Aspetti economici

Pur potendo ancora contare su basi produttive di tutto rispetto, grazie alle quali continua a essere uno dei principali operatori economici su scala mondiale, il Regno Unito vede decisamente accentuarsi quel processo di declino del proprio apparato economico, declino che aveva preso il via con gli anni Cinquanta, in concomitanza con lo smantellamento dell'impero coloniale. Dagli inizi degli anni Ottanta è cominciata però una sensibile inversione di tendenza. La pesante crisi economica sembra rallentare. La politica economica neoliberista, basata sulla riprivatizzazione delle grandi aziende e sugli incentivi alla produzione, ha fatto registrare una ritrovata competitività in campo internazionale, specie in alcuni settori tecnologicamente avanzati: aeronautica, elettronica, meccanica di precisione, cantieristica.

 

Profilo generale. L'agricoltura continua a presentare aspetti di elevata redditività e il settore estrattivo, che denuncia gravi e crescenti difficoltà per il carbone, può contare sui ricchi giacimenti petroliferi del Mare del Nord. È l'industria ad avere denunciato la sua debolezza, in quanto per il globale invecchiamento delle proprie strutture, almeno in certi campi di più antico e tradizionale impianto, come il tessile, non è stata più in grado di competere adeguatamente sui mercati esteri. Eppure propri o nell'industria il Regno Unito aveva conosciuto le sue prime decisive affermazioni come potenza economica mondiale già alla fine del XVIII secolo (non per nulla qui è nata la cosiddetta "Rivoluzione Industriale") e alla metà del secolo successivo poteva considerarsi un po' l'officina del mondo. Né va dimenticato il ruolo importantissimo svolto dall'immenso impero coloniale, creato dal Regno Unito in tempi relativamente brevi grazie alla sua marina, ai suoi eserciti e alla sua moneta; esso costituì per l'economia britannica un enorme serbatoio dal quale attingere materie prime a costi bassissimi e nel quale riversare ogni sorta di prodotti industriali, in un regime quindi di pressoché assoluta mancanza di concorrenza. I grandi vantaggi offerti dalla politica imperiale (e anche una volta disciolto l'impero il Regno Unito si è sforzato di mantenere stretti legami commerciali con la maggior parte dei Paesi già sotto il suo dominio) avevano un po' messo in sordina il fatto che in realtà, con l'emergere degli Stati Uniti quale massima espressione dell'economia capitalista, sin dal primo dopoguerra il Regno Unito aveva perso molti dei propri primati. Il successivo declino del carbone come elemento trainante dei settori produttivi, verificatosi attorno agli anni Trenta, rappresentò in genere un fattore di grave crisi per le regioni di più antica industrializzazione, specie quelle centro-settentrionali, che avevano fondato la loro economia sulle industrie pesanti, come la cantieristica, e sull'attività estrattiva. A partire dal secondo dopoguerra, il Regno Unito si trovò poi ad affrontare il problema della radicale riconversione delle proprie strutture produttive. La nuova politica economica ha fatto abbassare il tasso di inflazione, con la contropartita però di una forte disoccupazione. L'adesione alla CEE, effettuata nel 1973 dopo molte titubanze, non sembra aver avuto risvolti di particolare rilievo per il Paese, che ancor oggi si interroga sui possibili vantaggi di un ipotetico ritorno all'antico "isolamento".

 

