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Aspetti economici
Pochi Paesi hanno una realtà economica e sociale complessa come quella dell'India; pur risultando tra gli Stati più industrializzati del mondo il prodotto lordo pr o capite la fa collocare a un livello medio tra le nazioni del Terzo Mondo.
Problemi generali. La maggior parte dei contadini è sottoccupata o stenta a vivere sui miseri piccoli appezzamenti di proprietà: assai spesso non si raggiungon o nemmeno i livelli minimi di sussistenza e il numero dei morti per fame,soprattutto fra i bambini, è ancora enormemente elevato (si stima siano alcuni milioni). Contraddizione non meno stridente, un Paese dominato dall'analfabetismo e dall'inadeguatezz a delle strutture produttive può vantare straordinari esiti sia scientifici sia tecnologici: per esempio nei settori della fisica, della biologia, della tecnica sofisticata. Nel 1974 l'India realizzava da sola una propria bomba atomica, nel 1980 iniziava il suo programma spaziale con il lancio di un satellite per telecomunicazioni interamente indiano e nel 1998 effettuava alcuni esperimenti nucleari nel Thar. Gli innegabili progressi registrati nell'industria, specie in quella di elevato livello tecnologico, hanno portato tra l'altro alla formazione di una borghesia imprenditoriale moderna e ben addestrata, cui si contrappone, però, una pubblica amministrazione pletorica e largamente inefficiente. Le gravi difficoltà dell'assetto produttivo indiano si manifestano in tutta la loro realtà nel settore agricolo, che è quello che dà lavoro a gran parte della popolazione attiva e che continua a rivestire un ruolo predominante nell'economia. Nonostante la produzione sia raddoppiata tra il 1950 e il 1980, la dipendenza dai fattori climatici e lo sfruttamento ancora arcaico dei terreni agricoli da una parte e l'esplosiva crescita demografica dall'altra provocano periodiche, drammatiche carestie, ingiustificabili se considerate alla luce dell'elevato potenzial e agro-alimentare di questo grande Paese. D'altronde la stessa industria, pur nella sua ampiezza, è ancora un elemento di secondo piano nel complesso quadro produttivo del Paese.
Programmi e sperequazioni. Gli ambiziosi programmi di sviluppo che si sono susseguiti dopo l'indipendenza, sempre legati a poco realizzabili modelli occidentali, si sono rivelati del tutto inadeguati alle esigenze del Paese. Infatti, gli incrementi produttivi, lungi dall'essere finalizzati all'eliminazione della miseria mediante una più equa distribuzione della ricchezza, hanno contribuito ad approfondire il plurisecolare abisso tra i ceti privilegiati, oggi rappresentati dagli imprenditori, dai managers , dagli alti funzionari pubblici, e l'enorme massa della popolazione attestata a un livello di vita estremamente basso, senza contare le decine di milioni di emarginati ai puri limiti della sopravvivenza. Eliminate dalla Costituzione le antiche caste, si può ben dire che altre se ne siano formate, non meno invalicabili. Questa spaccatura tra le enormi possibilità offerte ai pochissimi e la totale indigenza dei più si traduce altresì nella presenza di un modello di vita occidentale, attuabile solo dai ricchi, diametralmente opposto a quello asiatico dei poveri.
