Economia

 

Il Cile si regge economicamente sull'industria estrattiva, più specificamente su quella del rame, ma può contare su altre cospicue risorse minerarie; tuttavia, nonostante le ingenti ricchezze del sottosuolo e una non meno elevata disponibilità energetica, rappresentata soprattutto dal potenziale idroelettrico dell'area andina, la struttura di fondo rimane quella di un Paese secolarmente povero. Manca tuttora una solida industria nazionale, mentre l'agricoltura, chiusa tra le maglie di un latifondo poco sfruttato e un microfondo estremamente suddiviso e quindi scarsamente produttivo, riesce a soddisfare solo in parte le necessità alimentari interne.

 

Ragioni della debolezza economica. Le ragioni della situazione di grave debolezza dell'economia cilena sono molteplici. Per quanto riguarda l'attività estrattiva, essa era stata avviata da importanti società nordamericane cui andavano gli effettivi utili; parallelamente l'industrializzazione, intrapresa con un certo impegno solo a partire dagli anni Quaranta, aveva finito per favorire i capitali speculativi, essenzialmente esteri, mentre l'apparato produttivo rimaneva carente in tutti i settori di base. Sin dagli inizi degli anni Sessanta erano emerse istanze moderatamente progressiste, volte a realizzare uno sviluppo più equilibrato e autonomo dell'economia cilena, ma solo nel 1970, con l'elezione del socialista S. Allende a presidente della Repubblica, si ebbero le prime concrete manifestazioni di un nuovo corso della vita economica e sociale del Paese. Furono nazionalizzati l'attività estrattiva e, successivamente, tutti gli altri essenziali settori economici. In campo agricolo furono effettuati l'esproprio dei latifondi e la distribuzione delle terre ai contadini, mentre vennero introdotte misure restrittive riguardanti le importazioni, a salvaguardia dell'industria nazionale. Queste iniziative, affiancate da una politica di aumenti salariali, di impegni in campo assistenziale e di riforme sociali, suscitarono l'immediata reazione delle forze conservatrici cilene e il successo del sanguinoso colpo di Stato militare del 1973 mise immediatamente in atto il totale rovesciamento della precedente impostazione economica.

 

Riforme liberistiche. Fu imboccata una politica economica nettamente liberistica mediante lo smantellamento delle protezioni doganali, l'apertura di spazi amplissimi per le iniziative finanziarie straniere, la riprivatizzazione di tutte le società già nazionalizzate, nonché il pagamento di cospicui indennizzi alle compagnie straniere che precedentemente avevano operato in Cile e la facoltà concessa loro di sfruttare nuove zone minerarie (a eccezione delle sole miniere di rame, rimaste nazionalizzate). Furono altresì restituiti ai precedenti proprietari i latifondi già espropriati e sciolte le cooperative agricole. Incapace di risolvere effettivamente la grave crisi economica del Paese, la Giunta militare, con la liberalizzazione pressoché totale delle importazioni, da un lato ha prodotto la generale rovina della piccola industria locale, a basso livello tecnologico e incapace di sostenere la concorrenza internazionale, mentre dall'altro ha fatto enormemente prosperare le iniziative delle multinazionali, attirate dall'abbondante manodopera sottopagata. Tuttavia, dopo la metà degli anni Ottanta, l'inflazione è tenuta sotto miglior controllo, mentre si registrano tassi di crescita produttiva, anche se la maggior parte della popolazione continua a essere indigente.

 

Agricoltura, allevamento e pesca. Nell'attività agricola prevale in genere la cerealicoltura, con maggioranza delle aree a frumento; scendendo verso sud si coltivano mais e poi cereali d'ambiente freddo (orzo, avena) e patate, mentre nelle zone irrigue settentrionali e centrali si pratica la risicoltura. Importante è la coltivazione della barbabietola da zucchero e ancor più quella della vite (il vino cileno è ritenuto il migliore di tutta l'America); particolari cure sono infine rivolte alla frutticoltura (mele soprattutto, oggetto d'esportazione). Il meridione, umido e relativamente freddo, ha cospicue risorse forestali, pari a un quinto della superficie del Paese, che annoverano soprattutto faggi australi e conifere, alimentando varie cartiere. Sviluppati sono anche l'allevamento del bestiame, rappresentato in prevalenza da bovini, nel Cile centrale, e da ovini (soprattutto pecore merinos, molto pregiate per la lana), in quello meridionale, e ancor più la pesca, al cui servizio operano numerosi conservifici. Si pratica anche la caccia alla balena, con base principale a Corral, nei pressi della città di Valdivia .

