Storia

I primi insediamenti umani risalgono a ca. 15.000 anni a. C. Gli abitanti, frazionati in tribù, erano dediti alla caccia e alla pesca. Cristoforo Colombo vi sbarcò nel 1498; ma i primi nuclei stabili di conquistadores si formarono dopo il 1512. Nel 1528 lo spagnolo Juan de Ampíes fondò Coro, da cui partì una colonizzazione rimasta unica nella storia sudamericana: si trattò delle spedizioni organizzate da gruppi tedeschi, dipendenti dagli istituti finanziari dei Welser, degli Ehinger e dei Sayler, ai quali l'imperatore Carlo aveva concesso apposite autorizzazioni. Questi si spinsero nell'interno all'inutile ricerca di un mitico Tesoro (El Dorado); verso la metà del sec. XVI furono sostituiti dagli Spagnoli che fondarono le città di El Tocuyo (1545), Barquisimeto (1552), Trujillo, Mérida (1558), Caracas (1567). La nuova colonia divenne una Capitanía General, sede di Audiencia, e fino al termine del sec. XVIII seguì le vicende dell'impero spagnolo d'America. Caracas, città provinciale, ebbe una più intensa vita culturale con la fondazione dell'università (1725); e qui sorsero i primi movimenti nazionali sulla spinta degli ideali dell'illuminismo europeo e della Rivoluzione francese.

Con il maturare del patriottismo nella borghesia urbana, esplose anche una forma di contestazione violenta a opera degli schiavi neri e mulatti, che si rivoltarono fra il 1780 e il 1795 e subirono sanguinose repressioni da parte delle truppe spagnole. F. deMiranda andò a Londra a perorare la causa dell'indipendenza del Venezuela e nel 1797 la Gran Bretagna occupò l'isola di Trinidad e da quella base inondò il Venezuela di pubblicazioni antispagnole. Nel 1806 Miranda tentò l'azione diretta con uno sbarco improvviso a Coro e Ocumare, ma gli Spagnoli lo respinsero. Il 24 ottobre 1808 due editori inglesi, Lamb e Gallagher, stamparono a Caracas la prima copia di un giornale, la Gazeta de Caracas, che appoggiò le idee dei nazionalisti. Finalmente il 19 aprile 1810 i notabili della capitale si riunirono in Cabildo, deposero il capitano generale Vicente de Emparán e insediarono una “Giunta suprema conservatrice dei diritti di Fernando VII”. Questa riaffermò la sovranità della Spagna, ma formò il governo locale con elementi nati in Venezuela; si formarono poi due organizzazioni: la Società patriottica e il Club degli scamiciati, che parteciparono a un'Assemblea Costituente, la quale il 5 luglio 1811 proclamò l'indipendenza del Paese. Il 21 dicembre, sempre del 1811, venne promulgata la prima Carta costituzionale e Miranda assunse la guida del Paese. Gli Spagnoli l'anno dopo occuparono Caracas e decretarono la fine dell'esperimento indipendentistico. Miranda fu catturato e tradotto a Cádice; molti patrioti dovettero prendere la via dell'esilio: fra essi era anche Simón Bolívar, che nel 1813 tornò a Caracas alla testa di un piccolo esercito, ma fu ricacciato. Nel 1814 José Tomás Boves risollevò il vessillo indipendentistico e organizzò una ribellione guerrigliera. Ucciso in battaglia a Urica, venne sostituito da José Antonio Páez. Bolívar, dal canto suo, rientrò in campo nel 1816, per affermarsi gradualmente capo supremo delle forze rivoluzionarie. Liberata buona parte del territorio, nel febbraio 1819, ad Angostura (oggi Ciudad Bolívar), proclamò la nascita della Repubblica del Venezuela e ne assunse la presidenza. Poi, in dicembre, associò Venezuela e Colombia nella Repubblica confederata della Gran Colombia che dal 1821 inglobò anche l'Ecuador. A causa di personalismi e d'interessi concorrenziali, specialmente fra i grandi allevatori e proprietari terrieri, che si avvalevano delle rivalità dei generali, nel 1830 la Gran Colombia si sciolse e il Venezuela divenne una Repubblica sovrana. Il nuovo Stato però ebbe vita difficile per il triste fenomeno del caudillismo. Aprì la serie José Páez, presidente della Repubblica dal 1830 al 1834 e poi ancora dal 1838 al 1842. Il suo fu un regime autoritario, ma permise al Paese di consolidarsi sul piano economico, attraverso la coltivazione e l'esportazione del caffè. Quel processo di crescita favorì l'emergere di ceti dinamici, che a loro volta, ispirati dall'ideologo Antonio Leocadio Guzmán, determinarono la nascita di un movimento liberale in opposizione al dispotismo governativo. Da allora liberali e conservatori si disputarono il potere, ricorrendo spesso all'uso delle armi.