L'eredità del colonialismo. Tutte queste contraddizioni, insite nella società indiana del passato, si accentuarono con il colonialismo, il quale ha utilizzato per i suoi fini il peso enorme delle tradizioni, specie di quelle religiose, proprie di questo Paese. Con il colonialismo nacque infatti la moderna economia dell'India; furono costruite fabbriche (in prevalenza tessili), ferrovie, strade, opere portuali, ma in pratica nulla fu fatto nei due settori fondamentali, cioè quello agricolo-alimentare, che rimase tecnologicamente assai arretrato, e quello dell'incontrollato sviluppo demografico, quest'ultimo anzi visto nell'ottica di disporre di ingenti masse di manodopera a basso costo. Contemporaneamente l'economia indiana veniva inserita nei circuiti internazionali: ma questo significò eminentemente trovare un comodo sbocco per le esportazioni industriali britanniche verso l'India, intesa quale mercato, e dalla colonia quale produttrice di beni a prezzi concorrenziali (per esempio cotone, minerali, oli vegetali, pelli, spezie, legname). Il fatto ebbe gravissime conseguenze per l'India, in quanto finì col provocare la rottura di quel secolare equilibrio dell'economia su cui si erano sino ad allora retti i villaggi, più o meno autosufficienti, e in particolare determinò il pressoché totale decadimento di un sapiente artigianato, che in precedenza riusciva a fornire ai contadini quasi tutti i beni strumentali di cui potevano necessitare. Un altro non meno grave fattore fu il nuovo e convulso urbanesimo conseguente lo sviluppo delle attività industriali e commerciali; inoltre, nelle città si andò formando quella classe sociale nuova, promossa dall'amministrazione inglese, che si fece poi interprete della modernizzazione dell'India in senso occidentale.
Economia dell'indipendenza. L'economia ebbe dunque un'impostazione tipicamente capitalista e su questa via il Paese ha continuato praticamente a procedere dopo l'ottenimento dell'indipendenza. Infatti il preteso socialismo indiano significa solo la nazionalizzazione del settore energetico, delle industrie di base (siderurgia, metallurgia, petrolchimica), dei mezzi di trasporto e della quasi totalità del settore bancario. Per oltre trent'anni l'imperativo dei pianificatori indiani è stato quello di creare uno Stato forte mediante il potenziamento dell'industria di base, mentre poco o nulla è stato fatto per l'agricoltura e l'industria leggera. L'iniziativa privata resta comunque alla base dell'economia indiana: l'industria privata si struttura attorno ad alcuni colossali "imperi", mentre in mancanza di una solida media industria è andata ingigantendo la cosiddetta "industria sommersa", rappresentata da una miriade di aziendine che sfuggono a qual siasi controllo e a qualsiasi statistica, occupando però - al solito in condizioni estremamente precarie - la maggior parte delle forze di lavoro industriali. La crisi mondiale iniziata con gli anni Settanta ha indotto tuttavia a un cambiamento della politica economica indiana; il governo ha grandi ambizioni e punta a un tasso di crescita del prodotto nazionale di oltre il 5% e dell'8% nel settore dell'industria. Molto si attende dal petrolio, rinvenuto a partire dal 1974 in diverse zone, cosicché l'India, superando il tradizionale atteggiamento di netta chiusura nei confronti degli interventi diretti di società straniere nel Paese, ha accettato di ricorrere alle multinazionali occidentali (soprattutto statunitensi e giapponesi) concedendo l'autorizzazione a effettuare le opportune ricerche petrolifere. Lo sviluppo economico richiede, infatti, grandi investimenti di capitali, nonché tecnologie sofisticate che l'India deve procurarsi da altri Paesi: assai rilevanti sono stati in proposito gli aiuti della Russia e, in minore misura, degli Stati Uniti; ma l'India è ricorsa anche a organismi internazionali tra cui il Fondo Monetario Internazionale.
Potenzialità agricole. L'agricoltura indiana ha notevoli possibilità, data l'estensione dei terreni produttivi: già ora dispone di vaste superfici coltivabili, pari al 52% del territorio nazionale, con condizioni climatiche e pedologiche molto varie, il che consente un'ampia gamma di colture. Sebbene il clima monsonico provochi una distrib uzione irregolare delle precipitazioni, queste sono considerevoli, per cui il problema consiste nel saperle utilizzare convenientemente mediante una serie di opportune infrastrutture irrigue. A queste favorevoli condizioni non corrisponde quello sviluppo delle colture che potrebbe rendere l'India un Paese più che autosufficiente se non addirittura esportatore, almeno per vari prodotti; infatti il settore rimane in condizioni di pesante arretratezza. L'indipendenza abolì l'arcaico regime della proprietà terriera, basato sul latifondo parassitario e sulla vera e propria servitù della gleba, grazie alla distribuzione di gran parte delle terre ai contadini e in minore misura alle cooperative di villaggio. Lo Stato però non si fece carico di attuare una radicale riforma agraria, tanto che esistono ancora grandi proprietà terriere, che sono di fatto le sole aziende efficienti con colture di alto valore commerciale.