 

Risorse minerarie. Il settore più ricco dell'economia cilena è di gran lunga quello minerario. Il più antico sfruttamento minerario riguarda il sodanitro, o nitro del Cile (localmente chiamato caliche, i cui principali sottoprodotti sono il borace e lo iodio), i cui vastissimi giacimenti si trovano nel Cile settentrionale e di cui il Cile detenne per decenni pressoché il monopolio mondiale; pur avendo perduto di valore con la scoperta dei nitrati sintetici, ha sempre notevole rilievo. Nel nord e nel centro del Paese si trovano colossali giacimenti di rame (i principali sono quelli di Chuquicamata, El Salvador ed El Teniente, cui sono annessi impianti di fonderia e raffinazione), per cui il Cile si pone al primo posto fra i produttori mondiali. Il Cile è altresì il secondo produttore mondiale di molibdeno; esistono inoltre buoni giacimenti di ferro, argento, oro, manganese, zinco, zolfo ecc. Non sono molto abbondanti i minerali energetici, ricchissimo è invece il potenziale idrico dei fiumi andini, sfruttati sinora solo in minima parte. Importante è anche la disponibilità di guano.

 

Industria.L'industria, poco sviluppata, presenta gravi carenze nei settori fondamentali per lo sviluppo interno: in particolare hanno produzioni assai modeste rispetto alle necessità e alla reale disponibilità di materie prime la metallurgia (a eccezione di quella del rame, quasi totalmente esportato) e la siderurgia. L'industria meccanica è rappresentata quasi esclusivamente da officine di montaggio di autoveicoli stranieri e parimenti il settore elettromeccanico monta elettrodomestici e motori industriali su licenza e con capitali nordamericani ed europei. Si hanno inoltre cartiere, impianti chimici (fertilizzanti), concerie ecc. Gli unici settori che hanno conservato un certo peso nell'industria nazionale sono quelli tessile e alimentare (zuccherifici, industrie enologiche, conservifici delle carni e del pesce ecc.).

Comunicazioni e commercio. La difficile e particolare topografia cilena rende molto arduo il problema delle vie di comunicazione. Il Paese è collegato da nord a sud, sino a Puerto Montt , da una linea ferroviaria che a nord si allaccia alla rete peruviana e a cui si affianca la Carretera Panamericana . Da questa fondamentale arteria ferroviaria si diramano quattro linee internazionali transandine: verso la Bolivia, la Arica-La Paz (che supera le Ande a 4.257 m) e la Antofagasta-Potosí; verso l'Argentina, l'Antofagasta-Salta e la Valparaíso-Mendoza. Dalla linea principale si dipartono pochi tronchi laterali che collegano i centri portuali costieri: tra questi Arica e Antofagasta sono essenzialmente porti minerari, Valparaíso è al servizio della capitale, Valdivia e gli altri porti più meridionali sono lo sbocco dei prodotti agricoli, zootecnici, forestali ecc. Il Cile è dotato di numerosi aeroporti internazionali; il maggiore è quello di Los Cerrillos, presso Santiago. Il 60% delle esportazioni è rappresentato da minerali (rame, ferro, nitrati), seguiti da cellulosa, frutta ecc.; le importazioni riguardano essenzialmente macchinari, mezzi di trasporto, prodotti elettronici e per telecomunicazioni (soprattutto dagli USA e dal Giappone), generi alimentari, combustibili, prodotti chimici. Gli scambi si svolgono prevalentemente con gli USA, il Giappone, la Germania, il Brasile e l'Argentina.