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Economia
Peculiarissime condizioni storico-geografiche, forse irripetibili su scala mondiale, sono alla base della struttura economica degli Stati Uniti, la massima potenza del mondo occidentale. Due sono stati i fattori determinanti: la piena disponibilità di uno spazio esteso e ricchissimo di risorse naturali, il cui intensissimo sfruttamento ha consentito quel colossale accumulo di capitali che è stato alla base di tutti i successivi slanci dell'economia statunitense, e l'afflusso da ogni parte del mondo di decine e decine di milioni di individui che, animati da uno straordinario e spregiudicato spirito pionieristico, hanno popolato tali vastissimi territori, conquistando sempre nuove terre e nuove risorse all'insegna dell'esaltazione dell'arricchimento individuale e attraverso i più esasperati sistemi di produzione liberista e capitalista. Questa prima fase dell'economia statunitense, sostenuta dall'allargarsi di un mercato arricchito dall'immissione di nuove masse di immigrati e fondata sul consumismo, sulla fortissima urbanizzazione, sul generale miglioramento del tenore di vita, si avvantaggiò enormemente di uno sviluppo tecnologico senza pari e di una diffusione eccezionale dei mezzi di comunicazione.
Crisi del 1929-30 e degli anni Settanta. Gli squilibri di un sistema basato sull'ottenimento del massimo profitto individuale nel più breve arco di tempo si rivelano in tutta la loro pericolosità con la gravissima crisi del 1929-30, dovuta a un enorme eccesso di produzione rispetto alle possibilità d'acquisto. Tale crisi ha segnato, insieme a un inserimento più stretto degli USA nel sistema economico mondiale, l'inizio di un nuovo modo, più controllato, di organizzare la realtà economico-sociale del Paese, nel quale il ruolo dello Stato, specie a livello federale, è divenuto via via più importante. La preoccupazione per la conservazione delle risorse nazionali ha sviluppato una politica estera di accaparramento delle materie prime in qualunque parte del mondo esse siano reperibili; da ciò un sempre più complesso e ramificato intreccio di interessi produttivi e finanziari, che legano l'economia statunitense a quelle di buona parte del globo. Questa particolare collocazione del Paese all'interno del quadro internazionale ha fatto sì che la gravissima crisi economica mondiale, esplosa agli inizi degli anni Settanta in conseguenza degli elevatissimi rincari del petrolio, coinvolgesse profondamente l'economia statunitense, determinando la prima recessione dopo quella del 1929. L'aumento del prezzo internazionale del petrolio ha ogni volta esercitato un potente effetto perturbatore sull'economia degli USA, fondata su una massiccia utilizzazione di fonti di energia resa necessaria dal livello altissimo dei consumi privati e dalle dimensioni gigantesche dell'apparato produttivo. Fino al 1980 è continuato il rallentamento nel processo di crescita economica: per la prima volta da decenni la produttività del lavoro aumentò di pochissimo (0,5%) e il tasso di cambio del dollaro scese a livelli molto bassi. Nel triennio 1980-1982 gli USA hanno avuto addirittura variazioni negative del loro prodotto nazionale: la caduta è stata inferiore a quella degli anni "neri" (1974 e 1975), ma il tasso di disoccupazione è passato dal 7,1% al 10,7% della popolazione attiva, il più elevato dopo la grande crisi del Trenta.
Fase di rilancio. Tuttavia, dopo questa fase negativa iniziale la politica neoliberista introdotta nel 1980 dall'amministrazione Reagan ha saputo realizzare, già nel 1983, uno spettacolare rilancio dell'economia americana, iniziando una nuova fase nella storia politica ed economica degli USA. Tale politica è stata essenzialmente basata sulla riduzione della pressione fiscale (a beneficio dei più abbienti), sul vertiginoso aumento della spesa pubblica nel settore degli armamenti, su drastici tagli delle spese sociali, accompagnati da azioni monetaristiche restrittive fondate su alti tassi di interesse. Il tasso di cambio del dollaro è così rapidamente migliorato operando un colossale drenaggio di capitali dall'estero che ha contribuito al rilancio dei settori industriali più avanzati, deprimendo nel contempo i prezzi delle materie prime (petrolio compreso) importate. Grazie a questa politica, negli Stati Uniti si è verificata un'espansione dei consumi privati della maggioranza della popolazione e una ripresa delle esportazioni ad alto contenuto tecnologico, mentre le multinazionali, attraverso il controllo dei capitali e dei mercati internazionali, si assicuravano (anche con l'acquisto di grosse partecipazioni nelle industrie mondiali) una posizione di predominio nel mondo. Già all'inizio del 1984 la ripresa economica degli Stati Uniti era in atto, facilitata dalla ristrutturazione industriale degli anni precedenti che era costata 9 milioni di nuovi disoccupati: nel 1984 la produttività era aumentata del 4,7%; circa 7 milioni di nuovi posti di lavoro sono stati creati nel terziario; vi è stato un aumento del 6,4% del prodotto nazionale lordo, il più alto tasso annuale di crescita dal 1951; il tasso di inflazione è sceso al 3,7%, il più basso dal 1967. L'aumento della domanda di prodotti industriali è stato però in larga misura coperto dalle importazioni, rese sempre più competitive dall'eccessiva valutazione del dollaro. Di contro, il disavanzo del governo federale non accenna a diminuire: l'effetto di stimolo sull'economia e in particolare sui consumi privati si è notevolmente affievolito.