Fattori ritardanti. Poco o nulla sovvenzionati dagli organi governativi, i mpossibilitati ad accumulare i capitali necessari per rifornirsi di fertilizzanti, sementi, macchinari agricoli ecc., i contadini traggono a fatica di che vivere dai loro microfondi. L'estrema parcellizzazione delle aziende impedisce così il raggiungimento di soddisfacenti livelli produttivi, mentre l'assenza di adeguati mezzi di trasporto e di magazzini per la conservazion e dei prodotti non consente l'accesso ai mercati di buona parte del raccolto, nel frattempo deterioratosi. Ancor più, in mancanza di agevolazioni creditizie da parte dello Stato, poco o nulla si è riusciti a fare per debellare la piaga dell'usura e dello sfruttamento da parte degli intermediari. Inoltre, le oligarchie rurali, proprietarie di moderne aziende altamente redditive e arbitre del mercato interno, conservano spesso intatto l'antico potere feudale: ne è prova che solo nel 1975 sono stati aboliti i lavori forzati per il contadino impossibilitato a pagare i propri debiti (questa forma di servitù della gleba era in vigore da secoli nelle campagne e obbligava alle prestazioni anche tutti i membri della famiglia del debitore). L'intervento del governo si è limitato alla realizzazione delle opere di irrigazione primaria, tanto che nel 1996 le superfici irrigate si estendevano per 57 milioni di ha, pari a un terzo della complessiva area coltivata. Ciò nonostante, a parte talune annate persino rovinose, l'andamento produttivo ha fatto registrare costanti incrementi, che tuttavia non corrispondono all'aumento impressionante della popolazione.
Produzione di vegetali alimentari. Il cereale più largamente coltivato è il riso, che interessa quasi un quarto dell'arativo, con massime concentrazioni nell'India orientale (uno dei maggiori produttori mondiali). Seguono il frumento, diffuso nell'India occidentale più asciutta, il miglio e il sorgo, che si adattano anche a suoli più poveri e poco irrigati; produzioni minori sono quelle del mais e dell'orzo. Tra le altre colture alimentari hanno particolare rilievo le patate, la manioca e le banane, nonché numerose altre varietà di frutta sia tropicale sia di zona temperata, fra cui ben rappresentati sono soprattutto gli agrumi. Dei prodotti orticoli vengono consumati in note vole quantità i ceci, i fagioli secchi, i piselli e le lenticchie, le cipolle e i pomodori.
Colture industriali. Numerose sono le colture industriali, tra le quali un ruolo preminente svolgono le oleaginose, che danno notevoli contributi all'esportazione. L'India detiene il secondo posto mondiale per le arachidi e il sesamo; è al terzo posto per i semi di lino e per i semi di cotone; produce inoltre buoni quantitativi di colza e soia. Tra le piante tessili, oltre al cotone (ai primi posti su scala mondiale), ha notevole rilievo la iuta, coltivata soprattutto nel Bengala Occidentale, e di cui l'India è il primo produttore mondiale; seguono la canapa, il kenaf ecc. L'India detiene il primato per il tè, che per oltre la metà proviene dall'Assam, mentre il caffè è coltivato in varie zone montuose del Deccan meridionale. Altre due importanti colture sono quelle della canna da zucchero, diffusa soprattutto nella pianura del Gange, che solo in parte è avviata agli zuccherifici, mentre per il resto è impiegata nella produzione di una particolare bevanda, il gur, e il tabacco. I 68,5 milioni di ha di foreste rappresentano un patrimonio prezioso ma insufficiente alle necessità del Paese, sia per la produzione di legname sia per la protezione dei suoli. Ricchi lembi di foreste tropicali esistono ancora sulle pendici dei Gathi Occidentali e nell'adiacente costa del Malabar, nonché sui monti Vindhya e Satpura; varie essenze pregiate (mogano, teak, sandalo) sono destinate anche all'esportazione. Nel Bengala Occidentale si utilizza largamente il bambù per svariati impieghi, tra cui la fabbricazione della carta. Ingente è anche la produzione di caucciù.
