Addio Chavez, cosa resterà della sua “rivoluzione”?

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Ci vorrà molto tempo per dimenticare Hugo Chavez. Il suo corpo è stato imbalsamato, come altri leader di rivoluzioni più o meno riuscite ma comunque decisive per la storia contemporanea: Lenin, Mao, Ho Chi Min, condottieri (o dittatori) che certo hanno impresso una grande orma sui propri paesi. Tutti sono stati contestati in occidente, forse neppure capiti bene per la loro lontananza da ogni dinamica “democratica”, almeno come comunemente si intende questo aggettivo. Eppure occorre stare in guardia nel fare paragoni.

Le “rivoluzioni” latinoamericane degli ultimi anni – che hanno visto cadere, attraverso elezioni più o meno regolari, regimi di destra al potere da decenni – non sono assolutamente simili a quelle comuniste del secolo scorso. Certamente sono state animate da ideali socialisti bolivariani che però sono pallide copie dei sogni rivoluzionari novecenteschi finiti nel disastro come in Russia o completamente stravolti come in Cina: in Sud America le svolte “di sinistra”, che hanno contagiato praticamente tutti i paesi del continente, sono nate come reazione a stati di polizia e a regimi che praticavano sistematicamente la repressione verso qualsiasi dissidenza, la tortura e il saccheggio delle risorse del paese. Comunque la si pensi Chavez ha impresso una svolta positiva al Venezuela. Non è nostro amico? Non ci piace? Lo esaltiamo per la sua contrapposizione (spesso soltanto a parole) con gli Stati Uniti? Ogni opinione è legittima visto il carisma del personaggio, istrionico arringatore delle masse. Tuttavia il Venezuela è cresciuto in questi anni.

Sintetizza la situazione del Venezuela pre chavista Gianni Minà, sicuramente di parte ma sempre documentato e acuto: “Quando Chávez ha ereditato il governo del Paese dal presunto socialista Carlos Andrés Péres, c’erano cinque milioni di esseri umani che vivevano nelle villas miserias dove i bambini non andavano a scuola perché i padri non erano nemmeno registrati all’anagrafe. Insomma, cinque milioni di «inesistenti», in una nazione di 24 milioni di abitanti seduta su uno dei giacimenti petroliferi più importanti al mondo. Era il «Venezuela Saudita», dove i proventi del petrolio restavano nelle tasche di pochi e di un pugno di multinazionali e dove Carlos Andrés Péres, un giorno, dette perfino l’ordine di sparare su un corteo di cittadini esausti proprio per le politiche del Fondo monetario, massacrando più di mille persone. Ora, nel Venezuela bolivariano del «caudillo populista», gli indigenti sono meno della metà di allora, 49,21% invece del 70%”. Ma il suo merito maggiore si riversa su tutto il continente: “La verità è che in poco più di dieci anni, l’America Latina è stata capace di dotarsi, per l’intuizione di uomini politici come Lula o lo stesso Chávez, di strumenti capaci di farla competere con realtà come la stessa Comunità Europea. Basta pensare al Mercosur e al Banco del Sur (lanciato nel 2007 con una capitalizzazione di 7 bilioni di dollari da 7 membri: Venezuela, Argentina, Bolivia, Brasile, Ecuador, Uruguay e Paraguay) una scommessa che ha reso più autonoma e indipendente gran parte dell’America Latina. Ma la prova tangibile dei meriti di Chávez e della sua politica, pur fra errori e qualche esagerazione, è forse TeleSur, la televisione satellitare del continente che, l’altra notte, in una diretta no-stop, ha mostrato un dolore collettivo non solo di un Paese, il Venezuela, ma di quella che Ernesto Che Guevara definiva «nuestra Grande America»”.

Ovviamente la stampa italiana, di certo “provinciale” in politica estera, si sveglia all’ultimo momento, dopo aver ignorato quasi per obbligo avvenimenti decisivi per l’America Latina, ma giudicati ininfluenti per l’autarchia informativa del nostro paese. Osservatori più attenti, come Gianni Riotta, danno un giudizio tranchant su Chavez: “ L’imponente spesa pubblica, una sorta di Cassa del Mezzogiorno lubrificata dal petrolio, gli fa vincere le elezioni e oggi lo fa rimpiangere a tanti cittadini. Ma spaventa e costringe all’emigrazione i migliori professionisti del ceto medio, dottori, ingegneri, docenti universitari e fa crollare investimenti e fiducia, tra nazionalizzazioni sfrenate e corruzione. Appalti, progetti locali, finanziamenti ad aziende, niente in Venezuela si muove se la macchina politica chavista non riceve le sue mazzette. La corruzione è rampante, e chi non fa parte dei clan deve andarsene. Giornalisti, intellettuali, politici, imprenditori, studenti dissidenti hanno vita dura”.

Chavez non era un democratico, Chavez non era un dittatore. Anche “a destra” lo ammettono. Il Venezuela non è la Svezia, ma neppure la Corea del Nord e neppure la Russia di Putin. È un paese dalle mille contraddizioni che cerca la sua via allo sviluppo. Il caudillo è morto, viva il caudillo che vivrà in eterno. Adesso il Venezuela volta pagina. L’oppositore Capriles non è una spia degli Stati Uniti. Non ci sono golpe all’orizzonte. Da oggi vedremo quanto la rivoluzione chavista abbia modificato gli equilibri sociali e politici di uno Stato chiave per l’America.

Piergiorgio Cattani

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