Nuova recessione. Gli ultimi anni Ottanta e i primi Novanta sono nuovamente caratterizzati dalla crisi economica che interessa in primo luogo il settore agricolo, colpito dal fallimento di molte imprese e di istituti di credito a esse collegate. L'industria tradizionale (siderurgia e automobilismo in primo luogo) e alcuni rami del terziario (esemplari i casi delle grandi compagnie aeree) hanno ridotto gli organici. Negli anni successivi l'espansione, moderata ma continua, dell'economia è stata trainata soprattutto dallo sviluppo del settore terziario e dei comparti industriali ad alta tecnologia (aeronautica, informatica, elettronica, armi), e la disoccupazione ha toccato il valore più basso dal 1970. Nel complesso, si sono accentuate le sperequazioni nella distribuzione della ricchezza: mentre il reddito delle classi più ricche è in crescita, quello delle classi medie e basse è in diminuzione, e di fatto il 15% dei cittadini statunitensi vive sotto la soglia di povertà, con scarse forme di assistenza sociale e sanitaria.
Profilo agricolo. Condizioni climatiche e pedologiche straordinariamente favorevoli sono fra i fondamentali fattori (ma non certo gli unici) che hanno favorito l'eccezionale sviluppo dell'agricoltura statunitense: ogni abitante degli Stati Uniti dispone di una superficie coltivabile che è almeno 3 volte superiore a quella di cui fruisce il resto dell'umanità. Alle ottime risorse naturali si deve però aggiungere l'estrema razionalizzazione dell'agricoltura, un'attività caratterizzata sin dalle origini da un ben preciso adattamento alle condizioni ambientali sia delle colture sia delle dimensioni delle aziende agricole, varianti da poche decine sino a diverse migliaia di ha, sia, infine, delle tecniche colturali (uso dei fertilizzanti, lotta contro le degradazioni dei suoli, tecniche irrigue ecc.). In questi spazi immensi, contrassegnati dalla scarsa densità della popolazione, un altro fattore decisivo del successo statunitense è stato l'altissimo grado di meccanizzazione. Infine non va sottovalutato l'elemento umano. Gli agricoltori, spesso associati in consorzi per meglio garantirsi sicuri redditi in un settore strutturalmente esposto a pericoli ricorrenti e in genere strettamente collegati con le industrie alimentari, ricevono un'altissima e sempre aggiornata formazione tecnica. Paradossalmente, mentre il settore primario svolge nell'ambito dell'economia nazionale un ruolo sempre meno rilevante sia per quanto riguarda il numero degli addetti sia in percentuale del prodotto nazionale, esso occupa una formidabile posizione in campo internazionale. Grazie ai sempre crescenti rendimenti unitari ottenuti nell'agricoltura, per certi prodotti, come la soia, gli Stati Uniti detengono in pratica il monopolio mondiale, e quindi agli enormi surplus che vengono realizzati, gli Stati Uniti sono riusciti a imporsi come un'autentica potenza alimentare: sono ormai molti, anche al di fuori del Terzo Mondo, i Paesi che dipendono, in maggiore o minore misura, dal rifornimento delle derrate statunitensi.
Struttura regionale dell'agricoltura. Per conseguire la piena valorizzazione delle risorse territoriali, agricoltura e allevamento sono stati impostati, sin dalle origini, su base regionale, adeguandoli cioè alle possibilità naturali delle varie zone, sulla base di una visione complessa e integrata delle diverse produzioni nell'ambito del Paese. Questa ripartizione in belts, o "cinture", più o meno monocolturali (Wheat Belt = cintura del frumento; Corn Belt = cintura del mais; Cotton Belt = cintura del cotone; Dairy Belt = cintura del latte), è tutt'oggi in larga misura valida, anche se a poco a poco i belts tendono a frazionarsi in una serie di insiemi più variamente articolati. Comunque, a grandi linee, i caratteri di questa agricoltura zonale sussistono e sono una delle componenti fondamentali del paesaggio agrario statunitense.
Dairy Belt. La regione nord-atlantica e dei Grandi Laghi, fortemente urbanizzata sin dalle origini del popolamento del Paese, ha promosso attività agricole in grado di fornire prodotti richiesti dalle città, come ortaggi, frutta, prodotti caseari; in effetti le condizioni ambientali erano (e sono) soprattutto favorevoli all'allevamento stallivo, e così oggi di questa regione si parla, dal punto di vista agricolo, come del Dairy Belt (Wisconsin, Minnesota ecc.), cioè della regione destinata in prevalenza all'allevamento del bestiame da latte e a non meno avanzate industrie lattiero-casearie; nella Nuova Inghilterra è attivissimo l'allevamento dei volatili da cortile. La regione appalachiana è dominata da colture varie, anche frutticole e orticole, praticate di solito in proprietà piuttosto ristrette, almeno in rapporto alle dimensioni medie delle aziende agricole statunitensi.
