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11 settembre: le critiche della stampa alla 'guerra al terrore'
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Cinque anni dopo l'11 settembre, nel mondo - accanto alla rinnovata commozione per le vittime degli attacchi al World Trade Center e al Pentagono - sui quotidiani di tutto si svolge un acceso dibattito sulla guerra al terrorismo e sulla sicurezza negli Stati Uniti. Il numero dei soldati Usa uccisi in Afghanistan e in Iraq ha da tempo superato di gran lunga il bilancio ufficiale delle vittime degli attentati del 2001, la popolarità del presidente George W. Bush è stagnante intorno al 30%, mentre diversi sondaggi rivelano che il mondo si sente meno sicuro e diffida della politica estera degli Stati Uniti.
Critiche si levano innanzitutto in Gran Bretagna, principale alleato degli Usa nella guerra contro quello che viene definito "asse del male": solo il 7% dei cittadini britannici crede che la guerra anglo-statunitense riuscirà a risolvere la situazione. Netto anche il giudizio del quotidiano 'The Independent', che a proposito dell'attacco alle Torri Gemelle titola oggi in prima pagina: 'Un cataclisma eclissato dalla reazione militare statunitense'.
Lo stesso concetto viene espresso da un editoriale del quotidiano francese 'Liberation'. "L'emozione - si legge - è intatta nel rivedere le immagini delle torri che crollano", ma "l'amministrazione Bush è riuscita ad annullare l'immenso slancio di compassione e solidarietà". 'Le Figaro' scrive che non solo, "oggi l'America nel mondo ha più nemici di prima", ma "tutto il mondo oggi sembra più pericoloso rispetto a ieri".
Critiche e scetticismo anche in Medio Oriente e in Asia. In Afghanistan, se il presidente Hamid Karzai esprime "la sua profonda gratitudine" per l'intervento statunitense, la popolazione sostiene di non aver visto alcun miglioramento nel paese e che anzi "negli ultimi 30 anni è un continuo 11 settembre per l'Afghanistan". La strategia statunitense "aggressiva ingiustificata" in Iraq e Afghanistan ha distrutto "la pace nel mondo intero", osserva in Pakistan Liaqat Baluch, un esponente del 'Forum d'azione unita', la coalizione di sei gruppi islamici all'opposizione. "È chiaro che la politica di forza, forza e ancora forza, è fallita. Il risultato ora è chiaro: è dimostrato che la 'guerra al terrore' sia stata un errore" si legge sul quotidiano pachistano 'The Nation'.
"Dall'11 settembre del 2001 gli attacchi e incidenti terroristici sono aumentati invece di diminuire. Perché gli Usa e i partner della loro coalizione non sono riusciti a sconfiggere i terroristi ispirati da Osama Bin Laden? E quale impatto hanno avuto sugli Stati africani gli sforzi globali contro il terrorismo?" - sono i primi tre capoversi del lucido editoriale, firmato da Samuel Makinda, in cui oggi il Daily Nation, il più diffuso quotidiano keniano, traccia un bilancio degli ultimi 5 anni di lotta al terrorismo, iniziata all'indomani dell'attacco condotto contro le due torri del World Trade Center di New York.
In tre agili paginette, Makinda (uno dei giornalisti di punta del Nation) esamina gli errori della cosiddetta lotta al terrorismo e valuta l'impatto che questa ha avuto su democrazie giovani soprattutto in Africa. "Gli Usa e i suoi alleati non sono stati capaci di contenere il terrore per l'approccio con cui hanno intrapreso la loro campagna: prima di tutto la diagnosi delle cause del terrorismo transazionale è stata superficiale e fuorviante. Sebbene la maggior parte delle persone coinvolte nel terrorismo sia musulmana, il fondamentalismo islamico è responsabile in minima parte dei loro comportamenti legati piuttosto a questioni politiche come la causa palestinese, l'invasione dell'Afghanistan o dell'Iraq" - scrive Makinda, sottolineando come "la recente distruzione israeliana nel sud del Libano ha dato un impulso ai combattenti della resistenza - chiamati anche terroristi - come nessuna moschea sarà mai in grado di fare".
Questa premessa, sbagliata secondo l'editorialista, porta di conseguenza a una serie di errori a cascata. "Gli Usa e i suoi alleati hanno portato avanti politiche anti-terrorismo incentrate su persone come Bin Laden o Al-Zarqawi, come se la loro cattura o la loro uccisione fosse in grado di far scomparire la minaccia. Così facendo non vi è stato alcun progresso nel risolvere i problemi politici, sociali ed economici che causano il malcontento da cui si sviluppano i terroristi" aggiunge l'editorialista del Nation. Terzo e ultimo punto, nella disanima di Makinda, "l'adozione a partire dal 2001 di politiche interne che hanno portato alla riduzione dei diritti umani dei cittadini" dei paesi impegnati nella cosiddetta lotta al terrorismo.
È su questo terzo punto, che l'editorialista si sofferma maggiormente, analizzando con pazienza quello che identifica come "il controsenso più evidente della lotta iniziata dopo l'attacco dell'11 settembre". "Prima di tutto, così facendo (Usa e alleati, ndr) hanno dimostrato ai terroristi che possono avere un impatto sul modo in cui vengono governate le società occidentali. Chi ha programmato l'attacco alle torri gemelle non avrebbe mai pensato ai cambiamenti che sono seguiti nelle strutture di governo dei paesi occidentali. Le leggi adottate da molti governi occidentali e africani dimostrano che gli attacchi dell11 settembre hanno avuto conseguenze superiori anche ai più rosei sogni dei terroristi". "Indebolendo alla base valori, norme e regole riconosciute universalmente - come le Convenzioni di Ginevra - i governi occidentali hanno minacciato direttamente quegli stessi valori che dicono di voler proteggere dai terroristi" aggiunge Makinda.
Proprio questo aspetto della lotta al terrorismo, secondo l'editorialista keniano, ha comportato le maggiori conseguenze per l'Africa. "La risoluzione 1373 dell'Onu, in cui si chiede ai paesi di incrementare le misure per combattere il terrore, ha portato in Africa come in altri paesi del mondo all'approvazione di leggi anti-terrorismo". Misure, spiega il giornalista, che, a vari livelli, corrodono diritti umani e libertà civili, ma che causano i danni maggiori in democrazie più giovani, come quelle africane: "I danni e le minacce provocati da questo tipo di legislazioni sono ancora più pesanti in paesi che non hanno una specifica legislatura in materia di difesa dei diritti umani o altri meccanismi di protezione simili. Solo 20 dei 52 stati che compongono l'Unione Africana - precisa Makinda - hanno costituito commissioni per i diritti umani o organismi simili".
Chiudendo il suo editoriale, il giornalista del Nation torna sul binomio sviluppo-terrorismo, citando un discorso del presidente della Banca Mondiale, James Wolfensohn, tenuto nel 2002. "Non riusciremo a creare un mondo migliore e più sicuro solo con bombe e brigate di soldati" disse Wolfensohn riferendosi direttamente alla minaccia terroristica e sottolineando l'importanza della lotta alla povertà. "La povertà di per sé - conclude Makinda nel suo editoriale - non causa il terrorismo, ma è capace di unirsi ad altri fattori e scatenare la violenza politica. I terroristi che hanno organizzato l'11 settembre potevano anche essere ricchi, ma hanno definito la loro identità rilanciando le aspirazioni di milioni di persone a cui in Medio Oriente vengono negati giustizia e sviluppo".