Storia

Già sei anni prima della costituzione dello Stato (1932), Ibn Saʽūd I, emiro del Neged e fondatore del regno, si era assicurato i confini attuali con la conquista dell'Higiaz, strappato agli Hascimiti, e con il protettorato sull'Asīr. Nel 1934 lo Yemen, che vantava anch'esso mire su quest'ultima regione, prese le armi contro i Sauditi. La guerra, durata pochi mesi, si risolse a favore dell'Arabia Saudita che con il trattato di Taʽif regolò in proprio favore le controversie di frontiera con lo Yemen.

Nel 1945 l'Arabia Saudita aderì alla Lega Araba. La profonda rivalità che la opponeva, nonostante la risoluzione delle questioni di confine, alle dinastie hascimite regnanti nell'Iraq e in Giordania spinse Ibn Saʽūd I, morto nel 1953, e il suo successore Ibn Saʽūd II a una politica di avvicinamento all'Egitto. Ma quando Il Cairo divenne il centro di un movimento panarabo rivoluzionario e progressista, l'Arabia Saudita cercò di porsi alla testa delle forze arabe conservatrici e panislamiche. La guerra civile yemenita (1962-70) fu in una certa misura il prodotto della rivalità fra RAU e Arabia Saudita. Nel 1964 Ibn Saʽūd II fu deposto dal fratello Fayṣal, che era stato primo ministro dal 1958 al 1960 e dal 1962 in avanti; Fayṣal promosse all'interno una politica di cauta modernizzazione e all'estero intese risolvere, insistendo sull'opzione conservatrice, i problemi posti dal ritiro degli Inglesi dalla Penisola Arabica. Ma non poté impedire che la già reazionaria Federazione dell'Arabia Meridionale divenisse nel 1967 la progressista Repubblica Democratica Popolare dello Yemen. Quanto allo Yemen vero e proprio, Fayṣal ottenne nel 1967 il ritiro delle truppe egiziane: ma, contro le previsioni, i repubblicani yemeniti prevalsero sui monarchici. Dopo l'uccisione di re Fayṣal (25 marzo 1975) da parte di un nipote, salì al trono il fratellastro Khāled. Alla morte di questi, avvenuta nel 1982, gli succedette il fratello Fahd ibn 'Abd el-'Aziz, promotore di accordi per il raggiungimento della pace in Medio Oriente.

L'affermazione del fondamentalismo sciita in Iran determinava nella regione una decisa modificazione degli equilibri inducendo una generale ricollocazione che riguardava anche la monarchia saudita e la sua politica estera. In particolare la lunga guerra tra l'Iran e l'Iraq, protrattasi per quasi tutti gli anni Ottanta, aveva reso precarie le rotte petrolifere, ma essa era anche la spia di una lotta a più ampio raggio per l'egemonia nell'area e nello stesso mondo arabo. Ufficialmente neutrale, l'Arabia Saudita era comunque costretta a subire alcune conseguenze della guerra per il danneggiamento di petroliere saudite, ma anche per le turbolenze interne scatenate dai gruppi di rito sciita che rivendicavano, invece, uno spostamento a favore dell'Iran. Il timore di un coinvolgimento sempre più diretto spingeva Riyadh al riarmo, mentre si riallacciavano (1987) i rapporti diplomatici con l'Egitto e si operava un più generale riavvicinamento agli Stati Uniti. Nel nuovo clima di distensione dei rapporti Est-Ovest maturava anche la ripresa diplomatica con l'Unione Sovietica e si inaugurava quella con la Cina.

Il precario equilibrio regionale, però, veniva violentemente scosso nell'agosto 1990 per l'invasione irachena del Kuwait. Sentitosi direttamente in pericolo per la presenza delle truppe di Baghdad ai confini e le oscure minacce di Saddam Ḥusayn, re Fahd non aveva esitazioni a chiedere l'intervento diretto degli Stati Uniti. Una mossa in qualche modo obbligata, ma gravida di conseguenze nel mondo musulmano per l'evidente contraddizione generata dalla massiccia presenza di truppe occidentali proprio nella culla dei luoghi più sacri dell'Islam: una contraddizione resa un po' meno stridente per la presenza di altri Paesi arabi e della stessa Arabia Saudita nella coalizione antirachena che rapidamente si costituiva. L'impegno militare statunitense e delle maggiori potenze occidentali determinava la sconfitta dell'Iraq e la liberazione del Kuwait (guerra del Golfo, gennaio-febbraio 1991), ma al contempo l'intera vicenda aveva messo in luce le debolezze strutturali del sistema di difesa saudita che si era mostrato incapace di far fronte ai pericoli provenienti da altri Stati della regione senza l'ombrello statunitense.