Corn Belt. Nella sezione nord-orientale delle Pianure Centrali, dal bacino dell'Ohio fino allo Iowa, dove le precipitazioni sono ancora abbondanti, si ha il grande Corn Belt, la regione del mais (Iowa, Illinois, Indiana, Missouri e Nebraska), il vero cuore dell'agricoltura americana, che si avvantaggia di condizioni pedologiche eccellenti e consente rese elevatissime; qui sono interminabili distese coltivate a mais, in cui si trovano fattorie sparse che operano anch'esse in funzione soprattutto dell'allevamento, in prevalenza suino (gli allevatori hanno selezionato delle razze particolarmente redditizie e si sanno adeguare alla richiesta del mercato con una validissima organizzazione commerciale).
Cotton Belt. La fascia meridionale è il Cotton Belt, che dagli Stati Uniti sud-orientali (Mississippi, Alabama ecc.) si è però via via spostato, per l'esaurirsi dei suoli, verso il Texas, oggi il maggior produttore di cotone, e le aree irrigue del Sud-Ovest; le piantagioni a cotone sono in progressiva contrazione, mentre nel Cotton Belt si sono imposte con successo nuove colture oggi più redditizie, come la soia. La fascia costiera del Golfo del Messico e la Florida formano invece una regione di colture subtropicali fruttifere, come agrumi, ananassi ecc.
Wheat Belt. A ovest del Mississippi, dove le precipitazioni sono ormai povere, si ha il Wheat Belt, la regione granaria che in realtà comprende due distinte aree: una settentrionale (Dakota del Nord, Montana ecc.), dove il clima più rigido si adatta alla coltivazione del frumento primaverile, e una meridionale (Kansas, il massimo produttore degli Stati Uniti, Oklahoma ecc.), più estesa e redditizia, dove si ottiene il frumento invernale. Le aziende sono in genere vaste, passando dai 100-150 ha in media ciascuna nel Kansas sino agli 800-1.000 ha delle proprietà più occidentali, ai margini della zona semiarida; l'organizzazione è estremamente razionale e molto elevato il grado di meccanizzazione. Ovunque diffuso è l'allevamento estensivo di bovini da carne, specie nelle praterie più povere ai piedi delle Montagne Rocciose. Grandi macelli sorgono al servizio di questo allevamento nella piana del Mississippi, nel Texas e soprattutto a Chicago, vera capitale della produzione di carne.
Zone aride. Dry farming (aridocoltura) e allevamento estensivo sono diffusi in tutta la regione delle Montagne Rocciose e negli ambienti aridi e semiaridi dell'Ovest (Utah, Nevada ecc.); i ranches da allevamento occupano aree persino di qualche migliaio di ettari e sono talvolta gestiti da grandi società. Qui l'agricoltura è resa possibile da imponenti opere di irrigazione (negli Stati Uniti, la superficie irrigua è circa 1/10 del totale coltivato); vi si praticano colture varie, dal cotone alla frutticoltura anche di tipo subtropicale, come nella Valle della California, che accoglie vigneti (la vite, introdotta da Italiani, Francesi e Spagnoli, è assai redditizia) e alberi da frutto di varie specie. Nel Nord-Ovest infine si ha una frutticoltura da clima temperato insieme all'allevamento e alle industrie lattiere.
Cereali, patate, ortaggi e frutta. Nel complesso la superficie coltivata è pari al 19% del territorio nazionale; quanto alle singole produzioni, l'agricoltura statunitense detiene numerosi primati mondiali, che consentono anche notevoli esportazioni. Colossale è la produzione del mais, pressoché la metà del totale mondiale (occupa ca. 30 milioni di ha); questa coltura è in funzione soprattutto dell'allevamento. Nei riguardi dell'esportazione conta invece notevolmente il frumento; la produzione, dato lo scarso consumo interno, è eminentemente avviata all'esportazione. Completano il quadro delle principali colture cerealicole sorgo (Arizona), orzo (Dakota del Nord), avena (Minnesota) e riso, presente nelle zone irrigue del Sud e del Sud-Ovest. Elevata è anche la produzione di patate, coltivate soprattutto negli Stati settentrionali, specie nell'Idaho; larga diffusione ha pure la patata dolce. Ortaggi e frutta entrano ormai in sempre crescente misura nell'alimentazione statunitense e danno luogo a una fiorente industria conserviera. Per quanto riguarda l'ubicazione delle relative colture, prevalgono i tre fronti marittimi del Paese: del Pacifico, del Golfo del Messico, dell'Atlantico. Le principali produzioni orticole riguardano i pomodori, le cipolle, i cavoli e i fagioli; più importante è però nel complesso la frutticoltura, diffusa sia nelle zone temperate dell'Est e dell'Ovest sia in quelle subtropicali del Sud e soprattutto in California. Il Paese produce elevati quantitativi di mele, pesche, pere e prugne, ananassi, ma detiene il primato mondiale per gli agrumi: arance, pompelmi, mandarini, limoni; in Florida prevalgono i pompelmi, gli altri agrumi sono per lo più coltivati in California. Sempre da questo Stato proviene l'uva, che ha raggiunto produzioni di tutto rispetto su scala mondiale.