Agricoltura. La forte urbanizzazione, provocata sin dal secolo scorso dall'intenso sviluppo industriale, ha fatto sì che da gran tempo fosse piuttosto modesto il numero degli addetti alle attività agricole; oggi l'agricoltura assorbe una percentuale della popolazione attiva che è tra le più basse fra quelle di tutti i Paesi del mondo. Malgrado ciò il settore, che è largamente meccanizzato, tecnicamente molto progredito e assistito ampiamente dallo Stato, fornisce ben il 50% delle necessità alimentari del Paese pur contribuendo in minima parte alla formazione del reddito nazionale. Arativo e colture arborescenti coprono il 24,5% della superficie territoriale, ma in genere gli sforzi produttivi e gli investimenti vengono concentrati su quelle aree che, per caratteristiche climatiche e pedologiche, possono garantire i maggiori rendimenti. L'estensione delle proprietà terriere è molto varia: mentre in Scozia sono comuni i latifondi anche di diverse migliaia di ha, in Inghilterra e nel Galles per contro le aree hanno in genere media estensione, sui 20 ha; prevale ovunque l'azienda agricola mista, che associa le colture all'allevamento del bestiame. L'arativo è per gran parte occupato dai cereali, diffusi soprattutto nelle zone orientali più asciutte. Predomina il frumento, seguito dall'orzo, destinato all'alimentazione del bestiame e alla produzione di birra. È in regresso l'avena, ben rappresentata tuttavia ne ll'Irlanda del Nord, mentre ha grande rilievo la coltivazione delle patate. Tra le colture industriali prevale la barbabietola da zucchero, diffusa soprattutto nell'Inghilterra orientale (oltre a essere, insieme alla citata avena, il principale prodotto agricolo dell'Irlanda del Nord); i suoi sottoprodotti sono in parte utilizzati anche nell'allevamento. Importanti sono pure il luppolo, per la fabbricazione della birra, e, nell'Irlanda del Nord, il lino. Ma nel quadro dell'agricoltura britannica l'elemento di maggior novità è fornito dall'espansione dei prodotti ortofrutticoli (pomodori, cipolle, cavoli, mele, pere, prugne ecc.), in parte coltivati in serra, che tuttavia non bastano a coprire le richieste interne sempre crescenti e sono quindi ampiamente importati. Non ha grande importanza lo sfruttamento forestale, dato che poco più del 10% della superficie nazionale è occupato da boschi e foreste (la splendida copertura forestale, che un tempo ammantava il Paese, è stata distrutta nel corso dei secoli e quanto oggi esiste è opera precipua dell'Ente Statale per il Rimboschimento); attualmente il legname è in larga misura fornito dalla Scozia.

 

Allevamento. Risultati decisamente brillanti sono stati invece conseguiti nel settore zootecnico, che può contare su aree assai vaste a prato e pascolo permanente (pari al 45% del totale) ed è favorito da un clima che apporta sufficiente umidità ai terreni. L'allevamento consente di soddisfare i 2/3 delle richieste interne di carne, formaggio e uova, nonché il 100% di quelle di latte, grazie soprattutto a un'accurata selezione del bestiame, che si avvantaggia altresì di un'alimentazione altamente razionale. Prevalgono l'allevamento bovino (gravemente danneggiato però dall'epidemia scoppiata nel 1996), cui sono riservati molti dei più ricchi pascoli dell'Inghilterra meridionale e della Scozia centrale e sud-occidentale, e quello ovino, destinato essenzialmente alla produzione di lana e che si accontenta dei terreni più magri degli altopiani, particolarmente della Scozia settentrionale. Elevato è anche il numero dei volatili da cortile nonché dei suini. Le attività legate all'allevamento sono di notevole rilievo (l'industria casearia, produzione di carne e lana).

 

Pesca. Anche la pesca rappresenta una notevole componente nell'economia britannica, benché dia un contributo inferiore a quello che ci si potrebbe attendere da un Paese insulare e circondato da mari pescosi come il Regno Unito. Il settore è comunque ben attrezzato e si avvale di una buona flotta peschereccia con circa 18.500 addetti, che in parte si dedicano alla pesca costiera, ma in buon numero si spingono anche nelle acque della Groenlandia e del Mare di Barents; tra i principali porti pescherecci dotati di adeguate industrie conserviere sono quelli di Aberdeen, Kingston upon Hull e Grimsby sul Mare del Nord, Fleetwood sul Mare d'Irlanda; il pescato (aringhe, sgombri, merluzzi) è in gran parte avviato a Londra, che è il massimo mercato britannico del pesce.

 

