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2 giugno: Tutti in divisa!
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Tutti in divisa per la parata militare del 2 giugno. Volontari e obiettori, pacifisti e operatori della Protezione civile siamo tutti reclutati. A qualcuno piacerebbe che salutassimo le Autorità del palco d'onore sull'attenti, battendo i tacchi e levando ritto lo sguardo. Di fatto, in divisa ci siamo già. Settimi al mondo per spese militari gli italiani spendono, senza saperlo, più dei tedeschi per la Difesa: 484 dollari pro-capite a fronte dei 411 della Germania riporta l'accurata tabella del Sipri, l'Istituto di ricerca sulla pace di Stoccolma.
Eppure a sentire i dibattiti televisivi - rarissimi su questo tema a dire il vero - sembra che tutti i nostri politici concordino su un fatto: per spese militari l'Italia sarebbe il fanalino di coda dei Paesi industrializzati. Qualcuno, in proposito, ha anche dileggiato il Governo Berlusconi: partito sei anni fa lancia in resta annunciando maggiori spese per la sicurezza e la difesa, ha concluso miseramente portando il Bilancio della Difesa al di sotto della soglia di guardia dell'1 percento del Pil. "Una manovra che piacerà ai pacifisti" - commentavano sornioni nei corridoi i suoi avversari.
Che alle prime avvisaglie di tagli alla Difesa hanno prontamente chiamato a rapporto Forze armate, Servizi segreti e industria militare: "Mai nella storia repubblicana il rapporto tra funzione difesa e Pil era sceso sotto l'1%. Il valore critico raggiunto quest'anno dalle risorse assegnate al settore (0,84% del Pil) è il punto più basso di una sequenza decrescente che ha segnato il corso dell'intera legislatura" - tuonava Marco Minniti (Ds) al convegno 'Le nuove sfide della difesa italiana' organizzato dai DS lo scorso novembre. A Piero Fassino il compito di rassicurare gli animi: "Gli stanziamenti contenuti nella finanziaria per la Difesa sono pochi e, qualora l'Unione dovesse vincere le elezioni, dovrà impegnarsi a inserire finalmente come capitolo apposito di bilancio il finanziamento delle presenze militari italiane all'estero". Il Segretario Ds concludeva assumendo solennemente almeno l'impegno "fin da questa finanziaria di segnare una piccola inversione di tendenza". Insomma, se Berlusconi fa il pacifista, state tranquilli ci siamo noi a rimettere le cose a posto.
Già Berlusconi. Ma non era lui il "commesso viaggiatore" della nostra industria armiera? Le altre promesse del "Contratto con gli italiani" forse non le ha realizzate, ma questa sì. Durante il suo quinquennio le autorizzazioni all'esportazione di armi rilasciate dal Governo sono balzate dai 904 milioni del 2000 agli oltre 1.361 milioni del 2005, dopo aver toccato un picco di 1.631 milioni di euro nel 2004. Nel contempo sono aumentate anche le consegne che sono passate dai 554 milioni di euro del 2001 agli oltre 897 milioni del 2005, segno evidente che gli ordinativi promossi dal commesso viaggiatore non sono restati sulla carta ma stanno andando a "buon" fine. Esportazioni che, per il 45% vanno a finire nei Paesi del Sud del mondo e nelle aree calde del pianeta: l'ultima Relazione sull'export di armi ci informa, infatti, che tra i primi dieci acquirenti di sistemi militari "made in Italy" ben sette stanno tra Medioriente e Asia: Turchia (116 milioni di euro), India (104 milioni), Singapore (88 milioni), Egitto (77 milioni), Oman (55 milioni), Emirati arabi (54 milioni) e Pakistan (49 milioni) e solo questi fanno più del 45% degli ordinativi.
Ma Berlusconi, da imprenditore, ha capito che non si trattava soltanto di piazzare prodotti, bensì di creare alleanze strategiche. Così nel suo quinquennio ha ratificato tutta una serie di "Accordi per la cooperazione nel campo della Difesa" che, tra l'altro, prevedono acquisizioni e produzioni congiunte di armamenti come "bombe, mine, razzi, siluri, carri, esplosivi ed equipaggiamenti per la guerra elettronica". Tra questi spiccano quelli con Lituania (2002), Romania (2003), Bulgaria, Croazia e Egitto (2003), Uzbekistan (2003), Gibuti (2003), Giordania (2004), Indonesia (2004), Algeria e Israele (2005), Georgia e Kuwait (2005), mentre sono in rimasti in sospeso quelli con India e⅀ Cina. Accordi che - come segnalava l'ex ministro della Difesa, Sergio Mattarella - favoriscono "l'applicazione di un regime privilegiato nelle procedure relative all'interscambio di armamenti tra i due Paesi" col rischio di "un grave svuotamento delle disposizioni contenute nella legge 185 del 1990".
Un bell'en plein, non c'è che dire. Mettiamoci, dunque, la mimetica e il 2 giugno sfiliamo fieri: in armi ci siamo già e alla grande.
di Giorgio Beretta
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