www.unimondo.org/Notizie/A-cinquanta-anni-da-The-Times-They-Are-a-Changin-144972
A cinquanta anni da The Times They Are a-Changin
Notizie
Stampa
Cinquanta anni fa, in questo mese, Bob Dylan, allora ventiduenne, aveva pubblicato il suo terzo album: The Times They Are a-Changin’, (I tempi stanno cambiando), il culmine e la fine, come poi è venuto fuori, del suo periodo di “protesta”. Dylan ha rinunciato a questo genere così rapidamente, e in seguito ha fatto fare ai suoi ammiratori un viaggio così eccitante, che c’è la tendenza a minimizzare lo straordinario successo e impatto della sua opera in questa breve fase iniziale di una lunga carriera.
Come raccolta, l’album è uno degli alti livelli della composizione di canzoni politiche in qualsiasi genere musicale. Queste canzoni sono mini-capolavori creati in modo meraviglioso e rigorosamente mirati. E hanno un acume radicale, una durezza politica che si trova raramente nella musica folk di quel periodo. Inni di lode astratti per la pace e la fratellanza non erano fatti per Dylan; le canzoni sono inflessibili nella loro rabbia e spietate nella loro analisi.
L’album comprende le due canzoni che Dylan aveva cantato alla Marcia su Washington, sei mesi prima. Mentre, però Martin Luther King faceva leva su un futuro generalizzato, Dylan toccava un tasto molto diverso. Una delle canzoni era : ‘When the Ships Comes In’, [Quando la nave arriverà] una fantasia di vendetta il cui punto culminante, gioiosamente vendicativo, è una visione della totale distruzione degli oppressori.
L’altra era ‘Only a Pawn in Their Game’ [Soltanto una pedina nel loro gioco], scritta in reazione all’assassinio di un leader impegnato nella difesa dei diritti civili, Medgar Evers, avvenuta nel Mississippi, nel giugno 1963. Il soggetto della canzone, tuttavia, non è l’attivista martire, ma l’uomo che lo ha ucciso. Invece che trattare quell’uomo come un criminale o uno psicopatico, Dylan lo rappresentava come il prodotto di un sistema: un sistema che metteva i bianchi poveri contro i neri poveri a beneficio di un’elite. “Un politico del sud predica all’uomo bianco povero/’Hai di più dei neri, non lamentarti./Sei migliore di loro, sei nato con la pelle bianca,’ gli spiegano.” Era un’analisi classista della supremazia bianca, fatta in un’epoca quando era un’idea marginale anche all’interno del movimento per i diritti civili – anche se questo sarebbe presto cambiato.
In ‘The Lonesome Death of Hattie Carroll’ [La morte solitaria di Hattie Carroll’], Dylan di nuovo inserisce un atto di violenza razzista nell’ambito di un più ampio sistema di gerarchia sociale. E’ una storia raccontata con la considerazione di uno sdegno contenuto che porta a un devastante risultato finale nell’ultimo verso che rivela la complicità nel crimine dello stato e, della società in generale. “Ora,” ci rimprovera Dylan, “è arrivata l’ora per le vostre lacrime.” Cosa insolita per quell’epoca, Dylan non ha permesso ai suoi spettatori di compiacersi della superiorità morale. In ogni momento contestava il compiacimento liberale.
Il modo di trattare la crudeltà di classe è In ‘Hollis Brown’, un agricoltore è spinto alla distruzione della sua famiglia e di se stesso dalla brutale pressione della povertà. ’North Country Blues’ [I blues del paese del nord] raccontano il destino di una città del Minnesota dove ci sono miniere di ferro quando i loro proprietari trasferiscono la produzione nelle “città del Sud America dove i minatori lavorano per pochissimo”. E’ una storia di de-industrializzazione e di globalizzazione, scritta molto tempo prima che quei termini entrassero nel lessico.
La canzone ‘With God On Our Side’ (Dio è dalla nostra parte’), un ampio esame delle guerre dimenticate americane, dal genocidio della popolazione nativa allo stallo nucleare della Guerra Fredda, è una revisione radicale della versione autorizzata della storia american (decenni prima di Howard Zinn). Nel suo centesimo anniversario risalta il verso sulla I Guerra mondiale: “Il motivo per combattere/Non l’ho mai capito bene/Ma ho imparato ad accettarlo/Accettarlo con orgoglio/Perché non si contano i morti/Quando Dio è dalla nostra parte.”
Da dove arrivava la politica? Woodie Guthrie è stato il primo collegamento di Dylan con il radicalismo degli anni ’30 e a New York ha incontrato altri reduci della allora semi-dimenticata era del Fronte Popolare, compreso Pete Seeger. Sulla scena del folk del Greenwich Village, si è mescolato con i socialisti, gli anarchici e i pacifisti. Anche se non lo avete saputo dal film ‘Inside Llewin Davis,’ questo era un ambiente vibrante di discussioni politiche e di idee radicali.
Però la scintilla è stata certamente l’improvviso aumento dell’attivismo giovanile, soprattutto nei sit-in nel sud, dove i giovani erano impegnati in una sfida diretta con il potere e riuscivano a ridefinire i confini del politicamente possibile. La loro audacia forniva a Dylan e ad altri la sicurezza di “dire la verità al potere”.
L’album comprende anche tre canzoni intime, enigmaticamente personali. ‘Boots of Spanish Leather’ [Stivali di cuoio spagnolo] e ‘One Too Many Mornings’ [Una mattina di troppo] sono entrambe equivoche da un punto di vista evocativo. ‘Resteless Farewell’ (Addio inquieto), la canzone finale dell’album, è specialmente interessante perché accenna all’allontanamento imminente di Dylan da quella che sarebbe arrivato a considerare come la camicia di forza della canzone di protesta.’ “Così dirò anche io la mia/ e resterò come sono/e dirò addio/ e non me ne importerà nulla.”
Come per il titolo antemico della canzone, anche nella sua epoca, molti hanno trovato irritante anche la sua ingenuità e la sua arroganza generazionale. E tuttavia, nell’esprimere con queste ampi tratti retorici la convinzione che il cambiamento epocale fosse possibile e imminente, Dylan ci ha lasciato con l’essenza preziosa di un momento storico. Nel corso dei decenni, la canzone ha acquisito una patina elegiaca, mentre le speranze millenarie che la hanno prodotta, svaniscono in lontano passato. Ma proprio come le ingiustizie contestate dalle canzoni di Dylan sono ancora molto presenti tra noi, così anche la necessità per l’aspirazione di emancipazione onnicomprensiva di ‘The Times They Are A-Changing’.
Mike Marqusee da Znetitaly.altervista.org