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Storia
La Repubblica parlamentare e la questione cecena.
La Russia ha riacquistato status di Repubblica parlamentare in seguito al fallito colpo di stato moscovita dell'agosto 1991, sotto la guida di Boris N. Elcin, presidente eletto dal Parlamento fin dal 1990 (e confermato a suffragio popolare nel giugno 1991). Propostasi quale erede dell'URSS nelle questioni di interesse sovranazionale e in quanto promotrice della fondazione della CSI (21 dicembre 1991), assumeva la denominazione ufficiale di Federazione Russa (o Russia) il 31 marzo 1992, con la ratifica di un trattato istitutivo sottoscritto da 14 delle 16 repubbliche autonome (assenti la Repubblica dei Tatari e la Ceceno-Inguscezia, che rivendicavano l'indipendenza).
Ereditato il posto dell'URSS nel Consiglio di Sicurezza dell'ONU, nel 1992 si assumeva la responsabilità del debito estero del vecchio Stato e il controllo del grosso delle forze armate, risolvendo più tardi dopo lunghi negoziati i contrasti con l'Ucraina relativamente alla flotta del Mar Nero. Nel frattempo, ai positivi risultati ottenuti in politica estera, con la sottoscrizione di un nuovo accordo START (sulle testate nucleari a lunga gittata) e con la concessione di un nuovo trattato federale per attenuare le pressioni separatiste, facevano però riscontro un deterioramento della situazione interna e l'aggravarsi delle condizioni economiche, con la frammentazione del quadro politico e il riaffiorare di raggruppamenti estremistici di destra e di sinistra. Di questa situazione si avvantaggiava la lobby industriale-militare, favorevole a un'introduzione più graduale delle riforme economiche e a un consolidamento dei legami con la CSI, piuttosto che con l'Europa occidentale. Inoltre, la pressione dei moderati determinava la mancata riconferma del primo ministro ad interim E. T. Gajdar e la sua sostituzione (dicembre 1992) con V. S. Černomyrdin, rappresentante degli interessi della grande industria statale. Da tempo latente, nel 1993 diveniva insanabile il contrasto tra Elcin e il Parlamento. Dopo un primo braccio di ferro apparentemente risolto nell'aprile con l'approvazione di un referendum in favore del presidente, il conflitto si riaccendeva sull'ipotesi di una nuova Costituzione e culminava con il decreto presidenziale di scioglimento del Parlamento e l'indizione di nuove elezioni (21 settembre). La maggioranza dei deputati, guidati da A. V. Ruckoj e da R. I. Chasbulatov, si asserragliava nella sede del Parlamento. Ne seguiva un tentativo insurrezionale che induceva infine Elcin a ordinare (4 ottobre) il bombardamento contro la “Casa Bianca” piegando la resistenza dei ribelli, un numero imprecisato dei quali rimaneva ucciso. Sostenuta da tutta la diplomazia occidentale, la drastica scelta del presidente russo finiva però per indebolirlo sul piano interno rafforzando il ruolo dei vertici militari.
Le successive elezioni del 12 dicembre dimostravano un certo declino della popolarità di Elcin: poco più del 50% degli elettori votava al referendum sulla nuova Costituzione e di questi solo il 58% esprimeva il proprio consenso. Ancora meno positivo il risultato per l'elezione del nuovo Parlamento, dove l'ultranazionalista di destra V. Žirinovskij coglieva un buon successo.
In politica estera, la prosecuzione della trattativa sul disarmo conduceva all'accordo di Mosca del 13 gennaio 1994 tra Elcin, il presidente statunitense B. Clinton e il capo di Stato ucraino L. M. Kravčuk sulla denuclearizzazione dell'Ucraina e il passaggio delle sue armi atomiche alla Russia; contestualmente quest'ultima e gli Stati Uniti si impegnavano a non puntarsi contro i propri missili. Nel dicembre 1994 l'esercito russo invadeva la Cecenia, repubblica caucasica dichiaratasi indipendente da Mosca, e, dopo aspri combattimenti con i guerriglieri separatisti, ne occupava, nel febbraio 1995, la capitale Groznyj.
Nel maggio 1995, in occasione del cinquantesimo anniversario della vittoria nella seconda guerra mondiale, Elcin si incontrava a Mosca con il presidente statunitense Clinton; i colloqui avevano però esito deludente in quanto Elcin confermava il veto russo all'ingresso nella NATO dei Paesi dell'ex blocco sovietico (uno dei maggiori motivi di contrasto tra Mosca e i governi occidentali, che si sarebbe risolto, relativamente ai Paesi Baltici, solo nel 2003) e non si impegnava ufficialmente per una risoluzione pacifica del conflitto ceceno. In giugno un blitz dei separatisti ceceni nella città russa di Budënnovsk, conclusosi sanguinosamente, induceva il primo ministro Černomyrdin ad avviare trattative con il leader indipendentista Džokar Dudaev, che fruttavano però solo una breve tregua.
La guerra in Cecenia e la sempre maggior diffusione della criminalità organizzata influivano negativamente sulla popolarità di Elcin e del suo governo; alle consultazioni elettorali svoltesi nel dicembre 1995 per il rinnovo dei 450 seggi della Duma i partiti di ispirazione centrista e riformista venivano così nettamente sconfitti dai comunisti di Gennadij Zjuganov e dai nazionalisti di Žirinovskij. Nonostante la débacle elettorale, Elcin e Černomyrdin proseguivano nella loro politica di riforme, mentre in Cecenia, dopo l'uccisione del leader separatista Dudaev, si perveniva alla stipulazione di una nuova tregua e di un accordo per il ritiro delle truppe russe.
Nel giugno 1996 si teneva il primo turno delle elezioni presidenziali, che si concludeva con l'ammissione al ballottaggio di Elcin e del leader comunista Zjuganov; dopo una campagna elettorale combattuta e incerta il ballottaggio, svoltosi il 3 luglio, veniva superato da Elcin, che subito dopo confermava Černomyrdin alla guida del governo. Proprio lo stato di salute del presidente, costretto a un delicato intervento chirurgico al cuore fra il primo e il secondo turno elettorale, determinava una fase di acuta incertezza e oscurità circa l'effettivo esercizio del potere supremo, apparentemente affidato volta a volta a “consiglieri” e funzionari al di fuori dei normali meccanismi politici democratici; una fase che sarebbe in effetti durata per tutto il secondo mandato di Elcin. In compenso la crisi cecena appariva avviata verso la composizione, con il ritiro delle truppe russe (ottobre 1996) e le successive elezioni (gennaio 1997), che davano la presidenza cecena al leader indipendentista moderato A. Maskhadov e inauguravano una nuova fase nei rapporti con Mosca.
Nell'autunno del 1997, dopo anni di sacrifici, arrivavano per il popolo russo le prime buone notizie sul fronte economico: inflazione sotto controllo, stabilizzata attorno a un rispettabile 15%, spesa pubblica in discesa con un bilancio statale sostanzialmente in pareggio, produzione industriale in netta ripresa con un più 7%, investimenti esteri in crescita addirittura del 300%, tutti dati che lasciavano ben sperare per il futuro del Paese e che riscuotevano il plauso del FMI. Anche se i problemi di fondo permanevano, la Russia sembrava ormai uscita dal baratro politico-economico in cui era piombata dopo il 1992, avendo al suo attivo un settore privato che ormai rappresentava il 70% del PIL e 130.000 imprese pubbliche privatizzate (ca. il 60% del totale).