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Ambiente umano
Popolamento. Il popolamento del Regno Unito è avvenuto per successive immigrazioni, tutte peraltro dall'Europa. Le tracce più antiche (III millennio a.C.) di una stabile occupazione risalgono alle popolazioni neolitiche giunte da sud-ovest (costruttori delle architetture megalitiche), mentre da sud-est provengono quelle genti agricole - i cosiddetti Beakers - che introdussero forme ben organizzate di sfruttamento del suolo. Più estese e consistenti le testimonianze dei Celti, che hanno dato un sostrato incancellabile all'umanizzazione del territorio britannico, oltre che alla cultura inglese. Le manifestazioni delle civiltà celtiche tuttavia si trovano soprattutto nel Galles e in altre parti della sezione occidentale dell'isola, la più montagnosa, la più difesa, vera e propria "frangia celtica" per la ricca presenza di elementi dell'antica cultura venuta dal continente. Lo spostamento dei Celti verso tale aspra regione fu dovuto all'immigrazione degli Angli e dei Sassoni, avvenuta dopo la romanizzazione tra il V secolo e il VI. Queste genti, che hanno dato l'impronta definitiva alla popolazione britannica, occuparono inizialmente le pianure meridionali e il fronte orientale dell'isola, ricacciando via via verso ovest l'elemento celtico. Ma è in questa stessa pianura meridionale che fin da allora andò concentrandosi la popolazione, e ciò per ovvie ragioni, date le condizioni ambientali più favorevoli allo sfruttamento agricolo. Dopo la penetrazione dei Vichinghi tuttavia, che giunti dalla Scandinavia colonizzarono la costa, ci fu la formazione di nuove aree di popolamento periferiche, presso le migliori foci fluviali, cioè là dove poi sorsero o si svilupparono quelle grandi città portuali che nella geografia umana dell'isola fungono da congegni di primo piano e che diedero un orientamento nuovo all'economia britannica.
Sviluppo demografico. Quanto ai dati circa la consistenza demografica dell'isola, nel XVI secolo la popolazione del Galles e dell'Inghilterra era di appena 2,5 milioni di abitanti; nel XVIII secolo però essi erano già raddoppiati. Poco dopo ebbe inizio la Rivoluzione Industriale, che si accompagnò notoriamente a profonde trasformazioni nella geografia umana del Paese, sia per quanto rigua rda la distribuzione della popolazione, sia per quanto riguarda gli sviluppi demografici. Già nel 1801, anno del primo censimento, vi erano nel Regno Unito 10,5 milioni di abitanti (8,9 milioni di abitanti nell'Inghilterra e nel Galles, 1,6 in Scozia), che da allora aumentarono con ritmo elevatissimo (fino al 1880 il tasso di natalità si mantenne sul 35%), nonostante l'emigrazione e l'alta mortalità causata dalle pessime condizioni in cui viveva nei suburbi (slums ) il sottoproletariato urbano. Agli inizi del XX secolo la popolazione del Regno Unito era di oltre 38 milioni di abitanti, divenuti 44 nel 1921, 49 nel 1941, 52,7 nel 1961 e 56,6 nel 1985.
Emigrazione. L'emigrazione ha notevolmente pesato sugli sviluppi demografici di questo secolo. Il fenomeno divenne massiccio ai primi dell'Ottocento. Le cause furono le stesse che motivarono la grande corsa alle città e ci oè la degradazione dell'economia tradizionale dopo la rivoluzione indotta dagli Enclosures Acts, con la recinzione delle proprietà dovuta alla formazione dei latifondi e il conseguente abbandono delle colture seminative a favore del pascolo, fatto che gettò nella povertà migliaia di contadini. Ciò si verificò anche in Irlanda dove i vecchi possidenti inglesi, i Landlords , avevano intrapreso una colonizzazione che radicò sempre di più l'elemento e la cultura inglesi nell'isola vicina. A questi fatti interni si aggiunse l'espansione economica e commerciale nelle terre d'oltreoceano, donde i coloni cominciarono ben presto a esportare i loro prodotti nell'ex madrepatria (grani statunitensi, carni congelate australiane e neozelandesi ecc.), con ingentissimi danni per l'agricoltura britannica. All'abbandono delle campagne fece riscontro l'addensamento nelle città industriali o nelle aree meglio favorite dal punto di vista industriale (zone minerarie, città portuali ecc.). Ma ovviamente vi era sempre un surplus demografico che veniva in parte assorbito dall'emigrazione. L'America Settentrionale accolse subito il maggior numero di emigranti, che in misura minore e in un secondo tempo si diressero anche verso l'Africa del Sud, l'Australia e la Nuova Zelanda. Il grande movimento verso gli Stati Uniti cominciò a diminuire attorno al 1914; si calcola che nei precedenti cento anni, tra il 1813 e il 1915, complessivamente le Isole Britanniche abbiano perduto 16-20 milioni di abitanti a causa dell' emigrazione. Questa riprese dopo il 1920 con una media di 200.000 partenti all'anno.
