A proposito di insulti

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Foto: Unsplash.com

E’ sconcertante. Perché chi dichiara la guerra non è mai chi poi la combatte, chi muore, chi vede la propria vita distrutta. E’ bizzarro. Perché chi vuole eserciti potenti, armi da inviare, resistenze infinite di eroici eserciti, non è mai dalla parte di chi quelle armi le usa o di chi quelle armi subisce. 

A volere le guerre, a pensarle giuste e possibili, ad invocare armamenti come soluzione eterna per avere la pace, sono quasi sempre signori e signore che vivono in belle case, che vanno a cena con gli amici e disquisiscono di questo e di quello, chiedendo al ritorno un thè al cameriere filippino. 

E’ triste vedere uomini e donne che dovrebbero essere dotati di cultura e senno, uomini e donne che vivono – dicono – la democrazia di questa Repubblica e di questa Costituzione, insultare chi chiede non si seguire la strada del riarmo dell’Ucraina e dell’Europa. Nella nostra democrazia, vorrei ricordarlo, è un’opinione legittima e coerente. Tanto coerente e legittima da richiedere la “demonizzazione pubblica e ufficiale” per essere contrastata. Si, perché con la ragione e il dibattito, il palco di chi vuole le armi cade. A spiegare che non è armando le parti che si mette fine alla guerra non ce lo raccontano dotti circoli di geopolitica. No: è la cronaca quotidiana della guerra a dircelo. E’ la storia degli ultimi decenni. La guerra si ferma con il disarmo, togliendo le armi dalla circolazione e facendole tacere. Le armi si fanno tacere con la pressione politica ed economica, con gli strumenti della diplomazia, del diritto, dell’unità politica internazionale verso un obiettivo. Questo significa che gli ucraini non hanno il diritto di difendersi? Certo che hanno il diritto di farlo. Ma noi abbiamo il dovere di sostenerli evitando che si facciano massacrare all’infinito.

La fine della guerra – delle guerre – richiede rigore. Esige capacità di sacrificio reale, con la volontà di sopportare il peso di sanzioni, tagli economici, difficoltà. Chiede anche scelte di campo definitive sui diritti umani e sulla loro applicazione universale, trasformandoli nella linea guida della nostra vita, individuale e collettiva. Parlo di quei diritti umani che, chi oggi suona le trombe della guerra e del riarmo, non si è mai scomodato di far rispettare davvero, permettendo a governi, imprenditori, piccoli truffatori di fare affari con chiunque, soprattutto con autocrati e dittatori. Quei diritti umani che sono quotidianamente calpestati dall’indifferenza reale di chi dalle colonne dei giornali non denuncia mai – o solo raramente - lo scandalo delle leggi sull’accoglienza in Italia, non racconta mai degli affari poco chiari delle nostre imprese nel campo degli armamenti, dell’industria petrolifera, di quella alimentare. Quei diritti umani che vengono ridicolizzati nei contratti di lavoro poco dignitosi offerti ai giovani, nella sanità privatizzata come l’acqua, nella scuola dimenticata da tutte le politiche di rilancio.

Se coloro che oggi tuonano contro chi è contro il riarmo in nome della Pace fossero capaci di riflettere, si accorgerebbero che essere contro le armi significa essere dalla parte della nostra Costituzione. Significa essere dalla parte dei diritti. Non significa – come stanno urlando per gettare fango – essere “putiniani” o essere equidistanti, no. Significa essere così tanto dalla parte di chi è aggredito, da volerlo assolutamente salvare. Trovando soluzioni reali, definitive e non facendo allungare i tempi di una guerra che ogni giorno uccide innocenti.

La disumanità di questi bravi, grassi, signori urlanti è pari solo alla tristezza che sanno generare. Sono grigi, come stupidi hoolingans. Sono vecchi, come coloro che dicono di voler combattere. Sono privi di futuro. Esattamente come priva di futuro è la loro arrogante stupidità. 

Raffaele Crocco

Sono nato a Verona nel 1960. Sono l’ideatore e direttore del progetto “Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo” e sono presidente dell’Associazione 46mo Parallelo che lo amministra. Sono caposervizio e conduttore della Tgr Rai, a Trento e collaboro con la rubrica Est Ovest di RadioUno. Sono diventato giornalista a tempo pieno nel 1988. Ho lavorato per quotidiani, televisioni, settimanali, radio siti web. Sono stato inviato in zona di guerra per Trieste Oggi, Il Gazzettino, Il Corriere della Sera, Il Manifesto, Liberazione. Ho raccontato le guerre nella ex Jugoslavia, in America Centrale, nel Vicino Oriente. Ho investigato le trame nere che legavano il secessionismo padano al neonazismo negli anni’90. Ho narrato di Tangentopoli, di Social Forum Mondiali, di G7 e G8. Ho fondato riviste: il mensile Maiz nel 1997, il quotidiano on line Peacereporter con Gino Strada nel 2003, l’Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo, nel 2009. 

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