A pelo d’acqua, dalla Tunisia a Bruxelles in kayak

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Nell’aprile scorso, Lampedusa, sulle cui sponde giungevano ogni giorno barchette fatiscenti colme di migranti provenienti dal versante africano del Mediterraneo, visse un brevissimo momento di pausa di quel flusso ininterrotto di arrivi che, fino ad allora, partivano dalle coste della Tunisia. Io mi trovavo lì per realizzare un reportage tradottosi poi in “Nulla è accaduto“, documentario sociale per la regia di Luca Sebastiano Insinga. L’isola, in particolar modo tra febbraio e marzo, fu raggiunta da tunisini caduti in stato d’indigenza a causa delle rivolte che deposero Zine El-Abidine Ben Ali dopo 23 anni di esercizio dispotico del potere. Emigravano per non morire di stenti a casa loro.

Quella tregua fu molto breve però, perchè dalla Libia, sconvolta dalla guerra civile, soprattutto chi non era libico cercava di fuggire per timore che i miliziani di Gheddafi li reclutassero forzatamente come mercenari.

A Lampedusa giungevano non orde di barbari, ma persone disperate, impaurite che, perso per perso, avevano deciso di rischiare la vita affrontando la traversata in mare aperto con una zattera a pelo d’acqua.

Lampedusa mi apparve allora come un luogo dove si potevano ascoltare mille voci, ognuna delle quali parlava una lingua diversa, dialetti compresi. Tra queste ebbi modo di conoscere Georges Alexandre, franco-canadese di origini portoghesi, fondatore di “Kayak per il diritto alla vita“, movimento per la difesa dei diritti umani, giunto a Lampedusa nel novembre 2010, cioè prima che iniziassero gli sbarchi.

Alex è una persona circondata da un’aura di positività. Sempre sorridente, disponibile e pieno di energia. Aveva raggiunto Lampedusa per denunciare la politica italiana di rimpatrio forzato degli immigrati giunti via mare dalla Libia, come previsto dallo scellerato Trattato d’amicizia italo-libico firmato a Bengasi il 30 agosto 2008, compiendo il giro dell’isola con il suo kayak (19-20 novembre 2010). Oggi invece sta promuovendo una petizione affinchè venga istituita un’organizzazione europea volta alla gestione dell’immigrazione e delle domande d’asilo da presentare al Parlamento Europeo che raggiungerà in kayak. Sì, avete letto bene, non è un refuso: in kayak. Avete presente la canoa tipica degli Inuit? Ecco quella. Solcherà mari e fiumi per più di 3000 km, da Lampedusa a Bruxelles.

Quando eri a Lampedusa, oltre a rappresentare “Kayak per il diritto alla vita”, eri anche agente per un’altro network internazionale impegnato nella tutela dei diritti umani e civili, Everyone Group. È tramite questi due canali che hai cominciato ad occuparti dell’emergenza sbarchi iniziata a febbraio 2011?

Sì esatto. A dire il vero presi contatto con Everyone già nel dicembre 2010. Ma la mia collaborazione con loro si può far risalire al 9 febbraio quando io e Mauro Seminara (collabotore di Sky News e de Il Giornale di Sicilia), fummo tra i primissimi testimoni del primo grande sbarco di migranti (204 persone giunti a Lampedusa e 13 presso le coste di Linosa). Mi trovavo su una nave partita da Lampedusa e diretta a Porto Empedocle sulla quale vennero imbarcate anche le persone che arrivarono quella sera. Nel tragitto fui contattato via telefono da Roberto Malini co-fondatore di Everyone Group che mi chiedeva a nome di Laura Boldrini di essere il rappresentante temporaneo per l’UNHCR-Italia al fine verificare che non fossero lesi i diritti delle persone imbarcate sulla nave.

Vale a dire?

Mi era stato chiesto di mettermi in contatto con i comandanti dei carabinieri che scortavano quel gruppo di migranti, per verificare le condizioni di questi ultimi e che fossero stati messi a conoscenza dei loro diritti, in particolare della possibilità di chiedere lo status di rifugiato o la protezione internazionale.

Ricordo che furono messi tutti in una grande sala posta a poppa della nave dalla quale uscivano a turno in piccoli gruppi, scortati dai carabinieri, affinchè potessero prendere un po’ d’aria sul ponte e fumare una sigaretta. Io allora colsi l’occasione avvicinandomi a loro, e non appena queste persone si resero conto che parlavo francese venni più o meno circondato pacificamente. Parlando con questi tunisini, mi resi conto che nessuno di loro conosceva il diritto, e quindi i vantaggi, di chiedere lo status di rifugiato. Anzi, mi guardavano con delle espressioni stupite anche quando parlavo di diritti umani. Questo credo faccia comprendere molto sulla realtà dalla quale provenivano.

Prima di conoscere Everyone tu però avevi fondato il movimento “Kayak per il diritto alla vita”. Perchè la scelta del kayak per testimoniare la violazione dei diritti umani?

Le sofferenze patite dalle persone che decidono di affrontare una traversata così pericolosa, non si possono comprendere solo a parole. Ecco perchè ho scelto il kayak. Mi permetteva di stare in mare aperto a pelo d’acqua, in pratica come coloro i quali giungono su qualche isola del Mediterraneo meridionale su delle barche, che a chiamarle così ci vuol coraggio. Immagina queste imbarcazioni, stracolme di persone che la appesantiscono in modo tale da rendere un miracolo ogni approdo alla terra ferma.