Immigrazione. Vi è stata però fin dai primi decenni del secolo una rilevante corrente di ritorno, che toccò negli anni Venti quote elevate per riprendere consistenza soprattutto dopo l'ultima guerra mondiale, che ha visto il ritorno di numerosi Inglesi dagli USA, dal Canada ecc. Essa si è accompagnata all'immigrazione di Indiani, Africani e gente di colore provenienti dai Paesi del Commonwealth, spinti sia da ragioni politiche sia dalle richieste di manodopera non qualificata. Oggi questi immigrati popolano soprattutto la fascia periferica di Londra e delle altre grandi città e la loro integrazione rappresenta uno spinoso problema. Ora migrazione ed emigrazione sono calate entrambe; il numero degli immigrati supera quello dei partenti. L'incremento naturale dopo l'ultima guerra si è attestato su valori quasi nulli.
Distribuzione. Vi sono differenze sensibili da parte a parte, e ciò a causa anche dello spopolamento che interessa soprattutto certe regioni povere della Scozia settentrionale a vantaggio delle aree più attive e urbanizzate dell'Inghilterra (il cosiddetto scivolamento verso sud, Drift to the South). È in corso, in sostanza, un fenomeno di concentrazione in poche zone che continua quello avviato con la Rivoluzione Industriale. Le aree privilegiate da questa sono state la zona intorno all'estuario del Tamigi, dove sorge Londra, quelle minerarie e carbonifere dei Midlands e i Lowlands scozzesi (con Glasgow ed Edimburgo). È qui che sono ubicate le altre metropoli, che con i loro popolosi dintorni fanno registrare densità superiori ai 500 abitanti/km 2 . Al di fuori di queste aree si distinguono territori regionali gravitanti sulle grandi città che contano sui 200 abitanti/km 2 e le aree più povere, marginali, con meno di 50 abitanti/km 2 . La regione più den samente popolata è l'Inghilterra con 379 abitanti/km 2 , il Galles ha 141 abitanti/km 2 , la Scozia 66 abitanti/km 2 .
Concentrazione urbana. L'urbanesimo, assai sviluppato, ha origini antiche nel Regno Unito: esso conobbe i suoi primi sviluppi già in età romana e molte città inglesi, come Londra, si sono sviluppate proprio sui primitivi nuclei romani. È tuttavia nel Medioevo che la città inglese viene configurandosi così come appare ancor oggi nel nucleo di molti centri cosiddetti storici, dominati dalla cattedrale e con quartieri di strette viuzze: Canterbury, uno dei meglio conservati centri medievali, così come Oxford e Cambridge , i quali però ebbero sempre una loro funzione specifica, in quanto sedi universitarie e di cultura. La struttura urbanistica della città ottocentesca comprendeva intorno al nucleo originario una zona di industrie e centri residenziali (inner zone) che nel corso di questo secolo perse le sue funzioni originarie e divenne la City, sede degli affari, delle banche, delle società industriali, mentre la popolazione scelse, come aree residenziali, le zone più periferiche, secondo un movimento verso l'esterno (overspill ) che ha finito col dare agli sviluppi urbani un ampliamento a macchia d'olio. Il fenomeno è continuato fino a tutta la prima metà di questo secolo, provocando fenomeni di congestione, cui si pose rimedio con interventi diretti, dopo l'ultima guerra, da un organismo di pianificazione urbana; a esso si deve la creazione di città-giardino e di città nuove, le famose new towns , che furono sperimentate intorno a Londra, per attenuare l'assedio del centro da parte dei quartieri periferici. Oggi l'urbanistica ha rimediato a molte delle brutture indotte dalla rivoluzione industriale e dalle successive espansioni incontrollate.