Nel 1847 l'oligarchia conservatrice elevò alla presidenza il generale José Tadeo Monagas il quale, alternandosi con il fratello José Gregorio, conservò la carica fino al 1858. La perse nel conflitto tra fautori di un governo accentratore e sostenitori delle autonomie provinciali durato cinque anni. Nel 1863 i liberali-federalisti si assicurarono la presidenza con il generale Crisóstomo Falcón. Il 28 marzo 1864 fu promulgata la Costituzione degli Stati Uniti del Venezuela. Nel 1868 il conservatore José Tadeo Monagas riassunse il potere, ma nel 1870 il liberale Antonio Guzmán Blanco prese d'assalto Caracas e avviò un regime personale che si chiuse nel 1889. Al suo governo seguirono dieci anni di lotte convulse finché nel 1900 divenne presidente Cipriano de Castro, uomo forte della “rivoluzione restauratrice”. A lui subentrò nel 1908 un altro “uomo forte”, Juan Vicente Gómez, un dittatore spietato, che lasciò il campo libero ad alcune compagnie petrolifere straniere (statunitensi, britanniche e olandesi). Nel 1928 il Venezuela passava al secondo posto fra i produttori di petrolio nel mondo. Successore di Gómez (1935) fu il generale Eleazar López Contreras: moderato, egli permise all'opposizione di organizzarsi, autorizzando la creazione del Partito democratico nazionale, poi ribattezzato Azione democratica.

Nel 1941 ascese alla presidenza Isaías Medina Angarita, che schierò il Paese al fianco degli Stati Uniti contro l'Asse e il Giappone. Cresceva intanto l'opposizione all'autoritarismo interno: nel 1945 Azione democratica guidò una rivolta grazie alla quale ottenne elezioni a suffragio universale; due anni dopo insediò alla presidenza della Repubblica lo scrittore Rómulo Gallegos, che realizzò riforme nel campo agrario e in quello industriale. I conservatori e i militari reagirono: nel 1948, con un colpo di stato, rovesciarono Gallegos e restaurarono l'autoritarismo. Fino al 1952 i poteri vennero retti da una Giunta; poi, “per volere delle forze armate”, fu proclamato presidente il colonnello Marcos Pérez Jiménez, che governò 5 anni e poi fu deposto. La Giunta che lo sostituì, diretta dall'ammiraglio W. Larrazábal, fece svolgere le elezioni il 7 dicembre dello stesso anno: risultò vincitore R. Betancourt, candidato presidenziale di Azione democratica. All'inizio il suo governo cercò di accelerare le riforme, ma poi subì involuzioni di stampo reazionario, dando origine a proteste e a sommovimenti sociali. In varie zone montagnose cominciarono ad accendersi “fuochi” di guerriglia. Tuttavia nel dicembre 1963 Azione democratica riuscì ancora a vincere le elezioni con la candidatura di R. Leoni. Cinque anni dopo, però, il successo arrise a R. Caldera Rodríguez, leader del COPEI (Comité de organización política electoral independiente), che divenne la sigla del Partito socialcristiano. La situazione sostanzialmente non mutò. Nel dicembre 1973 tornò a vincere Azione democratica: C. Andrés Pérez fu il nuovo presidente della Repubblica. Per sua decisione vennero adottate due importanti misure: la ripresa delle relazioni