Allevamento. L'allevamento è un'attività molto antica in India, ma dà contributi assai limitati al reddito nazionale. Più della effettiva scarsità dei pascoli sono le radicate credenze religiose a influire in modo deter minante sullo sviluppo del settore, rimasto in effetti sempre al margine della vita economica indiana e caratterizzato da elementi di estrema arcaicità. La proibizione per gli induisti di consumare la carne bovina (la mucca essendo da tempi antichissimi un animale sacro che è vietato uccidere) fa sì che questi animali, di cui i credenti consumano solo il latte e i suoi derivati, invece di costituire una risorsa, come il loro enorme numero potrebbe far supporre, rappresentino motivo di un ulteriore impoverimento delle popolazioni rurali, che devono provvedere, bene o male, al sostentamento delle bestie. Sebbene con grandi difficoltà, il governo sta attuando una politica di miglioramento delle razze, nella prospettiva di una abolizione della norma tradizionale; inoltre vicino alle grandi città, come Calcutta, Bombay, Delhi e Madras, esistono ormai alcuni moderni allevamenti di bovini destinati alla macellazione. Molto diffusi sono anche i bufali (un altro primato mondiale), utilizzati per i lavori agricoli e particolarmente numerosi nel Bengala Occidentale, nella pianura del Gange e nelle regioni costiere. Nell'India nord-occidentale, più arida, vengono allevati i caprini (uno dei primi produttori mondiali), gli ovini e i volatili, pochi sono i suini. Tradizionale e tuttora diffusa in diversi Stati, tra cui il Karnataka e il Jammu e Kashmir, è la bachicoltura.
Pesca. Anche la pesca, che pure potrebbe dare notevoli contributi all'alimentazione, è un'attività ben lungi dall'essere adeguatamente sfruttata; è svolta per lo più a livello artigianale, sia nelle acque interne sia in quelle marine (comunque quasi unicamente nelle acque costiere, mancando una flotta adatta alla pesca in alto mare), benché non manchino moderni centri organizzati in funzione commerciale; il pescato proviene per oltre un terzo dal Tamil Nadu e dal Kerala.
Risorse minerarie. L'India è un Paese piuttosto ricco dal punto di vista minerario e probabilmente ancora molto deve essere scoperto; si stanno per esempio rivelando assai ingenti le riserve di carbone (il settore è stato interamente nazionalizzato nel 1973 e sottoposto a un apposito ente governativo). Bacini particolarmente importanti sono quelli nel Bihar e nel Bengala Occidentale, data la vicinanza di ricchi giacimenti di ferro; questa concomitante presenza ha favorito il sorgere dell'ormai potente industria siderurgica della Valle del Damodar, la cosiddetta "Ruhr indiana". Il quadro energetico comprende, oltre al carbone, la lignite e il petrolio, con principali giacimenti nel Gujarat, nel Nagaland e nell'Assam (dove si estrae anche gas naturale) e off-shore nel Golfo di Cambay; sempre tra i giacimenti marini sembrano assai cospicui quelli al largo della costa del Maharashtra e nel Golfo del Bengala. Le risorse del Paese sono ormai in grado di soddisfare il 50% delle esigenze energetiche e fra qualche anno si pensa che l'India in tema di petrolio possa essere autosufficiente. Tra i minerali metalliferi sono ingenti le produzioni di manganese, di bauxite e di cromite seguite da quelle di rame, piombo, zinco, magnesite, oro, argento, diamanti, tungsteno, uranio; completano il panorama dei maggiori prodotti minerari i fosfati naturali, la mica e il sale, estratto sia dai depositi di salgemma sia dalle saline costiere e dei lag hi interni. Il potenziale idroelettrico è rilevante, specie nella regione himalayana e nel Deccan, ma è stato solo in parte valorizzato mediante la costruzione di grandi dighe (sul Sutlej, sul Mahanadi ecc.) che servono anche per l'irrigazione. L' energia elettrica è in gran parte di origine termica, in buona misura ottenuta sfruttando il carbone nazionale; la rete nazionale è discontinua e poco efficiente e ancora il 40% dei villaggi non è servito. L'India è anche interessata a potenziare il settore e lettronucleare: principali centrali sono quella di Tarapur vicino a Bombay, quella di Ranapratap Sagar presso Kota, nel Rajasthan, e quella di Kalpakkam, nel Tamil Nadu. Molto attivo e all'avanguardia è il Bhabha Atomic Research Centre di Trombay, presso Bombay, importante centro per la ricerca e lo sviluppo dell'energia nucleare.
