Storia

Discendente dalla fusione avvenuta nel sec. XIII fra gruppi autoctoni già sedentarizzati e tribù nomadi mongole, la popolazione uzbeka è stata in seguito soggetta alla sovranità di vari khanati, fra i quali dal Settecento si sono imposti soprattutto quelli di Buhara, Samarcanda e Kokand. Con la conquista di quest'ultimo da parte delle truppe zariste nel 1876, la regione è poi entrata nell'Impero russo di cui ha seguito ogni successiva vicenda storica.

Contesi, all'indomani della Rivoluzione bolscevica, dall'Armata Rossa e dalle forze controrivoluzionarie e nazionaliste (il movimento basmachi) sostenute dalla Gran Bretagna, i territori costituenti l'odierno Uzbekistan hanno acquisito statuto di Repubblica socialista sovietica nell'ottobre 1924 attraverso un composito processo di definizioni confinarie conclusosi nel decennio successivo (1936). Negli anni Trenta Taškent divenne la capitale del Paese.

Giunto assai arretrato nelle proprie strutture socio-economiche all'inclusione nell'URSS, l'Uzbekistan ha successivamente conosciuto un certo sviluppo agricolo e industriale, stimolato dall'immigrazione di lavoratori qualificati dall'area sovietica europea e più tardi, con la seconda guerra mondiale, anche dal trasferimento di impianti minacciati dalle vicende belliche, subendone però nei decenni successivi rilevanti danni ambientali (inquinamento chimico del territorio, erosione del suolo e riduzione della superficie del lago Aral, nonchè problemi relativi allo stoccaggio di materiale radioattivo) che hanno suscitato crescente preoccupazione nella popolazione locale.

Nel 1983 il nuovo segretario locale del Partito comunista I. Ousmankhodgipaev scatenò uno scandalo legato alla produzione di cotone che comportò arresti e processi a migliaia di funzionari in tutta l'URSS. Il clima di tensione tra gli uzbeki, in gran parte musulmani sunniti, e la politica anticlericale moscovita e la minoranza russa portarono tra il 1989 e il 1990 a violenti scontri. L'Uzbekistan ha proclamato l'indipendenza il 31 agosto 1991, in conseguenza del dissolvimento dell'URSS, indotto dal fallito colpo di Stato moscovita dello stesso mese. Contestualmente al referendum che ha sancito tale atto (29 dicembre 1991) è stato confermato alla guida del Paese il presidente Islam Karimov, già leader del Partito comunista (ora Partito democratico del popolo, PDP), eletto in tale carica nel marzo 1990. L'azione politica si è orientata verso il consolidamento dei rapporti con l'estero, soprattutto con i Paesi dell'Asia centrale e con la Turchia, insieme ai quali l'Uzbekistan è entrato a far parte dell'Organizzazione di cooperazione economica. Pur facendo presa su rinati sentimenti nazionalistici e tendendo a fare dell'Uzbekistan (il più popolato della regione) il Paese guida dell'area, il governo ha rifiutato di sostenere orientamenti favorevoli al panturchismo o all'integralismo religioso, peraltro rappresentato da un attivo Partito della Rinascita Islamica (con forte seguito in talune aree, principalmente della valle di Fergana). L'adesione alla CSI è stata comunque immediata (21 dicembre 1991) e a essa è seguito il tentativo di liberalizzare in modo piuttosto radicale l'economia. Tumulti studenteschi contro il forte innalzamento del costo della vita hanno avuto luogo a Taškent nel gennaio 1992, provocando una robusta repressione. Nel luglio seguente è stata approvata una nuova Costituzione, resa pubblica in settembre, che ha instaurato formalmente un sistema multipartitico, ma essa rimaneva sostanzialmente sulla carta per la resistenza del PDP ad accettare una reale competizione politica. A questa situazione ha fatto riscontro un inasprimento dei caratteri totalitari del regime guidato da Karimov. La mancanza di democrazia si è rivelata evidente nel voto per l'elezione della nuova assemblea legislativa, l'Oli Majlis, che ha preso il posto del Soviet supremo. Alla consultazione tenutasi in due turni tra il 25 dicembre 1994 e il 22 gennaio 1995, hanno partecipato due formazioni politiche: l'ex comunista Partito democratico del popolo (PDP) e il suo alleato Partito del progresso della madrepatria (PPM). La nuova assemblea è risultata formata etnicamente per l'86 % da uzbechi, che rappresentano il 71% della popolazione. Nel maggio 1995, l'Oli Majlis ha rinnovato il mandato al governo guidato dal primo ministro Abdulashim Mutalov.

Per quanto riguarda la politica estera, l'Uzbekistan si è dimostrato restio ad accettare le imposizioni della Russia, rifiutando di impegnarsi maggiormente nella Comunità di stati indipendenti. Per tutto l'ultimo decennio del secolo XX la vita politica dell'Uzbekistan era caratterizzata da questa evidente dicotomia: una linea internazionale equilibrata e moderata, con significative aperture all'Occidente (adesione alla Partnership per la pace della NATO, luglio 1994) e pressione neoautoritaria interna. Nel 1998 il presidente appoggiava la Federazione russa nella guerra contro la Cecenia, scatenando la politica secessionista del Movimento Islamico dell'Uzbekistan (MIU), accusato dal governo di diversi attacchi terroristici. Nelle elezioni del gennaio 2000 Karimov veniva rieletto. Nel 2001 il governo cedeva alle forze armate statunitensi l'uso di una base aerea, ricevendone in cambio aiuti finanziari e l'apertura di crediti da parte dell'FMI. Nel marzo 2004 il Paese veniva investito dalla guerriglia del MIU, contrario alla politica filo-statunitense del governo. Nel maggio 2005 il conflitto tra i ribelli islamici e le forze di polizia è riesploso ad Andijan, provocando morti e feriti. Nel 2007 un accordo sulle forniture del gas uzbeco alla Russia, legava ancora di più i due Paesi e un patto di alleanza tra Karimov e il governo russo provocava l'allontanamento dei militari statunitensi dalla base uzbeca di Karshi Khanabad. Nel dicembre dello stesso anno le elezioni presidenziali riconfermavano il presidente in carica. Nel dicembre del 2009 si svolgevano le elezioni per il rinnovo del parlamento dominate dai quattro partiti filo-governativi.