Colture industriali. Quanto alle colture industriali, primeggia il cotone (Texas soprattutto, poi California, Mississippi ecc.); tuttavia la percentuale rispetto alla produzione mondiale è in continua diminuzione proporzionalmente all'incremento che la cotonicoltura ha registrato nell'ultimo ventennio in molti altri Paesi, a cominciare dalla Repubblica Popolare Cinese. La cotonicoltura statunitense alimenta anche una poderosa industria olearia; tra le oleaginose predomina però nettamente la soia, seguita, a grande distanza, dal girasole, dalle arachidi e dal lino. Le altre due principali produzioni industriali sono il tabacco, le cui coltivazioni, spesso presenti con qualità molto pregiate, formano un vero e proprio belt nella regione appalachiana meridionale (Carolina del Nord, Kentucky, Virginia ecc.) e la barbabietola da zucchero, diffusa in tutta la fascia settentrionale e occidentale del Paese e che, insieme alla canna (Hawaii, Louisiana, Florida), alimenta l'industria saccarifera.
Prodotti forestali. Quanto alle foreste, che ricoprono oltre il 31% del territorio nazionale, il relativo sfruttamento dà vita ad attività molto rilevanti nella regione appalachiana, nel Sud e soprattutto sui versanti settentrionali dei rilievi lungo la costa del Pacifico, donde si ricava il pregiato pino douglas (douglas fir). Lo sfruttamento forestale è molto razionalizzato; la rilevantissima produzione di legname è un primato mondiale. Sui prodotti forestali si fondano grandiosi mobilifici, per lo più accentrati nelle metropoli nord-atlantiche e presso i Grandi Laghi, e colossali industrie, soprattutto quelle della pasta di legno e della carta (compresa la carta da giornale, per la quale si deve ricorrere anche a importazioni di legname dal Canada), che sono entrambe nettamente dei primati mondiali.
Allevamento. Il patrimonio zootecnico è del pari ingentissimo. Per numero di bovini gli Stati Uniti sono al quarto posto nel mondo dopo l'India, il Brasile e la Cina, ma il confronto in termini produttivi con il patrimonio zootecnico indiano ha ben poco significato, date le caratteristiche di altissima qualità dovute all'accurata selezione delle razze, in stretta funzione della commercializzazione dei prodotti carnei e caseari, che l'allevamento presenta negli Stati Uniti. Esso è di due specie: intensivo ed estensivo. Il primo ha la sua area migliore nel Dairy Belt, da cui proviene la maggior parte della produzione di latte, burro e formaggi. L'allevamento estensivo è praticato nelle pianure semiaride a ovest del Mississippi, nel Texas, nell'Arizona e negli altopiani delle Montagne Rocciose; qui il bestiame cresce allo stato semilibero e, raggiunto il peso e l'ingrassamento voluti, è avviato direttamente ai grandiosi mattatoi di Chicago, Omaha, Saint Louis ecc., dando vita a una delle più poderose industrie del mondo. Di rilievo è anche l'allevamento dei suini, la cui diffusione corrisponde all'area del Corn Belt. Per quanto riguarda ovini e soprattutto caprini le cifre sono invece piuttosto modeste, tuttavia dagli ovini si ricavano ancor oggi buoni quantitativi di lana. Importante e razionalmente organizzato è per contro l'allevamento dei volatili da cortile, cui si deve una produzione annua di uova piuttosto sostenuta.
Pesca. Anche la pesca, ottimamente organizzata con una ben attrezzata flotta peschereccia, occupa un buon posto, ma non rilevantissimo su scala mondiale. D'altronde ancora una volta le condizioni ambientali sono favorevoli, poiché a un amplissimo fronte marittimo si aggiunge un numero assai elevato di fiumi e laghi con una copiosa ittiofauna. Le acque più pescose sono quelle al largo delle coste della Nuova Inghilterra (prevalgono sgombri, sardine, aringhe), della California (acciughe, tonno, sogliole), dello Stato di Washington (salmoni e merluzzi) e dell'Alaska (salmoni); nelle acque della Florida si catturano tartarughe, mentre nel Golfo del Messico e nel Golfo della California è diffusa l'ostricoltura. Grande rilievo riveste l'industria conserviera (prevalentemente tonno), data anche la forte richiesta del mercato interno.