Industria di base. L'industria di base ha fatto registrare progressi notevoli specie nei settori siderurgico, chimico e petrolchimico. Oltre a molteplici impianti presenti nella valle del Damodar (taluni dei quali ereditati dalla dominazione britannica), altri complessi siderurgici (acciaio, ghisa, ferroleghe) sono stati costruiti in varie regioni del Paese secondo i programmi governativi miranti a vitalizzare il Sud e più in generale a realizzare una vasta distribuzione geografica delle industrie. Il settore metallurgico, meno sviluppato, produce alluminio, piombo, rame, zinco e altri metalli destinati, come gran parte dei prodotti siderurgici, all'industria nazionale. Questa comprende, oltre al settore ferroviario di origine coloniale, fabbriche di macchine agricole, autoveicoli, biciclette, motori e materiali elettrici, materiali e apparecchi radio-elettronici; sensibili progressi registrano i settori cantieristico e del montaggio di aeroplani su licenza straniera. L'industria leggera si avvale su larga scala della miriade di aziende a conduzione familiare o artigianale. Una notevole espansione registra l'industria chimica, che ha vari importanti complessi in prossimità delle aree carbonifere (per esempio nella regione compresa tra il bacino carbonifero del Damodar e il centro industriale di Calcutta) o là dove esiste una consistente disponibilità di energia elettica (per esempio nel Karnataka meridionale, con centro in Bangalore). Le principali produzioni riguardano l'acido solforico, il nitrico e il cloridrico, i fertilizzanti azotati, la soda caustica, le materie plastiche e le resine sintetiche, i prodotti farmaceutici, ecc. L'industria petrolchimica dispone di numerose raffinerie, sorte sia nelle aree di estrazione del grezzo (come a Digboi, nell'Assam), sia nei grandi centri costieri (Cochin, Madras, Vishakhapatnam ecc.) che hanno una capacità di raffinazione nettamente superiore alla produzione di grezzo nazionale, sicché lavorano anche petrolio d'importazione. Sviluppati sono del pari l'industria della gomma, rivolta per lo più alla produzione di pneumatici, quella cementiera e quella cartaria.
Altre industrie. Il settore manifatturiero più sviluppato e anche più antico è però quello tessile, soprattutto l'industria cotoniera che trae vantaggio dall'utilizzare la materia prima nazionale; i tessuti sono largamente esportati in tutto il mondo grazie ai costi nettamente concorrenziali. Prospero è del pari lo iutificio, dislocato nel Bengala Occidentale, mentre più modesto è il lanificio, che ha il suo massimo centro a Kanpur. Mantiene la sua importanza il setificio, che vanta prestigiose tradizioni (sari , scialli, tessuti ricamati come quelli celebri del Kashmir). Di recente sviluppo, ma in notevole crescita, è infine il settore delle fibre artificiali e sintetiche. Diffuse ovunque sono le industrie alimentari, nelle quali però, salvo per alcuni prodotti di piantagione, prevalgono le aziende artigianali ubicate in genere nei luoghi stessi delle diverse colture. Accanto ai numerosi complessi molitori e per la lavorazione del riso si hanno oleifici, stabilimenti per la lavorazione del tè e del caffè, conservifici della frutta e delle verdure, zuccherifici, birrifici. Considerevoli sono anche la manifattura dei tabacchi e l'industria del cuoio. Uno spettacolare livello quantitativo ha infine raggiunto l'industria cinematografica che, concentrata soprattutto a Bombay, produce un numero assai elevato di film.