A dire il vero, fino a giugno 2010 avevo praticato il kayak solo in qualche rara occasione, nei laghi del Canada e non in mare. Così ho frequentato un corso intensivo di tre settimane lungo le coste dei paesi baschi, durante le quali ho imparato a manovrare questa imbarcazione, anche in mare aperto. La circumnavigazione di Lampedusa è solo una delle traversate in kayak che ho finora compiuto. In seguito, sono partito dalla Tunisia raggiungendo proprio Lampedusa dopo 4 (10-13 settembre 2011). Quindi Lampedusa-Linosa (5 ottobre 2011) ed infine da Linosa a Malta (2-5 dicembre 2011).

Prima hai detto di essere stato testimone di tutto il periodo di sbarchi provenienti dalla Tunisia e dalla Libia. Tu che idea ti sei fatto sulle persone che arrivavano, sapendo che in Italia vi sono molti che cercano di utilizzare questi fenomeni per creare un clima di paura?

Innanzitutto che non c’è differenza tra chi arriva da luoghi di guerra come i paesi del Corno d’Africa e paesi come Libia e Tunisia. Attualmente lo status di rifugiato viene conferito solo a chi proviene dai primi, mentre gli altri sono visti come semplici migranti, al pari di me e te qualora decidessimo di migrare per lavoro in un paese dell’Africa. Ma questo è assurdo. Le persone fuggono perchè stanno male, perchè muoiono di fame. Che differenza passa tra una persona che vive in un contesto di guerra e un’altra dove ti entrano in casa mentre dormi, distruggendo e bruciando tutto quello che hai?

Spiegati…

Certo. A Lampedusa incontrai un ragazzo di 27 anni che in Tunisia era riuscito ad aprire un piccolo negozio (un laboratorio fotografico). Con la rivolta che ha spazzato via Ben Ali però, è avvenuto che una sera, sfruttando il momento di anarchia in cui si trovava il paese, un gruppo di persone entrò con la forza nel suo negozio, rubarono tutto ciò che aveva e infine diedero fuoco allo stabile che ospitava non solo il negozio, ma anche la sua abitazione. In una notte perse tutto e fu costretto a ritornare dai suoi genitori. Allora? Che differenza c’è tra Tunisia o Somalia? Che in Somalia ti uccidono?

Poi c’è la questione del futuro. In Tunisia i giovani si realizzano se formano una famiglia. Anche per questo emigrano. Senza soldi non potranno mai sposarsi, avere dei figli e quindi una famiglia. Certo tra questi migranti vi sono anche degli avventurieri, ma la maggior parte di loro sono persone che hanno una gran voglia di vivere e aiutarli serve anche all’Europa, perchè il loro entusiasmo è una motivazione a riprenderci il nostro futuro, rimboccandoci le maniche come fanno loro.

Adesso ti stai preparando per la tua risalita del Mediterraneo prima, e dei fiumi dell’Europa occidentale poi, per giungere fino a Bruxelles e consegnare ai parlamentari europei le firme raccolte con la tua petizione. Quali sono le tappe del tuo tragitto e quando credi di arrivare a Bruxelles?

Risalirò le coste occidentali della penisola italiana fino a giungere, spero verso luglio 2012, alle foci del fiume Rhône (il Rodano). Da lì potrò arrivare fino a Lione e a quel punto percorrerò la Francia attraverso canali e fiumi, fino a raggiungere, salvo devizioni dovute ad imprevisti o inviti di persone che incontrerò lungo il mio cammino, Bruxelles, spero, entro mese di ottobre.

È presto per dire quale sarà l’attenzione che i politici europei rivolgeranno all’impresa di Alex che ha il merito di criticare una scelta politica strategicamente sbagliata e moralmente non conforme a quelli che sono i principi d’ispirazione del progetto d’integrazione europea, avviatosi con la firma del Trattato di Roma nel 1957.

Il fallimento del piano che prevedeva l’esternalizzazione della frontiera europea richiede l’elaborazione di una nuova politica per la regolazione dei flussi migratori che metta al centro il rispetto dei diritti umani finora trascurati o utilizzati solo per la retorica diplomatica.

L’istituzione di un centro logistico che gestisca in modo coordinato tanto i flussi migratori, quanto le organizzazioni che si occupano della tutela del diritto d’asilo, sarebbe un primo concreto passo verso un’Europa meno conflittuale, più coesa e integrata sulla base di quei valori, il cui rispetto determinerebbe un aumento della fiducia interna della collettività e il ridimensionamento dello scontro sociale riguardo questioni delicate come l’accoglienza degli immigrati socio-economici e delle persone in fuga da contesti di guerra.

In questo senso, visto il recente rinnovo del trattato d’amicizia italo-libico e la recente visita del primo ministro Mario Monti, ci auguriamo che il nuovo corso in Libia si differenzi dal regime dei Gheddafi, soprattutto per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani e civili, e che l’Europa non accetti alcuna deroga in tal senso. In caso contrario, non vi è alcun dubbio che si ripeterà la triste e sanguinosa storia, che negli ultimi cinquant’anni ha contraddistinto i regimi politici dei paesi africani e medio-orientali affacciati sul Mediterraneo, in particolar modo nei momenti di “ricambio”, come avvenuto nel 2011 in Tunisia, Egitto, Libia e forse, prossimamente in Siria.

Pasquale Mormile

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