Risorse energetiche. Le risorse del sottosuolo coprono pressoché tutta la gamma dei minerali e per taluni di essi sono ingentissime; di certo il loro sfruttamento, in particolare per quanto concerne i minerali energetici, è stato alla base dello spettacolare sviluppo industriale del Paese. Gli Stati Uniti sono dei fortissimi consumatori di energia e a tale consumo gli Statunitensi intendono rinunciare. Dopo avere a lungo sfruttato in modo pressoché incontrollato il loro pur straordinario patrimonio minerario, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale gli Stati Uniti, divenuti la "superpotenza" del mondo occidentale, si sono trasformati da un Paese eminentemente produttore in uno ampiamente importatore di innumerevoli materie prime, tra le quali un posto preminente occupa il petrolio; i successivi forti rincari petroliferi, cui si deve l'innesco della ben nota crisi energetica internazionale, hanno indotto gli Stati Uniti ad accelerare lo sviluppo di fonti alternative di energia (per esempio di energia nucleare) e a incentivare lo sfruttamento degli enormi giacimenti di carbone, che negli anni del "petrolio facile" erano passati in second'ordine. Il principale bacino carbonifero, di ottimo litantrace, si estende per un migliaio di chilometri sul versante occidentale degli Appalachi, dalla Pennsylvania all'Alabama; segue il bacino centrale, tra il medio Mississippi e il basso Ohio, pure con buon litantrace, che prosegue a ovest del Mississippi, dal Texas allo Iowa; anche nell'Ovest, nelle Montagne Rocciose, sono state accertate ingentissime riserve, di cui al momento vengono sfruttati solo pochi giacimenti. La produzione di carbone, veramente colossale, è oltre 1/5 del totale mondiale. Molto più modesta è invece la produzione di lignite. Non meno gigantesche sono le risorse petrolifere nazionali, i cui giacimenti sono ubicati in quattro principali Stati: nel Texas (che fornisce quasi 1/3 della produzione totale), nella Louisiana, in Alaska e nella California (gli Stati Uniti sono il secondo produttore mondiale); una fittissima rete di oleodotti porta il greggio ai numerosi impianti di raffinazione (nel 1977 è entrato in funzione l'oleodotto dell'Alaska, che collega i giacimenti della baia di Prudhoe, nel Mar Glaciale Artico, al porto di Valdez, sul Pacifico, dopo un percorso di 1.270 km nelle impervie zone artiche). Le raffinerie operano oltre che nei centri costieri del Sud, dell'Est e dell'Ovest anche nelle metropoli interne (tra i molti complessi petroliferi si ricordano quelli di Carson in California, Baton Rouge nella Louisiana, Toledo nell'Ohio, Filadelfia nella Pennsylvania, Houston nel Texas ecc.). Le zone petrolifere sono anche ricchissime di gas naturale (quasi 1/3 della produzione mondiale, prevalentemente in Texas, Louisiana, Oklahoma), al cui servizio è stata realizzata una rete di gasdotti di ben 1,7 milioni di km. L'energia elettrica è non meno rilevante. La disponibilità di energia idrica è cospicua ed è sfruttata con impianti giganteschi, costruiti sui grandi fiumi dell'Est e dell'Ovest (i più favorevoli) oltre che in quelli delle regioni centrali (Bacino del Missouri); sono stati creati dei grandi laghi che hanno modificato interi paesaggi. Oltre a fornire energia, molti dei bacini servono a regolare il regime fluviale e ad alimentare l'agricoltura irrigua. Infine si estraggono annualmente diverse tonnellate di uranio contenuto.
Giacimenti minerari. Quanto ai minerali metalliferi, con la sola importante eccezione del ferro, i principali giacimenti sono variamente dislocati nelle Montagne Rocciose e riguardano soprattutto rame, piombo, zinco, molibdeno, argento ecc., e naturalmente quell'oro, la cui "febbre" nel secolo scorso contribuì largamente al progressivo popolamento dell'Ovest; i più importanti giacimenti di ferro sono invece ubicati nella regione dei Grandi Laghi e, in minore misura, nell'area appalachiana. L'Alaska fornisce oro, rame, argento; la bauxite proviene da un cospicuo bacino situato alle spalle del Golfo del Messico. Benché siano una grande potenza anche nell'ambito dei minerali metalliferi, gli Stati Uniti attuano una più attenta politica di utilizzazione delle proprie risorse, avvalendosi più largamente dei materiali di recupero, ricercando nuovi metodi di impiego di minerali a basso contenuto e soprattutto ricorrendo su vasta scala all'importazione, mediata al solito dalle multinazionali. Tuttavia appaiono gravemente intaccate le risorse dei minerali di ferro; nella produzione annua (per 2/3 forniti dal Minnesota) il Paese si pone al ai primi posti su scala mondiale. Gli Stati Uniti detengono inoltre il secondo posto per il rame (principali giacimenti nell'Arizona, nell'Utah, nel New Mexico, nel Montana) e il primo per il molibdeno (a Climax, nel Colorado, si trova il più grande giacimento del mondo). Tra gli altri minerali metalliferi gli Stati Uniti sono buoni produttori di piombo (fornito soprattutto dal Missouri e dall'Idaho), zinco (Tennessee, Stato di New York ecc.), argento (Idaho, Arizona, Montana ecc.), oro (Alaska, Dakota del Sud), bauxite (Arkansas, Georgia, Alabama), tungsteno (Idaho e Colorado) e mercurio (California). Riguardo ai minerali non metalliferi sono abbondanti i giacimenti di fosfati naturali (per 3/4 forniti dalla Florida), quindi quelli di sali potassici (New Mexico soprattutto), zolfo e sale.
Industria siderurgica. L'industria statunitense mantiene ancora, nel complesso, il primo posto sulla scena mondiale con una produttività che, grazie all'elevato livello tecnologico, è sempre rilevantissima; e ciò anche se, in termini di partecipazione al prodotto nazionale, la quota spettante all'industria si riduce di anno in anno a favore dei servizi: è un tipico esempio della cosiddetta "economia post-industriale", propria dei Paesi a economia avanzatissima. L'industria di base ha nella siderurgia un settore di fondamentale capacità produttiva, benché meno rilevante di un decennio addietro, essendo ormai superata largamente dalla Cina e dal Giappone; i massimi centri dell'industria siderurgica si trovano nella zona appalachiana settentrionale (Pittsburgh rimane la "capitale dell'acciaio"), ricca di carbone e facilmente accessibile per via fluviale dalla regione dei Grandi Laghi, dove abbondano, come si è detto, i minerali di ferro; la siderurgia è altresì ben rappresentata nei centri portuali dei Grandi Laghi, favorevolmente ubicati rispetto ai giacimenti ferrosi (come Detroit, Cleveland, Buffalo ecc.), mentre con minerale in genere importato vengono alimentati i colossali impianti atlantici di Sparrows Point presso Baltimora, Morrisville ecc.; nell'Alabama si concentra la siderurgia sud-appalachiana (Bessemer, Birmingham), cui si aggiungono alcuni centri sparsi nell'interno del Paese, in funzione per lo più di esigenze locali, come Houston nel Texas, Pueblo nel Colorado ecc.