diplomatiche con Cuba, interrotte dal 1962, e la nazionalizzazione del ferro e del petrolio. Nel 1978 fu il COPEI a vincere le elezioni e la presidenza passò nelle manidi L. Herrera Campíns. Per fronteggiare la grave situazione economica venutasi a creare dopo il 1980, Campíns dovette abbandonare i grandiosi programmi industriali impostati da C. A. Pérez. In politica estera il presidente decise di riavvicinarsi agli Stati Uniti, provocando in tal modo un netto deterioramento nelle relazioni con Cuba e col Nicaragua sandinista. Il COPEI, a causa del peggioramento della situazione interna, fu sconfitto nelle presidenziali del 1983, vinte dal candidato di Azione democratica, J. Lusinchi, considerato l'erede spirituale del fondatore del partito Rómulo Betancourt (m. 1981). Trovatosi ad affrontare una crisi economica senza precedenti nel dopoguerra, Lusinchi fu incapace di azioni incisive ovvero adeguate alla gravità del momento. Per le elezioni del dicembre 1988 Azione democratica candidava quindi Carlos Andrés Pérez, già presidente negli anni 1974-79, figura molto discussa per il suo coinvolgimento in un processo per malversazione di fondi pubblici, ma dotata di grande carisma. Uscito vincitore dal confronto elettorale, nel febbraio 1989 Pérez si insediava alla presenza di tutti i capi di Stato dell'America Latina, cui proponeva subito una comune azione sulla questione del debito estero. Immediata fu pure l'adozione di una severa politica di austerità, che provocava però un'estesa rivolta popolare nella capitale (marzo 1989), con oltre 500 morti, e la dichiarazione dello Stato d'assedio. In tale diffuso disagio un gruppo di militari, con un discreto seguito popolare, tentava di impadronirsi del potere in due occasioni (febbraio e novembre 1992) venendo però ridotto all'impotenza, con sanguinosi scontri, dalle forze fedeli al presidente. Nel maggio 1993, tuttavia, Pérez veniva accusato di corruzione e sospeso dalla carica. Al suo posto veniva nominato presidente ad interim R. Velásquez, che alla conferma della destituzione di Pérez (settembre) assumeva la presidenza fino alla scadenza naturale del mandato del suo predecessore. Nelle successive elezioni (dicembre 1993), la volontà popolare decretava la vittoria dell'anziano Caldera (già presidente della Repubblica dal 1969 al 1974), il quale, uscito dal COPEI nel 1988, si era candidato a capo di uno schieramento estremamente composito, costituito da una coalizione di forze di sinistra e nazionaliste. Costretto a fronteggiare la gravissima congiuntura economica connessa al collasso del sistema finanziario del Paese, nel 1994 Caldera decretava lo stato di emergenza, sospendendo alcune garanzie costituzionali, imponendo controlli sui cambi e sui prezzi e procedendo, nel 1995, alla svalutazione della moneta. La liberalizzazione del settore petrolifero, l'aumento della pressione fiscale e il blocco dei salari, pur restituendo una qualche credibilità internazionale al Venezuela, che aveva ottenuto nel 1996 crediti per 3 miliardi di dollari, facevano lievitare il malcontento popolare.