Risorse minerarie. Il carbone, che è stato alla base della passata potenza del Paese e che ne ha notevolmente condizionato il modello di sviluppo economico, rimane tuttora una delle più cospicue risorse minerarie britanniche, fornendo una consistente percentuale dell'energia consumata localmente. La supremazia del carbone fu pressoché assoluta fino alla seconda guerra mondiale; nel 1947 l'industria carbonifera venne nazionalizzata (National Coal Board) e, in seguito, soltanto i pozzi più redditizi vennero modernizzati; il ridimensionamento del settore provocò problemi assai gravi, sottolineati anche dalle molteplici agitazioni dei minatori (il numero di questi lavoratori è oggi notevolmente inferiore alle 600.000 unità, della fine degli anni Cinquanta). In effetti la produzione carbonifera, che toccò i valori massimi nel 1913 con circa 290 milioni di t estratti, è andata progressivamente diminuendo. Il Regno Unito rimane però in tale campo al quarto posto in Europa dopo la Polonia, l'Ucraina e la Germania (Russia esclusa). Attualmente il bacino più esteso e produttivo è quello dello Yorkshire-Nottinghamshire-Derbyshire, in Inghilterra; altri sono nel Galles (inattivi dal 1994) e in Scozia. Nello Yorkshire si estraggono minerali di ferro, in misura ormai del tutto insufficiente a coprire le richieste dell'industria nazionale. Si estraggono inoltre stagno, salgemma, sali potassici, magnesite, caolino; ma l'altra grande risorsa mineraria è data dal petrolio, scoperto in vari giacimenti nella piattaforma continentale del Mare del Nord e sfruttato a partire dal 1975; in Scozia e nel Mare del Nord si estraggono altresì buoni quantitativi di gas naturale. Petrolio e carbone sono anche al servizio della produzione di energia elettrica, che è la terza d'Europa per quantità dopo quelle della Germania (sempre escludendo la Russia) e della Francia e che è in grandissima prevalenza di origine termica. Tuttavia, mentre l'apporto idroelettrico rimane estremamente modesto, in quanto i bacini idrici sono troppo esigui per fornire considerevoli quantità d'energia elettrica (le centrali maggiori sono comunque in Scozia), grandi passi ha compiuto il settore elettronucleare da quando nel 1956 divenne operativa a Calder Hall la prima centrale nucleare del mondo: sotto l'egida dell'United Kingdom Atomic Energy Authority (UKAEA), il Paese ha in atto un intenso programma elettronucleare e si avvale di una ventina di centrali nucleari (altre, tutte con una potenza di oltre 1 milione di kW, sono in avanzata fase di costruzione) che forniscono il 26% dell'elettricità prodotta nel Regno Unito.

 

Industria siderurgica e metallurgica. L'industria ha praticamente ancora i suoi punti di forza in quei settori che sin dall'origine videro il Regno Unito grandeggiare sulla scena economica mondiale, anche se da tempo tutti i passati primati appartengono ad altri Paesi. La presenza di ferro e carbone favorì naturalmente la nascita dell'industria siderurgica, i cui sviluppi imponenti hanno poi allargato le richieste al punto da rendere necessarie cospicue importazioni di minerali ferrosi; il settore è tuttavia in grave crisi e nell'ultimo decennio le produzioni sono molto diminuite; attualmente ghisa acciaio vengono prodotti in complessi ubicati nell'Inghilterra nord-orientale, nel Galles meridionale, nei Lowlands scozzesi e comunque per lo più lungo le coste, dove giunge il ferro importato, o in vicinanza dei bacini carboniferi. Gli impianti utilizzano coke nazionale. L'industria metallurgica, che si avvale di minerale d'importa zione, è pure ben sviluppata, specie per la metallurgia dell'alluminio, con vari impianti per lo più in Scozia e nel Galles; il Paese dispone altresì di raffinerie di stagno, zinco, magnesio, rame e soprattutto di piombo, di cui è tra i maggiori produttori d'Europa.

 

Industria petrolchimica. Tuttavia fra le industrie pesanti quella che ha ricevuto la maggiore espansione è la petrolchimica. Sorta da una quarantina d'anni, essa si basa su una possente serie di raffinerie di grandi dimensioni, dislocate lungo le coste. Quella di Fawley presso Southampton lavora annualmente oltre 15 milioni di t di grezzo e quella di Stanlow sul Manchester Ship Canal sfiora i 17 milioni, mentre a Milford Haven nel Galles meridionale un complesso di tre raffinerie ha una capacità totale di circa 24 milioni di t di petrolio. Numerosi oleodotti collegano le zone di raffinazione con i porti di arrivo del grezzo o le aree di consumo, come lo Stanlow-Manchester e il Fawley-Londra; sono inoltre in funzione vari oleodotti per il trasporto del grezzo dai giacimenti del Mare del Nord alle raffinerie della costa.

 

Industria chimica e atomica. La presenza di ricchi giacimenti di sale determinò la localizzazione del più antico distretto chimico britannico, quello del Cheshire e del Lancashire meridionale; praticamente tutte le produzioni sono ben rappresentate e il settore conta oltre 280.000 addetti. L'acido solforico e quello nitrico sono in particolare forniti da numerosi stabilimenti di Newcastle e centri satelliti; Glasgow e Birmingham, ma anche altre città, sono specializzate invece per la produzione di ammoniaca e Aberdeen per quella dei fertilizzanti azotati. In vari centri del Lancashire e dello Yorkshire è ben rappresentata l'industria dei coloranti, richiesti dalla locale industria tessile. Il settore delle materie plastiche e delle resine sintetiche si è espanso negli ultimi anni impiegando il materiale nella fabbricazione dei più svariati oggetti; l'industria dei pneumatici, al servizio di quella delle automobili, è piuttosto affermata; un buon ruolo ha anche il settore farmaceutico. In grande sviluppo è l'industria atomica, che annovera centri specializzati nella produzione di isotopi e materiali radioattivi, laboratori di ricerca, impianti nucleari, reattori sperimentali ecc.