Altre industrie metallurgiche. Importantissime sono le altre produzioni metallurgiche, per molte delle quali anzi il primato statunitense è marcatissimo, in particolare per l'alluminio, i cui numerosi centri di lavorazione sono ubicati sia in buona posizione rispetto alle miniere statunitensi (come Alcoa nel Tennessee) sia nei porti d'importazione, specie per la bauxite proveniente dall'America Meridionale (Mobile nell'Alabama, Baton Rouge nella Louisiana ecc.), dove viene in genere eseguita solo la prima fusione, mentre l'ulteriore raffinazione si svolge molto spesso in centri del Nord-Ovest (Wenatchee nello Stato di Washington ecc.). Gli Stati Uniti si collocano al primo posto per la metallurgia del rame, che si avvale pure in parte di minerali d'importazione, con gigantesche fonderie ad Anaconda (Montana), Morenci (Arizona) ecc., e al primo posto per quella del piombo, con fonderie a Kellog (Idaho), Tooele (Utah) ecc. Altre principali lavorazioni metallurgiche sono quelle dello zinco, del magnesio e dell'uranio.
Industria meccanica. L'industria meccanica ha già conseguito uno sviluppo senza eguali e, nonostante registri oggi una certa saturazione di alcuni settori, continua la sua espansione: in un certo senso è questa l'industria che maggiormente ha inciso su tutta l'economia, per non dire sul genere di vita degli Stati Uniti. Essa è dislocata specialmente nella regione dei Grandi Laghi, dove centro industriale di primo rango è Chicago, al servizio di tutta la vasta regione agricola interna, e nella fascia atlantica centro-settentrionale. Nel primo Industrial Belt predominano la meccanica pesante e il settore automobilistico con capitale Detroit, intorno al quale orbita tutta una serie di industrie collaterali; nel secondo vi è una gamma di industrie più ampie, dove si costruiscono materiale ferroviario (locomotive a Filadelfia), macchine agricole, tessili (Worcester, nel Massachusetts) e tipografiche, apparecchiature elettriche (motori di ogni genere), televisori e apparecchi radio (ma il primato spetta ormai al Giappone), elettrodomestici, strumenti ottici, macchine fotografiche (Rochester) ecc. Nelle zone sud-occidentali a clima asciutto, il cosiddetto Sun Belt, con tempo quasi costantemente stabile, ma anche nel Nord-Ovest si sono insediate l'industria elettronica, l'aeronautica (Seattle, Los Angeles, San Diego) e l'aerospaziale, industrie che richiedono un limitato quantitativo di materie prime, ma che sono basate su tecnologie avanzatissime, quelle che hanno tra l'altro reso possibile i ben noti successi statunitensi nell'esplorazione dello spazio. L'ubicazione di questi nuovi settori produttivi (di cui parleremo ancora più avanti) sottolinea ancora una volta il concetto di funzionalità in termini territoriali, che è proprio della politica economica statunitense: la fascia pacifica è oggi l'area più dinamica dell'immensa Federazione, di cui non per nulla la California è oggi lo Stato più popolato e più dinamicamente propulsivo.
Auto, navi e aerei. Ha dovuto cedere il primato al Giappone un settore che per decenni fu un autentico vanto degli Stati Uniti, tanto da avere improntato di sé l'american way of life, vale a dire il settore automobilistico, che, anche se ormai al secondo posto nel mondo, ha dimensioni pur sempre colossali (circa 1/4 del totale mondiale). L'industria automobilistica, ubicata soprattutto nel Michigan e in particolare a Detroit, fa capo a poche grandi compagnie, tra le quali predomina nettamente la General Motors, presente in molti altri settori produttivi e con filiali praticamente in tutto il mondo. Proporzioni non meno grandiose ha naturalmente la correlata industria della gomma, nella quale eccellono Akron (Ohio) e Los Angeles; al prodotto naturale si è aggiunto quello sintetico, utilizzato soprattutto per la produzione di pneumatici. Meno importante, ma pur sempre di rilievo, anche se negli ultimi anni ha risentito fortemente della concorrenza internazionale, è l'industria navale, che ha i suoi centri tradizionali nei porti atlantici (Sparrows Point, Quincy presso Boston ecc.), ma è anche presente sulle coste del Golfo del Messico (Mobile, Pascagoula ecc.) e del Pacifico (San Diego, Los Angeles, San Francisco), nonché sui Grandi Laghi (Buffalo, Manitowoc ecc.). Dove invece nuovamente gli Stati Uniti vantano posizioni imbattibili è nell'industria aeronautica che, con le sue altissime specializzazioni e giovandosi di colossali investimenti nell'ambito della ricerca (ai quali partecipa largamente anche lo Stato Federale), ha permesso la nascita del settore aerospaziale, settore invero molto complesso, involvendo strettamente l'apparato militare. L'industria aerospaziale a sua volta ha stimolato negli ultimi decenni in maniera decisiva tutta la tecnologia statunitense, la quale ha avviato, soprattutto attraverso le conquiste dell'elettronica (basti pensare al ruolo che svolgono l'IBM e la Honeywell nel settore dei computer), dell'informatica, delle telecomunicazioni, una vera e propria rivoluzione nei sistemi produttivi, non certo inferiore per importanza alla cosiddetta "rivoluzione industriale".
