Kossovo, il rebus irrisolto

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Biserka ha trent'anni. E' una dei pochi serbi che vivono oramai a Pristina, città principale del Kossovo. Dopo la guerra del 1999 sui 40mila che vi vivevano ne sono rimasti poco più di 300. Poi le violenze dello scorso marzo verso la minoranza serba e la fuga di molti altri. Chi è rimasto a Pristina vive in un alto grattacielo, conosciuto tra i suoi abitanti come "The cage", la gabbia. Il loro destino non è dissimile da quello dei serbi nel resto del Kossovo: una vita rinchiusa nei pochi chilometri quadrati delle loro enclaves, villaggi o quartieri le cui vie d'accesso sono protette dalla KFOR, la forza militare internazionale.

Biserka però non si fa immobilizzare dalla paura. "Io cammino liberamente per città. Gli altri pensano che quello che faccio io sia fantascienza. Ma io rifiuto di pensare me stessa rinchiusa in questo cubo. Sono sempre uscita per strada, e continuerò a farlo. Se qualcuno volesse attaccarmi, probabilmente mi potrebbe uccidere. Ma non voglio accettare di vivere e lavorare qui come una vittima. Questa è la mia filosofia di vita, non voglio isolarmi, voglio socializzare per quanto possibile, andare a pagare le bollette, andare al mercato o andare all'ospedale se devo vedere un dottore. Purtroppo però questa comunità vive isolata, isolata dal mondo esterno. La nostra lingua non viene riconosciuta e i serbi non parlano l'albanese⅀".

Date le condizioni attuali del Kossovo quanto fa Biserka è effettivamente fantascienza, ma con tutta probabilità solo un coraggio come il suo può aiutare questa piccola ma turbolenta area dei Balcani ad uscire dal pantano nel quale si ritrova. A fine estate 1999 centinaia di migliaia di albanesi del Kossovo, cacciati dalle loro case dalla guerra e dal regime di Milosevic, facevano ritorno protetti dalle divise dei militari della NATO ed in Kossovo veniva creata un'amministrazione guidata dalle Nazioni Unite. Un'atmosfera carica di speranza ed ottimismo sporcata però del sangue e della disperazione dei serbi del Kossovo costretti a loro volta a fuggire ed a lasciare le proprie case.

Poco da allora è cambiato. Le case sono state ricostruite ma l'economia kossovara ha ancora da ripartire, la corrente elettrica manca ancora più ore al giorno. Sono nate istituzioni liberamente elette dai kossovari che però sino ad ora, non solo per loro responsabilità ma anche per l'incompetenza dell'amministrazione internazionale, sono risultate fallimentari. E soprattutto poco è migliorato per quanto riguarda il rispetto dei diritti delle minoranze.

E' in questo contesto che il prossimo 23 ottobre ci si recherà alle urne per eleggere, per la seconda volta dal '99, l'Assemblea del Kossovo: una sorta di Parlamento che però Parlamento non può essere definito poiché lo status giuridico del Kossovo non è ancora stato determinato. La comunità albanese, maggioritaria, richiede a gran voce l'indipendenza mentre Belgrado è disposta a concedere una fortissima autonomia, ma non a vedere il Kossovo distaccarsi dal proprio territorio.

L'appuntamento elettorale è importante ma una larga fetta del mondo politico serbo, in Kossovo ed a Belgrado, vorrebbe boicottarlo. Il presidente della Serbia Boris Tadic ha recentemente invitato i serbi del Kossovo a votare, pur ponendo alcune condizioni al governo kossovaro. Diversamente la pensa invece il Primo ministro Vojislav Kostunica secondo il quale l'unico modo per difendere gli interessi ed i diritti dei serbi del Kossovo è quello di non accettare il voto perché "non vi sarebbero le condizioni per farlo". La pensano come lui la Chiesa ortodossa serba e gli ultranazionalisti del Partito Radicale.

"C'è una enorme frustrazione nella società kosovara. Oggi ci si ritrova tutti nel fango: la comunità internazionale, gli albanesi del Kossovo, i politici serbi del Kossovo, il governo di Belgrado⅀ E' una patata bollente, e nessuno è soddisfatto della situazione" - continua Biserka. "Io comunque andrò a votare, è un mio diritto e lo voglio esercitare". Poi Biserka si sofferma sulla controversa situazione dello status. "Non mi interessa se il Kossovo lo chiamano banana o kiwi. Io voglio che i miei diritti di cittadina siano rispettati, voglio avere un lavoro, acqua e luce per 24 ore al giorno, un sistema sanitario che funzioni. Il Kossovo sarà nell'Unione Europea, e io dovrò competere in questo nuovo mercato del lavoro perché ho determinate capacità, non perché sono una serba od un'albanese del Kossovo".

Intanto Biserka continua a vivere "in the cage". Ma tutto il Kossovo rischia di essere sempre più un gabbia dove si fomentano frustrazioni che potrebbero nuovamente destabilizzare l'intero sud est dell'Europa.

di Davide Sighele

LA SCHEDA
Il 23 ottobre il Kossovo si recherà alle urne per eleggere la propria Assemblea. E' la seconda volta che avviene, già nel 2000 i Kossovari avevano votato per le politiche. Allora vinse la Lega democratica del Kossovo, guidata da Ibrahim Rugova, storico leader della lotta nonviolenta contro il regime di Milosevic ed attualmente Presidente del Kossovo. Sono altri tre i partiti principali della Provincia. Due di questi, il PDK e l'AKK, sono stati fondati da ex comandanti dell'Esercito di liberazione del Kossovo (UCK) e si attestano su posizioni nazionaliste mentre la Coalizione Povrtak (Ritorno) rappresenta in Assemblea la minoranza serba. I sondaggi prevedono un'altra vittoria di Rugova seppur il suo partito dovrebbe perdere qualche posto in Assemblea. Sulla rappresentanza della comunità serba i giochi sono invece ancora incerti. La gran parte dei politici kossovari, sostenuti in questo dal governo serbo e dalla chiesa ortodossa, sta invitando i serbi del Kossovo a boicottare le urne. Queste elezioni sono di importanza cruciale anche perché nei prossimi anni l'amministrazione internazionale che di fatto sta governando il Kossovo lascerà molte delle proprie competenze nelle mani delle autorità locali. Il 2005 inoltre dovrebbe essere l'anno nel quale la comunità internazionale, Belgrado e Pristina determineranno il futuro istituzionale del Kossovo. (DS)

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