Comunicazioni interne. Le comunicazioni indiane si basano soprattutto sulle ferrovie, la cui rete fu in gran parte realizzata, sul tracciato delle antiche vie imperiali moghul, dagli Inglesi nel secolo scorso, quale unico mezzo per collega re le diverse parti del vasto dominio coloniale: dei 62.500 km di complessivo sviluppo dell'attuale rete ferroviaria (la quarta del mondo) ben 54.000 costituiscono una "eredità" britannica. I principali nodi ferroviari sono: Delhi, dove la rete della pia nura gangetica si allaccia con quella della piana dell'Indo e del Rajasthan; Kanpur, dove la rete gangetica si raccorda con quella degli Altopiani Centrali che, sul versante opposto, gravitano su Bombay; Calcutta, nodo di convergenza della rete gangetica e di tutta l'India orientale. È un tracciato dunque al servizio soprattutto dei grandi centri portuali, non a caso sviluppatisi come autentic he metropoli e aree industriali.
Traffico marittimo e aereo. I maggiori porti sono Bombay, Kandla e Madras; seguono Marmagao, Vishakhapatnam e Calcutta, cui la separazione del Bangladesh ha tolto l'antico primato. A fianco di questi principali sbocchi marittimi, sulle coste indiane si allineano moltissimi altri centri portuali al servizio della navigazione di piccolo cabotaggio, tuttora largamente praticata. Del pari nei traffici interni conserva la sua importanza la navigazione fluviale, che può contare su una rete navigabile di oltre 15.000 km costituita sia dai fiumi maggiori, come il Gange e il Brahmaputra con i relativi affluenti, sia da numerosi canali. A lungo trascurata, la flotta mercantile indiana comincia ad avere un certo peso internazionale (è ormai tra le prime dell'Asia). Notevoli impulsi ha avuto anche la rete stradale, che può contare su 2 milioni di km di strade, di cui 1 milione di km sono pavimentati in macadàm o asfalto; spesso si tratta di strade strette e non molto efficienti ma che nel complesso appaiono abbastanza adeguate al traffico che devono sopportare, non molto intenso tranne che nelle aree urbane. Tutti i centri principali sono ormai collegati da buoni servizi aerei, che hanno assunto anzi un ruolo sempre più rilevante; la compagnia Indian Airlines assicura i servizi interni e quelli con i Paesi vicini (Nepal, Bangladesh ecc.), mentre la Air India effettua servizi diretti con una quarantina di Stati in ogni parte del mondo. I maggiori aeroporti, tutti internazionali, sono quelli di Bombay (Santa Cruz), Calcutta (Dum Dum ), Delhi (Indira Gandhi) e Madras (Meenambakkam).
Commercio. Con un territorio così vasto e soprattutto con risorse tanto differenti da zona a zona, il commercio interno è molto sviluppato e tende a potenziarsi man mano che si diversificano i consumi. Non altrettanto si veri fica con il commercio con l'estero basato su una forte limitazione delle importazioni dei beni di consumo e sull'esportazione di beni con basso valore aggiunto. L'India importa prevalentemente petrolio e prodotti petroliferi, macchinari e mezzi di trasporto, materie plastiche, fibre sintetiche e prodotti chimici in genere, cereali, mentre esporta soprattutto prodotti tessili (di cotone, iuta ecc.) e articoli in pelle, seguiti da manufatti di ferro e acciaio, minerali metalliferi, diamanti, tè, caffè, zucchero, oli vegetali, pesce, spezie e altri generi alimentari. I principali scambi si svolgono con Stati Uniti, Giappone, Gran Bretagna e Germania. Ancora limitato è il turismo, nonostante il notevole interesse che il Paese desta; ciò a causa delle gravi carenze nelle strutture alberghiere e nei servizi.