Non cantano più gli uccelli (parte seconda)

Stampa

[Continua]

Sorridevo quando, durante il periodo di preparazione in Italia, i volontari rientrati dai Grandi Laghi c’insegnavano ad uscire dalle emergenze. Ci dicevano di non contraddire i soldati; di dormire sotto le finestre; di tenere aperto il collegamento radio, di contrattare le richieste di corruzione e così via. Non li ascoltammo, naturalmente. Anzi. Arrivato a Rilima mi lamentai con la direzione del Centro per l'esile rete che divideva il paese con l'ospedale. La vedevo come un ostacolo tra noi e la gente. Il 6 aprile avrei desiderato un muro alto 6 metri con i reticolati a corrente 380 a protezione del mondo che c'era attorno a me. La vita? Una contraddizione.

Sono arrivato a desiderare i mercenari. Potevano sparare qualsiasi cifra, li avrei assoldati. Mi son fatto paura ed ho avuto paura. Stavo entrando, anch'io, nella logica viziosa della guerra..paura dell'altro...difesa armata...incutere paura....sino alla morte. Ti cambia la mente. Ti fa paura.

L'esile rete permise a decine di persone di salvarsi la vita, durante la prima e le seguenti notti. Decine di persone scampate dal genocidio.

Il personale del Centro inizia a dividersi. Hutu da un lato e tutsi dall'altro.
 - “No. Non dividiamoci!” Urla l'assistente sociale responsabile del Centro. Dobbiamo stare uniti.

- “Così ci uccidono sia noi che voi!” Le risponde l'amica di etnia hutu che ha saputo di esser tale solo perché fu scritto, su mandato coloniale, sulla carta d'identità. Nel vicino Burundi I gruppi che non si dividevano venivano passati tutti all'arma bianca. O impari ad odiare o muori.

Bisogna quindi preparare, per i tutsi, un nascondiglio sicuro, all'insaputa degli altri. All'insaputa di tutti. C'è una camera oscura vicino alla sala operatoria. Nessuno ne conosce l'esistenza a parte i medici. Mettiamoci alcune coperte ed in piena notte portiamoci i tutsi. Se arriverà l'esercito o i genocidari non li troveranno. Basta un paio di armadi pesanti in ferro per ostruirne l'ingresso.

Li hanno poi trovati. A fare la spia è stato colui con il quale ho lavorato fianco a fianco per quasi un anno. Viveva in miseria nel pre conflitto e gridò vittoria durante i massacri. Un grido di liberazione di cui molti troppi si son pentiti. Una vendetta che dura sino ai giorni nostri e che s'è allargata alle diaspore di mezzo continente.

L'esito futuro del conflitto si decide a New York; al Palazzo di Vetro. L'anglofonia (Usa, Gran Bretagna) avrà la meglio sulla francofonia di Mitterand amico del presidente ucciso. 

Infiniti rifornimenti d'armi via Uganda renderanno i tutsi vincitori ovunque mentre si blocca, manu militare, il flusso d'armi via Zaire. Con i tutsi arriva la Chiesa protestante, la legislazione su modello inglese. Sia a Kigali che a Bujumbura, oggi, i bambini studiano in inglese. Politica internazionale ed adattamento.
 - “Il ministro. In linea c'è il ministro!” Grida l'amico Giandomenico. Via satellite la Farnesina ci raggiunge. Ci garantisce che in breve tempo saranno da noi gli italiani, anzi, i paracadutisti francesi. Forse i belgi. Capiamo che le trattative non sono tra le più facili.

Passeranno, poi, lunghe giornate. L'interramento di mine da parte dell'esercito rwandese e le minacce da parte del Fronte Patriottico fanno desistere ogni esercito a metter piede dentro i confini del piccolo Rwanda. Anzi. Il Consiglio di Sicurezza dell'ONU, anziché rafforzare la presenza delle forze armate, le riduce drasticamente. Sarebbero bastati 5.000 uomini per fermare i massacri come auspicato dal generale canadese Dallaire a capo della Missione ma i governi fanno orecchie da mercante. In Italia sta per cambiare il governo: Berlusconi 1. Referente nostro è ora il ministro Martino e non più il trentino Beniamino Andreatta.

Il fabbro dell'ospedale mi chiede di andare a recuperare la moglie ed i figli che sono fuggiti da casa durante la notte, evitando il massacro. Ora, sono dalla zia. Conosco la strada. Esco dall' Ospedale con la jeep Pajero. In tasca ho una scacciacani che avrei avuto paura solo ad impugnare. Trovo la moglie del fabbro e le bambine là dove indicatomi.