 

Industrie meccaniche. Un settore che nel suo insieme regge bene alla concorrenza internazionale è anche quello della meccanica specializzata (con la rilevante eccezione però dell'industria automobilistica: con una produzione di autoveicoli che colloca il Regno Unito al quarto posto in Europa, mentre alla fine della seconda guerra mondiale deteneva il primato continentale), che ha pressoché rimpiazzato le vecchie fabbriche di materiale ferroviario, cantieristico, tessile, agricolo, di cui il Regno Unito fu un po' maestro a tutto il mondo. Oggi sono le costruzioni aeronautiche, l'elettromeccanica, la meccanica di alta precisione, l'elettronica ecc. a compensare la forte crisi della meccanica pesante: particolarmente grave è il declino del settore cantieristico già prestigioso, tanto da essere stato uno dei principali strumenti dell'espansione britannica nel mondo (molti cantieri sono stati smantellati dopo il boom degli anni Settanta). Occupa invece una posizione di tutto rispetto l'industria aeronautica, localizzata a Bristol e nei pressi di Londra e che è la terza del mondo, esportando aerei e pezzi di ricambio pressoché ovunque; le maggiori società produttrici sono raggruppate nella British Aircraft Corporation, che fornisce aerei civili, mentre la Hawker Siddeley è specializzata in quelli militari.

 

Industrie tessili e del pellame. Un'altra industria già importantissima e oggi molto decaduta è la tessile che, dopo essersi imposta per almeno un secolo sui mercati internazionali, risente in modo assai grave della proliferazione di industrie concorrenti in tutto il mondo, sia nelle ex colonie sia in molti altri Paesi, come Brasile, Cina, Taiwan, Corea del Sud ecc., avvantaggiati dalla manodopera a bassissimi costi. I più antichi centri di produzione tessile sono situati nello Yorkshire; Bradford fu la capitale del commercio laniero e Leeds la sede dell'industria dell'abbigliamento, ma anche Londra ebbe sempre grande importanza in questo campo. Successivo è lo sviluppo dell'industria del cotone, sorta nel Lancashire e che si valse fin dalle origini delle materie prime importate dalle piantagioni d'America, poi dell'Egitto e dell'India. Liverpool fu sempre il tradizionale porto di sbarco del cotone greggio e la vicina Manchester il grande centro della fabbricazione dei tessuti. La produzione cotoniera è oggi notevolmente inferiore a quella dell'inizio del secolo. Ha una certa diffusione l'industria serica, ma di più tradizionale impianto è il linificio, presente in Scozia e nell'Irlanda del Nord; rivestono infine notevole importanza le fibre artificiali e sintetiche. Antica origine ha anche la lavorazione della pelle e del cuoio; prevale il calzaturificio, con fabbriche a Leicester, Norwich, Valley, Rossendale ecc.

 

Altre attività industriali. L'industria alimentare, orientata soprattutto verso il mercato interno, presenta un ventaglio piuttosto ampio di prodotti e punta altresì su generi di alta qualità. Prevalgono i birrifici, dislocati soprattutto in Inghilterra, che ha nel Kent la maggiore area destinata al luppolo, le distillerie di whisky (in specie quello scozzese è esportato in tutto il mondo) e di gin, le industrie dolciarie, gli zuccherifici, i conservifici ecc. Rinomate sono anche le manifatture di tabacchi. Vanta antiche tradizioni l'industria della ceramica, che ha le sue aree di maggior diffusione nella zona di Stoke-on-Trent , il cosiddetto pottery district , dove si trovano ottime argille e che è al tempo stesso vicina a bacini carboniferi, in prossimità dei quali sono anche sorte le industrie del vetro e del cristallo. Lungo il Tamigi e altri fiumi, come lo Humber, sono ubicati invece i principali centri di produzione del cemento. Molto diffuse e largamente famose sono infine la stampa e l'editoria, con grandi complessi operanti soprattutto nelle città universitarie di Londra, Edimburgo e Oxford.