Chimica e petrolchimica. Un altro settore in cui gli Stati Uniti dominano il campo mondiale è quello relativo all'industria chimica (in cui vero "gigante" è la Du Pont de Nemours), successo ottenuto ancora una volta grazie agli ingentissimi investimenti destinati da enti pubblici e privati alla ricerca scientifica e a quella applicata, particolarmente remunerativa a seguito della vendita di brevetti all'estero. Circa 1/3 della produzione mondiale dell'industria chimica proviene dagli Stati Uniti. I maggiori impianti sono ubicati soprattutto nei centri portuali dell'Atlantico, del Golfo del Messico e dei Grandi Laghi. L'industria petrolchimica è "nata" negli Stati Uniti, che largamente primeggiano su scala mondiale, con le ben note Exxon (in assoluto la seconda società del mondo), Mobil, Texaco, Standard Oil ecc.; essa ha le sue grandi basi nei centri portuali del golfo del Messico e in vicinanza delle aree di estrazione del greggio. Sempre tra le industrie di base è imponente, anche se non ha livelli da primato mondiale, l'industria del cemento, ubicata principalmente in California (zona di Mojave) e presso le grandi città atlantiche.
Altre industrie. Come nella maggior parte dei Paesi, anche negli Stati Uniti l'industria tessile è la più antica. Rappresentata soprattutto dal cotonificio, ha conservato a grandi linee la sua dislocazione originaria nelle vallate della Nuova Inghilterra, ricche d'acqua, e nel sud-est atlantico, non lontano dal Cotton Belt; il settore non è rimasto indenne dalla crisi che ha colpito da tempo tutti i Paesi occidentali e non ovunque è modernamente organizzato. Il lanificio è in pratica limitato agli Stati nord-orientali. Il settore delle fibre tessili artificiali è invece sviluppatissimo e così pure quello delle fibre sintetiche, di cui gli Stati Uniti sono i maggiori produttori mondiali. Tutte queste industrie si trovano negli Stati orientali; ciò vale anche, in generale, per la collegata industria dell'abbigliamento, che per oltre 1/3 gravita nella zona di New York. Ha infine nuovamente sviluppi grandiosi ed è caratterizzata da una marcata diffusione delle aziende l'industria alimentare, la cui ubicazione è in funzione sia dei luoghi di produzione delle materie prime sia dei luoghi di consumo. L'industria comprende una gamma vastissima di prodotti in omaggio ancora una volta alle leggi del consumismo, ma in particolare a un sistema di vita che privilegia il cibo "prefabbricato". Il settore include, fra le più svariate forme di attività, macelli (a Chicago i più grandi del mondo), complessi molitori, birrifici, zuccherifici, conservifici di carne, pesce, frutta, ortaggi, questi ultimi presenti soprattutto in California. Sviluppato il tabacchificio, che ha nel Piedmont i suoi centri maggiori. Potente è infine l'industria cinematografica, con sede principale a Hollywood.
Comunicazioni terrestri. Il "sistema americano" dell'economia sarebbe addirittura impensabile senza il supporto di un formidabile apparato di vie di comunicazione; in nessun altro Paese al mondo probabilmente le comunicazioni hanno svolto un ruolo così determinante nella valorizzazione del territorio. La rete ferroviaria, benché in forte regresso (è passata dagli oltre 420.000 km del 1916, anno record, agli attuali 174.000 km), ha tuttora uno sviluppo chilometrico pari a oltre il 20% di quello mondiale; gli assi principali corrispondono alle linee transcontinentali che uniscono l'Est all'Ovest del Paese. Chicago, il maggior centro ferroviario del mondo, e Saint Louis sono i grandi nodi della rete, raggiunti ciascuno da una trentina di diverse linee. Le ferrovie, quasi tutte private, sono efficienti, anche perché sollecitate dalla concorrenza degli altri mezzi di trasporto; tuttavia parte di esse, poco redditizie, sono passate sotto gestione governativa. Le reti stradale e autostradale sono uniche al mondo per ampiezza e modernità. Numerose autostrade raccordano le maggiori città in tutto il territorio, entrando sovente nella stessa area urbana. Alla rete principale si aggiunge quella secondaria, capillare, che tocca ogni piccolo centro con strade asfaltate e ben tenute. Le strade totalizzano oltre 6,3 milioni di km, di cui 770.000 km principali o nazionali e gli altri provinciali e secondari. Vi transitano 200 milioni di autoveicoli, di cui 135 milioni di autovetture: è un primato senza confronti, raggiungendo circa un terzo degli autoveicoli circolanti sulla Terra. Numerosissime sono le compagnie private di trasporti stradali, che offrono servizi ottimi; ogni parte del Paese è praticamente raggiunta da autobus a lunga distanza.
