AIDS e il vaccino italiano desaparecido

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Aids, dov’è il vaccino”: il numero di maggio di Altreconomia dedica un’inchiesta al programma di ricerca italiano per un vaccino preventivo e terapeutico contro l’HIV, la cui scoperta era stata annunciata dall’equipe dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) della dottoressa Barbara Ensoli nell’ormai lontano 1998. Giunta alla fase II della sperimentazione, avviata dal 2008, la ricerca risulta a tutt’oggi non ancora conclusa, seppure nel 2011 sia stato intrapreso un nuovo esperimento clinico dello stesso vaccino terapeutico, quindi per persone sieropositive, in Sudafrica. Esborso sicuramente di un certo rilievo da parte delle casse dello Stato, risultati ad oggi disattesi e in dubbio, presupposti della sperimentazione sgonfiati, critiche che, sulla base della denuncia giornalistica, hanno indotto persino la presidente della Commissione Sanità del Senato, Emilia Grazia De Biasi, ad annunciare a breve un’interrogazione al ministro della Salute Beatrice Lorenzin per vederci più chiaro. La questione non ha suscitato una particolare attenzione mediatica se non per denunciare l’ennesimo spreco di denaro dei contribuenti, finora pari a 49 milioni di euro.

Chi tende a parlare alla pancia delle persone piuttosto che a informarle è però incline a perdere di vista l’oggetto stesso della notizia. Accostandosi al tema, può sorgere spontanea la prima riflessione secondo cui chi punta il dito accusatorio non capisca in realtà nulla di ricerca. Quest’ultima, per definizione, può contemplare la sconfessione delle ipotesi iniziali, avere dei tempi biblici, e di certo non essere gratuita. La ricerca, anche scientifica, è tutt’altro rispetto a un’opinione comune che la vuole certa e immutabile nelle sue conclusioni.

È tuttavia davvero difficile sbrogliare la matassa e farsi un’opinione sulla vicenda quando le informazioni a disposizione possono portare a conclusioni tanto distanti tra loro.

Nel caso in cui il lettore scelga di dare fiducia alla scienziata italiana, potrà sposare le parole entusiastiche dei giornali che sedici anni fa titolavano come l’innovativo vaccino avrebbe non solo curato chi era affetto da Hiv ma anche impedito la diffusione del virus. Come poi allora non prendere a prestito le parole elogiative tratte dall’agenzia giornalistica di Paolo Pagliaro Nove Colonne?: “Le ‘Ensoli’ non sono poi così tante nel mondo. È un grande privilegio quello di essere connazionali di una donna così centrale nella lotta contro l’Aids, in barba anche alla vulgata poco generosa nei confronti dell’universo della ricerca italiana. La direttrice, nata a Latina, ha studiato a Roma, poi a Bari. Come dire che è un prodotto certificato d’origine italiana. Un cervello eccellente che siamo riusciti, per fortuna, a non far scappare.” Un attaccamento alla patria e un orgoglio per la straordinaria scoperta scientifica “made in Italy” che vengono anche dalla stessa Ensoli. Intervistata da AffarItaliani.it nel 2011, la dottoressa dichiarava “La decisione di tornare in Italia non è stata facile ma ha prevalso il mio senso etico e l’amore verso il mio Paese. Quando ho difficoltà a trovare i fondi necessari per la ricerca sono tentata di mollare tutto e tornare in America, ma ci ripenso sempre”. Con il raggiungimento nello scorso marzo dei limiti massimi dei fondi pubblici destinati alla ricerca, la sperimentazione vaccinale è stata trasferita al settore privato, alla Vaxxit srl, che detiene “una opzione di licenza esclusiva (della durata di 18 mesi) per l’utilizzo dei suddetti brevetti”; ogni negoziazione degli accordi economici relativi la registrazione e l’industrializzazione del brevetto è stato posticipato.

Non occorre scavare troppo per individuare che la Vaxxit srl, con un capitale sociale appena pari a 10 mila euro, per il 70% appartiene alla stessa dottoressa Barbara Ensoli. Escludendo qualsiasi ipotesi complottista, potremmo dunque pensare che la scienziata abbia creato una sua società per poter proseguire le ultime fondamentali fasi della sperimentazione sul vaccino in mancanza di ulteriori sovvenzioni pubbliche e, per questa ragione, l’Istituto Superiore di Sanità abbia ceduto alla sua srl il brevetto e i futuri diritti economici ad esso correlato. Tuttavia è stata propria questa parte del reportage di Altreconomia a suscitare il fervore di alcuni esponenti delle istituzioni legate alla sanità statale. “Come è possibile che il ricercatore italiano, pagato dall’ISS, finanziato con i soldi pubblici, apra una sua società che ne detiene la gran parte dei diritti”, ci si domanda? Tentando di smorzare i toni con una battuta, si potrebbe ribattere che chi se lo chiede non conosce bene le particolari abilità e l’inventiva che i ricercatori in Italia da anni mettono in moto nel tentativo di proseguire dignitosamente i propri studi.

Tuttavia come non tener conto delle pesanti ombre sulla fondatezza scientifica della ricerca sollevate da altri luminari della materia? Sono Robert Gallo e Luc Montagnier, gli scopritori nei primi anni Ottanta del virus Hiv, ad avanzare critiche all’utilizzo da parte dell’equipe della Ensoli della proteina virale Tat che appare scientificamente illogica per un vaccino preventivo e superata come vaccino terapeutico. Anche il maestro della Ensoli, Ferdinando Aiuti, ha mosso alcune critiche, di fatto mettendo in dubbio i risultati positivi della fase I della sperimentazione già apparsi nel 2005 sui giornali. A sollevare obiezioni sul modo in cui sono state condotte le sperimentazioni della è persino l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) che ha riscontrato “sette deviazioni critiche e tre deviazioni maggiori” nel percorso di sperimentazione. Ancora più polemici sono stati Vittorio Agnoletto, già Presidente della Lega Italiana per la Lotta contro l’AIDS, e il giornalista Carlo Gnetti, che nel 2012 col loro volume “AIDS, lo scandalo del vaccino italiano” si erano chiesti “Com’è possibile che dal 1998 le ricerche di Ensoli ricevano il 50% dei fondi nazionali per l’Aids; i finanziamenti siano decisi dai beneficiari; i controlli svolti da parenti e amici; i pazienti reclutati e poi eliminati in corso d’opera; le obiezioni degli scienziati liquidate con un ‘tutta invidia’ o si ‘facciano i fatti loro’”.

Dove sta la verità? Probabilmente nelle indiscrezioni su un’ipotesi di scoperta scientifica straordinaria fatta trapelare anzitempo ai giornali e gonfiata mediaticamente a tal punto da ottenere un sostegno finanziario non indifferente dello Stato, nonché l’attenzione internazionale, ancora in mancanza di risultati concreti. La fame di buone notizie per sconfiggere per sempre l’HIV non può che trovare ampio nutrimento nella stampa: solo dall’inizio dell’anno una nota testata giornalistica italiana ha dato notizie su ben due equipe mediche, una tutta italiana e una americana-sudafricana circa la scoperta di vaccini anti-AIDS che starebbero per diventare realtà.

Miriam Rossi

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