26 giugno: Giornata delle vittime della tortura

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Le fotografie dei soldati statunitensi intenti a umiliare e terrorizzare prigionieri inermi nel carcere iracheno di Abu Ghraib, diffuse nel corso del 2004, hanno scioccato il mondo intero. Ma le azioni riprese dalle foto-camere non erano aberrazioni isolate. Nei due anni precedenti, Amnesty International aveva denunciato casi del genere in Afghanistan, in Iraq e a Guantánamo Bay e altrettanto ha fatto nei due anni successivi. Nel contesto della "guerra al terrore", la proibizione internazionale della tortura e degli altri trattamenti crudeli, inumani e degradanti è stata rimessa in discussione da parte di molti Stati, i cui pubblici ufficiali hanno inflitto sofferenze inenarrabili a centinaia e centinaia di prigionieri, ricorrendo a metodi così abominevoli e brutali da essere stati da lungo tempo messi al bando dalla comunità internazionale - riporta Amnesty International per la "Giornata delle vittime della tortura" che ricorre oggi 26 giugno.

L'idea che la tortura e i maltrattamenti siano sempre sbagliati è in auge da molti anni. Non si tratta della visione virtuosa di una minoranza "liberale": decine di governi di ogni parte del mondo l'hanno accettata e hanno scritto, nero su bianco, nel diritto internazionale che non c'è mai alcuna circostanza che possa giustificare la tortura e i maltrattamenti, neanche la guerra o un'emergenza nazionale.

All'indomani della Seconda guerra mondiale, un consenso mondiale via via crescente ha portato alla proibizione generale della tortura e dei maltrattamenti. La Dichiarazione universale dei diritti umani (1948) afferma che ogni persona ha il diritto alla libertà dalla tortura e dai maltrattamenti. Le Convenzioni di Ginevra (1951) e i loro Protocolli (1967), che regolano la condotta di guerra e dei conflitti armati, vietano esplicitamente la tortura e i maltrattamenti nei confronti dei prigionieri di guerra e di altre persone che non prendono parte ai combattimenti.

Ora, questo consenso è a rischio. Esponenti dell'amministrazione Usa, affiancati da accademici, giornalisti e intellettuali, in patria e all'estero, stanno elaborando e portando avanti tesi per giustificare l'indebolimento del divieto di tortura.

Alcuni di essi affermano che il mondo è cambiato irrevocabilmente dopo gli attacchi dell'11 settembre 2001; attacchi peraltro condannati da AI come crimini contro l'umanità. Dicono, in sostanza, che la risposta alla minaccia del terrorismo non può più essere vincolata dalle vecchie regole condivise nell'ambito della comunità internazionale. Altri tentano di operare una distinzione tra la tortura e gli altri trattamenti crudeli, inumani e degradanti, dichiarando che la prima è un errore ma i secondi possono essere consentiti. In questo modo, mentre danno a vedere che la loro opposizione alla tortura rimane immutata, giustificano l'uso di tecniche che costituiscono come minimo maltrattamenti e che in ogni caso sono assolutamente proibiti dal diritto internazionale.

Il governo statunitense guida la cordata di coloro che sostengono che le vecchie regole del gioco non possono essere più seguite e che alle persone catturate nel corso della "guerra al terrore" si debba negare la protezione conferita dalle Convenzioni di Ginevra. Negli ultimi cinque anni gli Usa, con la complicità di altri paesi, hanno catturato persone in varie parti del mondo, le hanno tenute in carceri segrete, le hanno trasferire illegalmente da un paese all'altro e le hanno sottoposte a torture e maltrattamenti. Alti funzionari dell'amministrazione Usa hanno autorizzato l'uso di tecniche d'interrogatorio crudeli, inumane e degradanti che possono essere considerate tortura.

Essendo il paese più potente del mondo, il comportamento degli Usa influenza quello di qualunque altro governo, incoraggia la diffusione di azioni inaccettabili e fornisce riparo a chi pratica la tortura. La campagna di AI per porre fine alla tortura e ai maltrattamenti nella "guerra al terrore" chiede agli Usa di assumere un ruolo-guida nel ribadire e nel rafforzare i valori della dignità umana che Washington afferma di tutelare. Questi valori, al contrario, sono stati traditi tanto dagli Usa quanto da altri governi che sono stati veloci nell'adeguarsi alla tendenza.

Alcuni governi - tra cui quelli di Cina, Egitto, Malesia, Arabia Saudita, Uzbekistan e Yemen - hanno così iniziato a usare la retorica della "guerra al terrore" per mascherare e, in alcuni casi, intensificare le tradizionali politiche repressive. Altri - come quelli di Australia, Giordania, Regno Unito e di alcuni paesi della Penisola araba - hanno introdotto o rafforzato legislazioni draconiane e pratiche illegali. In altri paesi, come la Germania, la Turchia e ancora il Regno Unito - le autorità hanno affrontato con grande riluttanza il fatto che loro connazionali fossero stati catturati o sottoposti a torture e maltrattamenti da parte delle forze Usa. Egitto, Gambia, Kazakistan, Marocco, Pakistan, Svezia e altri paesi ancora, tra cui la stessa Italia, hanno consentito ad agenti stranieri (di paesi tra cui Cina, Egitto, Siria e Usa) di prelevare illegalmente persone dal proprio territorio. In paesi dove la tortura e i maltrattamenti sono diffusi, i governi si sono sentiti incoraggiati dal nuovo clima di tolleranza: è il caso, solo per citarne alcuni, di Pakistan, Russia, Siria e Yemen.

Lo scandalo di Abu Ghraib ha costretto alti esponenti dell'amministrazione Usa a condannare gli atti immortalati dalle fotografie scattate in quella prigione - pur precisando che si trattava di azioni atipiche da parte di pochi soldati - e a ribadire l'opposizione degli Usa alla tortura (ma non ai maltrattamenti). Tuttavia, un anno dopo la diffusione di quelle immagini e nonostante ulteriori denunce di tortura, non una sola persona era stata incriminata per tortura o per altri crimini di guerra sulla base delle leggi interne statunitensi. Solo alcuni soldati di basso rango sono stati incriminati per assalti e atti di crudeltà nei confronti dei prigionieri. Le incriminazioni non hanno raggiunto gli alti livelli della catena di comando.

Ogni governo ha il dovere di prendere provvedimenti per proteggere i propri cittadini da attacchi violenti ma, nel fare questo, non deve ricorrere a metodi che violino i diritti umani. Il divieto di tortura e di maltrattamenti rimane assoluto, in ogni circostanza. I governi che usano la tortura, usano una tattica di terrore. Sia i terroristi che i torturatori puntano sulla paura per raggiungere i propri obiettivi. Tanto gli uni quanto gli altri negano l'essenza stessa dei diritti umani e della decenza umana. Sia la tortura che il terrorismo devono essere respinti in modo assoluto, senza alcuna eccezione - conclude il comunicato di Amnesty International.

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