 

Comunicazioni interne. Il Paese è fornito di una fitta rete di vie di comunicazione, in funzione soprattutto delle necessità dell'industria. Londra è sempre stata il principale nodo delle comunicazioni, data la sua ininterrotta preminenza come massimo agglomerato urbano e manifatturiero; gli altri vertici della rete britannica sono sin dal passato i grandi sbocchi portuali, cui si aggiungono taluni fondamentali centri industriali dell'interno, come Birmingham. L'Inghilterra e la Scozia meridionale sono comunque le aree meglio servite dalle vie di comunicazione, mentre talune carenze sono avvertibili nelle zone scarsamente abitate o economicamente meno sviluppate. Il Paese si dotò ben presto di ferrovie; i primi tronchi entrati in funzione furono la Stockton-Darlington e la Liverpool-Manchester, tra il 1825 e il 1830, e nei successivi decenni tutte le principali linee ferroviarie erano completate. Agli inizi del XX secolo il Regno Unito possedeva ben 38.000 km di linee ferrate, divise però tra oltre un centinaio di compagnie private e che presentavano spesso macchinari e materiale rotabile molto scadenti. Dopo la seconda guerra mondiale il settore fu nazionalizzato e completamente ristrutturato, e nuovamente privatizzato a partire dal 1993; oggi il complessivo sviluppo ferroviario è meno della metà (circa 17.000 km) di quello di un tempo, ma con servizi in genere eccellenti. La rete stradale si sviluppa per 390.000 km, comprendenti più di 3.300 km di autostrade. Nel secolo scorso furono anche ampiamente valorizzate le vie d'acqua interne, che sfruttavano i quattro principali fiumi del Paese, il Tamigi, il Severn, il Mersey e il Trent, opportunamente collegati da canali: attualmente la rete navigabile interna utilizzata è di circa 2.350 km, benché le vie d'acqua raggiungano i 4.000 km. Strade, autostrade, ferrovie, canali navigabili si infittiscono naturalmente nell'Inghilterra sud-orientale, in funzione dell'area londinese, il cui porto sull'estuario del Tamigi è la principale via d'accesso all'isola.

 

Porti e aeroporti. Il Paese dispone di oltre 400 porti, piccoli e grandi, variamente specializzati. Tra i tanti hanno particolare rilievo: nel Mare d'Irlanda, Liverpool e, raggiungibile per canale, la vicina Manchester; sulla Manica, Southampton e Dover, il principale scalo passeggeri dal continente; all'estremità meridionale del Canale di San Giorgio, Milford Haven, che è più propriamente il terminal di un grande oleodotto; sul Mare del Nord, i vicini Stockton-on-Tess e Hartlepool, nonché più a sud Kingston-upon-Hull e Gri msby (sempre sul Mare del Nord, ma in Scozia, sono invece i cosiddetti "porti del Forth", sviluppatisi in funzione del petrolio, così come terminals petroliferi sono i nuovi "porti sul Tamigi", cioè Isle of Grain, Coryton e Thames Haven); sul Canale di Bristol, Newport e Bristol; infine sul Canale del Nord sono Glasgow, principale sbocco marittimo della Scozia, e Belfast, massimo centro portuale dell'Irlanda del Nord. L'esistenza di una così fitta rete portuale si collega ovviamente alla straordinaria espansione marittima britannica. Intensissimo è anche il traffico aereo che collega il Regno Unito con il resto del mondo; maggiore compagnia di bandiera è la British Airways, che ha servizi di linea con circa 80 Paesi. Londra è naturalmente uno dei più attivi scali aerei del mondo (aeroporti di Heathrow e Gatwick); gli altri maggiori scali britannici sono Glasgow (Abbotsinch), Manchester (Ringway), Luton, Edimburg o (Turnhouse), Birmingham e, nell'Irlanda del Nord, Belfast (Aldergrove).

 

Commercio. Il Paese esporta soprattutto macchinari di vario genere, mezzi di trasporto (aerei, veicoli ecc.), prodotti petroliferi e chimici, prodotti tessili, ferro, acciaio e metalli non ferrosi, bevande, tabacco ecc., mentre importa in prevalenza macchinari di alta tecnologia, mezzi di trasporto, manufatti vari, prodotti alimentari, carta, materie plastiche ecc.; la bilancia commerciale è in costante passivo, ma con un deficit in genere contenuto. Gli scambi più intensi si svolgono nell'ambito della UE; seguono quelli con gli Stati Uniti, il Giappone, la Svizzera e la Svezia. Assai importante è il turismo: molti stranieri soggiornano anche per lo studio della lingua.