel 1972, il governo americano, memore dell'aiuto ricevuto dall'uranio congolese, cedette a Kinshasa un reattore di ricerca. Le barre di uranio di questa strumentazione sono scomparse da anni. Solo nel 2001 alcune di queste sono state recuperate a Roma. Il resto è ancora in giro per il mondo.
1965-1994, la parabola sudafricana
Nel 1994, poco prima che Mandela prenda il potere, si conclude la parabola nucleare sudafricana con la distruzione delle ultime attrezzature. La decisione di procedere al disarmo nucleare unilaterale è del presidente Frederick de Klerk e risale al 1989, quando si stava profilando la fine del sistema dell'apartheid. Nel 1993 il governo di Pretoria annuncia di aver smantellato il suo arsenale atomico (7 bombe) e di aver quasi demolito gli impianti.
Finisce così una storia iniziata nella seconda metà degli anni '60, quando il paese compie i primi timidi passi nella ricerca nucleare. Nel 1965 gli Stati Uniti forniscono un reattore di ricerca, il Safari1, oltre all'uranio per il suo funzionamento. Contemporaneamente, presso il Pelindaba Nuclear Research Centre, iniziano i primi esperimenti di arricchimento dell'uranio. Nel 1970, Pretoria annuncia la creazione di un nuovo impianto per la produzione di uranio arricchito a Valindaba. Negli stessi anni, la Commissione per l'energia atomica (Aeb) conduce in segreto le prime ricerche su un ordigno nucleare, un modello poco sofisticato, simile alla bomba usata a Hiroshima.
Nel 1977, tutto è pronto per un esperimento nucleare da tenersi nel deserto del Kalahari, ma i satelliti spia russi scoprono i preparativi e convincono Washington a esercitare pressioni su Pretoria perché rinunci al test (Mosca può contare anche su un'importante "talpa", il Commodoro Dieter Gerhardt, il comandante della base navale di Simonstown). L'esperimento non prevede l'esplosione di un ordigno completo, ma solo una prova "a freddo" senza l'uranio per verificare il comportamento delle componenti non nucleari.
Nel 1979, un satellite americano rileva un'esplosione nucleare nell'Oceano Indiano al largo del Sudafrica. Si pensa a un test congiunto israelo-sudafricano. In effetti, in quegli anni Israele e Sudafrica cooperavano strettamente nel campo dell'intelligence e degli armamenti, compresi quelli nucleari. Nel 1991, il giornalista americano Seymour Hersh, afferma nel suo libro The Sampson Option (in italiano L'opzione H) che le esplosioni in realtà furono ben tre e si trattava di ordigni sofisticati.
Essendo il programma sudafricano in uno stadio non molto avanzato, è legittimo supporre che gli esperimenti del 1979 furono condotti dagli israeliani: il Sudafrica si sarebbe limitato a fornire il supporto logistico. Solo dal 1980, infatti, la responsabilità dello sviluppo delle armi nucleari fu trasferita dall'Aec all'Armscor, l'ente di stato per gli armamenti. Iniziò così la produzione di 6 ordigni, che si aggiungevano a quello sperimentale che era stato realizzato in precedenza.
Contemporaneamente, fu avviata la ricerca di armi più sofisticate, da montare sui missili del tipo Serico, che Israele intendeva sperimentare nel poligono sudafricano di Overberg. La dottrina nucleare sudafricana prevedeva, in origine, di usare l'arma nucleare come strumento di ricatto nei confronti delle potenze occidentali. Se gli alleati di Mosca avessero minacciato seriamente la sua sicurezza, Pretoria avrebbe fatto esplodere una bomba atomica in una zona desertica per ammonire l'Occidente e indurlo a intervenire in suo aiuto.