Comunicazioni aeree. Gli Stati Uniti dispongono della rete aerea più fitta del mondo, pari alla metà di quella mondiale e che congiunge anche le piccole città; i nodi principali sono Dallas/Fort Worth, Chicago e Atlanta. Tutti i grandi aeroporti statunitensi hanno funzioni primarie sulla rete internazionale, ma è il traffico interno ad aumentare in proporzione molto più rapidamente di quello internazionale. Il Paese dispone di oltre 16.000 aeroporti e di 3120 eliporti, e annovera numerose grandi compagnie aeree. Navigazione interna. Le vie d'acqua interne sono tuttora largamente utilizzate e si articolano essenzialmente sul sistema del Mississippi e su quello dei Grandi Laghi. La magnifica via navigabile del Mississippi, che fu così decisiva nella conquista delle regioni interne, è stata potenziata dalla regolazione delle arterie laterali rappresentate soprattutto dai grandi affluenti come l'Ohio e il Tennessee (reso navigabile con dighe) e da canali come quello, fondamentale, che unisce il fiume ai Grandi Laghi; massimo porto interno è quello poderoso di Duluth nel Minnesota. I Grandi Laghi sono allacciati anche all'Hudson (il cui canale è stato la fondamentale via che ha suscitato gli sviluppi dell'Est e della stessa regione dei Grandi Laghi) e direttamente all'Atlantico dopo i giganteschi lavori sul San Lorenzo.
Porti marittimi. Le comunicazioni interne hanno i loro sbocchi nei grandi porti atlantici, in quelli del Golfo del Messico e nei porti del Pacifico; tutti hanno in genere una certa specializzazione, in quanto vi affluiscono i prodotti di regioni con attività economiche particolari. I principali porti sono: New York (che traffica le merci più varie), Norfolk e Baltimora sull'Atlantico; New Orleans, Houston e Baton Rouge sul Golfo del Messico, con funzione eminentemente di porti petroliferi, così come quello di Valdez in Alaska, in pratica inesistente prima della realizzazione del citato oleodotto alascano; infine, sul Pacifico, Long Beach e Los Angeles. Il traffico mercantile del Paese assume, considerato nel suo insieme, dimensioni colossali. Al confronto appare modesta la consistenza della marina mercantile, ma in realtà moltissime navi statunitensi battono bandiere di comodo, soprattutto liberiana e panamense.
Consumi interni. In rapporto allo straordinario dinamismo dell'economia degli Stati Uniti, gli scambi fra le diverse parti della Federazione sono intensissimi, anche se a livello produttivo esistono, come già notato, talune fondamentali dislocazioni delle industrie in vicinanza delle materie prime. In effetti il commercio è un settore che ha sempre avuto grandi impulsi, inizialmente autonomi, oggi in larga misura equilibrati, nel contesto di una struttura economica cha ha propri meccanismi di autoregolazione, da interventi governativi. L'alta produttività è in diretta connessione con l'elevato livello dei consumi, che il regime concorrenziale e la sempre vivace iniziativa privata tendono continuamente ad ampliare e rinnovare. Il consumismo è nato negli Stati Uniti nelle sue manifestazioni più caratteristiche e in funzione della razionalità produttiva e distributiva, oltre che di tutta una particolare impostazione urbanistica, e ha creato i suoi "santuari" nei supermercati, presenti non solo nelle grandi città ma anche nei piccoli centri, e i suoi strumenti professionali nella pubblicità esaltata dai mass media: la televisione, il cinema, la stampa ecc.
Commercio estero. Quanto al commercio estero, questo è gigantesco, pur rappresentando una porzione modesta del reddito nazionale (da notare che nella politica economica statunitense sono periodicamente presenti tendenze protezionistiche, e non sono rari i contrasti al riguardo con l'UE e il Giappone). Gli Stati Uniti esportano soprattutto prodotti finiti, in specie macchinari, veicoli e aerei, prodotti chimici e petrolchimici, prodotti metallurgici, apparecchiature di alta tecnologia, anche se non mancano esportazioni agricole di rilievo: cereali, soia, frutta e verdura, cotone ecc. Quanto alle importazioni, per conservare il più possibile le risorse minerarie nazionali, il Paese preferisce ricorrere, come si è detto, a fortissimi acquisti esteri di petrolio, minerali metalliferi ecc., nonché di tutte quelle materie prime di cui il gigantesco apparato industriale statunitense ha sempre bisogno e che sono reperibili sul mercato internazionale a prezzi inferiori ai costi nazionali di produzione; si importano inoltre quei prodotti industriali che ricevono negli Stati Uniti un finissaggio di alta tecnologia, nonché quei beni in genere di lusso richiesti da un mercato ricco (bevande alcoliche, diamanti, cristalli, porcellane, oggetti d'antiquariato, vestiario d'alta moda ecc.). Gli scambi più rilevanti avvengono con il Canada, il Giappone, i Paesi dell'Europa occidentale (Germania, Gran Bretagna), il Messico e, per quanto riguarda le importazioni, l'Arabia Saudita. Cospicuo è il turismo.