Con la nuova situazione, anche al fine di contenere i tentativi destabilizzanti dei gruppi sciiti presenti nel Paese, l'Arabia Saudita riallacciava nel 1991 i rapporti diplomatici con l'Iran mentre riprendeva una politica di sostegno agli Stati arabi in maggiore difficoltà e alla stessa OLP. Ma era l'insufficienza dell'apparato militare ad angustiare il regime di Riyadh essendo evidente che non bastavano i pur cospicui investimenti nel settore (15 miliardi di dollari tra il 1991 e il 1992). Anche dopo la sconfitta irachena, dunque, si rendeva necessaria una presenza statunitense, sia pure fortemente ridimensionata, ma ciò finiva con l'alimentare un'opposizione fondamentalista già abbastanza vivace e che lambiva anche alcuni elementi della gerachia religiosa ufficiale. Una presenza, quella integralista, difficile da estirpare nonostante i numerosi arresti eseguiti tra il 1994 e il 1995 e il più attento controllo degli immigrati (100.000 espulsi nel febbraio 1995). Tali provvedimenti, infatti, non erano sufficienti a impedire l'insorgere di nuovi fenomeni terroristici antistatunitensi che sfociavano nell'attentato alla sede dei consiglieri militari di Riyadh (novembre 1995) e nel più grave attacco alla base aerea di Khobar (giugno 1996) che provocava la morte di 19 militari e il ferimento di molte decine di uomini. Segnali di queste difficoltà interne venivano anche dal travaglio del gruppo dirigente, come dimostrava l'ampio rimpasto con il quale nell'agosto 1995 venivano cambiati 16 dei 28 ministri. A ciò si aggiungevano anche le precarie condizioni di salute di re Fahd che, nel gennaio 1996, cedeva temporaneamente i poteri al fratellastro Abdallah.

Mentre i nuovi rapporti con lo Yemen conducevano nel 2000 a un accordo sui confini (la sovranità esercitata di fatto dall'Arabia Saudita sulle province meridionali dell'Asīr, di Najrān e di Jīzān era stato motivo di ricorrenti contestazioni), non nascoste tensioni si verificavano con gli Stati Uniti, essendo il governo saudita contrario alle incursioni aree americane contro l'Irak, condotte dal 1997 per scalzare S. Ḥusayn, e alla politica statunitense verso i Palestinesi. Sul terreno della politica interna, malgrado il ritiro di fatto dal potere di re Fahd, le tensioni presenti in seno alla famiglia reale impedivano un trasferimento ufficiale del potere, anche se il principe Abdallah consolidava la propria autorità dando impulso a un rinnovamento economico (riduzione del debito pubblico, privatizzazioni, apertura del Paese agli investimenti esteri) affidato a un Consiglio Economico Supremo e a un Consiglio Supremo per le risorse petrolifere e minerarie, creati rispettivamente nel 1999 e nel 2000. Cercando di proporsi come mediatore in molti conflitti del Maghreb (tra Marocco e Algeria per il Sahara Occidentale, tra Stati Uniti e Libia), Abdallah nel contempo proseguiva a opporsi alla reintegrazione dell'Iraq nel mondo arabo e continuava nella politica di riavvicinamento all'Iran, giudicando la vittoria elettorale dei riformatori in questo Paese (2000) un progresso per l'intensificazione degli scambi commerciali e per la stabilità dell'intera regione.

Nel dicembre 2000 l'Arabia Saudita sottoscriveva con Kuwait, Bahrein, Qatar, Oman ed Emirati Arabi Uniti, membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo, un progetto per la creazione di una moneta comune entro il 2005 e un patto di reciproca difesa diretto a fronteggiare soprattutto la minaccia irachena. La guerra contro l'Iraq, condotta dalla coalizione anglo-americana nel 2003, e la conseguente caduta del regime di Saddam Ḥusayn, vanificavano la minaccia irachena, ma innescavano forti tensioni nel Paese, come dimostravano i gravi attentati terroristici contro alcuni quartieri residenziali abitati da occidentali e arabi e contro palazzi governativi, a Riyadh, avvenuti sia nel corso dello stesso anno sia in quello seguente.

Nel febbraio 2005 si sono tenute, per la prima volta nella storia del regno, le elezioni amministrative, a suffragio universale maschile, limitatamente alla metà dei seggi (il 50% dei quali resta di nomina regia). Il primo agosto dello stesso anno moriva il re Fahd e la corona è passata al principe ereditario Abdullah bin Abdul Aziz; il ministro della Difesa Sultan bin Abdel Aziz è divenuto il nuovo principe ereditario. Nel gennaio 2007 il presidente della Federazione Russa V. Putin si recava in visita ufficiale nel Paese siglando accordi commerciali e di cooperazione tecnologica. Nello stesso anno venivano eseguite 143 condanne a morte, suscitando polemiche nell'opinione pubblica internazionale.