“No. non vengo con te. Sono più sicura qui. Carica invece alcuni miei amici”. Li carico tutti in auto, sotto una coperta, e torno all'ospedale. Per le strade i genocidari, arrivati da lontano, scortati dall'esercito hanno già iniziato la mattanza. Uccidono coloro che hanno l'aspetto europeo: labbra non carnose e naso sottile. Sulla loro carta d’identità è marchiata la condanna.

L'inferno non può essere peggiore; vedi scene che ti fanno sprofondare di girone in girone. Senza pietà. Non c'è fine al peggio sino a trovarti in paradiso. Mi spiego. La gente sorride, collabora. I bambini saltellano, indicano a genocidari armati di machete e soldati armati di fucile dove si sono rifugiati i loro coetanei tutsi come stessero giocando a nascondino. Le donne aiutano l'esercito a compilare la lista come fosse quella della spesa ed invece è la lista delle persone da eliminare. A migliaia. Uno studente delle superiori, vedendomi, grida: "E' la nostra Rivoluzione Francese". Altri "Libertà, libertà". C'è raduno, folla, lo "stare assieme". Tutti rubano di tutto. E' finita la fame, l'oppressione, l'umiliazione d'essere figli di un dio minore. Da sempre servi. La festa. Il "nobile" se ne sta nascosto nei canneti, in foresta, nelle paludi. Con la sua famiglia; i suoi bambini. Qualche mamma li annega. Una morte più dolce del lungo coltello. Il marito di etnia hutu è costretto ad uccidere la moglie tutsi sotto gli incitamenti del branco. L'etnia prima di ogni altro legame. Lo predicavano anche alcuni preti.

Impotente mi faccio largo a suon di clacson nella strada principale affinché non scoprissero il mio carico. Intravvedo tra coloro che uccidono e coloro che stanno per essere uccisi, vicini di casa, conoscenti, amici. Follia popolare. Il giorno prima stavano seduti in chiesa o al bar. Assieme.

La radio incita gli uni a riempire le fosse comuni degli altri, moderati hutu compresi. Molti troppi hutu che non volevano sposare la logica del “o di qua o di là”. 
 Passa un'altra notte. Lenta. Le grida fuori dell'ospedale, nuovi rifugiati dentro. Colpi di fucile. Facciamo tutti la guardia, tranne gli zamu, che stavano complottando per allearsi con i più forti. Vivere non fidandosi del vicino.
 - “Ma tu hai coraggio di uccidere?” Mi chiese il fabbro alle 3 di mattina, con la motosega in mano, durante un turno di guardia e di accoglienza degli scampati.
 - “Io no”. Gli risposi.
 - “E allora che cosa ci fai qui con noi? Vai a dormire!”

No. Non ci vado. Esco dal centro. Notte fonda. Buio pesto. Una luce fioca del Centre des handicapè de Rilima mi fa compagnia. Mi sfiora un gruppo di poche persone che mi salutano cordialmente: “Bon nuit, Fabien”. Nodo in gola. I machete grondano di sangue. 500 scellini a testa. 

[Continua...]

Fabio Pipinato

Non cantano più gli uccelli (parte prima)

Non cantano più gli uccelli (parte terza) 

Ultime notizie

La scheggia impazzita di Israele

12 Settembre 2025
Tel Aviv colpisce, implacabile, quando e come gli pare, nella certezza dell’impunità interna e internazionale. (Raffaele Crocco)

Eternit e panini kebab

10 Settembre 2025
Un pellegrinaggio sui campi da rugby italiani, con lo scopo di condividere e raccontare le capacità riabilitative, propedeutiche e inclusive della palla ovale. (Matthias Canapini)

I sommersi!

08 Settembre 2025
Entro il 2100 il livello marino sulle coste italiane potrebbe aumentare di circa un metro. (Alessandro Graziadei)

Stretching Our Limits

06 Settembre 2025
Torna Stretching Our Limits, l’iniziativa di Fondazione Fontana a sostegno delle attività de L’Arche Kenya e del Saint Martin.

Il punto - Il balletto delle "alleanze fragili"

05 Settembre 2025
Nel balletto delle “alleanze fragili”, una partita fondamentale la sta giocando il genocidio a Gaza. (Raffaele Crocco)

Video

Serbia, arriva a Bruxelles la maratona di protesta di studenti per crollo alla stazione di Novi Sad