Nelle elezioni presidenziali del 1998 si imponeva pertanto, sostenuto da una coalizione di sinistra (il Polo patriottico), Hugo Chávez, ex paracadutista, autore di un fallito colpo di stato nel 1992. Questi, come primo atto del suo governo, inducendo come scopo la volontà di attuare un processo di democratizzazione della vita politica del Paese, indiceva nel 1999 un referendum per l'approvazione di una nuova Costituzione, ottenendo la maggioranza dei consensi. A seguito di questa revisione dal sapore fortemente peronista, il 15 dicembre 1999 il Venezuela prendeva il nome di República Bolivariana de Venezuela, veniva abolito il Senato, esteso a sei anni il mandato presidenziale e introdotta la possibilità per il presidente di una sua rielezione. All'esecutivo veniva data la facoltà di sciogliere il Parlamento, mentre il compito di sovrintendere alle promozioni interne alle forze armate, precedentemente attribuito al Senato, veniva attribuito al presidente. La nuova Costituzione, inoltre, restituiva ai militari il diritto di voto e aboliva la leva, sostituita da un esercito professionale e da un servizio civile, la proprietà dell'industria petrolifera passava allo Stato e infine lo spagnolo, la lingua ufficiale, veniva affiancata dal riconoscimento delle lingue indigene. Sempre nell'ottica di un processo di trasformazione della vita politica del Venezuela, nel 2000 il presidente Chávez indiceva nuove elezioni presidenziali, che vinceva con una schiacciante affermazione sull'opposizione. Ricevuto, quindi, il pieno consenso del popolo venezuelano, alla fine dell'anno, Chávez otteneva dal Parlamento anche ampi poteri in diversi settori come quello energetico e finanziario. La grave crisi economica del Paese, e la dilagante povertà, finivano però per far vacillare la saldezza del potere di Chávez: nell'aprile 2002 una folla di manifestanti ne chiedeva le dimissioni, provocando gravi incidenti nel centro di Caracas. Il presidente veniva imprigionato da un gruppo di militari golpisti e il leader degli industriali, P. Carmona, assumeva la guida di un governo provvisorio. Soltanto due giorni dopo, però, Chávez veniva liberato e il comandante dell'esercito E. Vásquez imponeva a Carmona di dimettersi. Il presidente, dunque, riprendeva il suo posto e, acclamato dai suoi sostenitori, lanciava un appello all'unità della nazione. L'opposizione, nonostante la Costituzione prevedesse la possibilità di destituire il presidente solo dopo che fosse trascorsa la metà del suo mandato, continuava a percorrere ogni via al fine di ottenerne le dimissioni anticipate, tentando di scongiurare così l'inizio del piano di riforme previsto da Chávez. In un clima politico e sociale di grande tensione, si alternavano manifestazioni dell'opposizione a quelle dei sostenitori del governo e iniziava uno sciopero a oltranza dell'industria petrolifera. Successivamente governo e opposizione raggiungevano un accordo, firmato in giugno, per procedere con la convocazione del referendum, per la quale, a fine anno, l'opposizione aveva raccolto 3,4 milioni di firme.

Nel febbraio 2004 il Consiglio elettorale nazionale riconosceva valide poco più della metà delle firme raccolte dall'opposizione, numero insufficiente per indire il referendum, ma successivamente l'opposizione riusciva a raccogliere un numero sufficiente di firme per il referendum, che, svoltosi in agosto, ha visto la vittoria di Chavez. Nel dicembre 2005 si svolgevano le elezioni politiche, che registravano un'affluenza del 25% a causa del ritiro dalla competizione elettorale dei partiti di opposizione; grazie a questa decisione il partito di Chavez conquistava i due terzi dei seggi in Parlamento, necessari per apportare modifiche alla Costituzione. A partire dai primi mesi del 2006 sono stati nazionalizzati 32 giacimenti e introdotte nuove imposte per le compagnie petrolifere operanti nella zona dell'Orinoco. Rieletto trionfalmente con oltre il 62% del voto, il presidente ha proseguito sulla strada intrapresa lanciando un “progetto socialista di trasformazione radicale”. Nel 2007 un referendum bocciava la riforma della Costituzione voluta dal presidente Chávez, che avrebbe cancellato il limite al numero di mandati presidenziali e avrebbe permesso limitazioni alla libertà di informazione in caso di emergenza. In politica estera diventavano tesi i rapporti con la Colombia a causa dei bombardamenti delle basi delle FARC in territorio ecuadoriano, mentre rimanevano alte le tensioni con gli USA per la nazionalizzazione del settore energetico. Nel frattempo il Paese entrava in una crisi economica aggravata dal ribasso del prezzo del greggio, mentre il presidente riusciva a far passare la riforma costituzionale, con la quale poteva ricandidarsi illimitate volte, grazie a un nuovo referendum (febbraio 2009). Nel settembre del 2010 il partito socialista del presidente Chávez vinceva le elezioni, ma il cartello, formato dai partiti d'opposizione riusciva a ottenere un buon risultato.