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Storia
Cronologia
Per una cronologia storica aggiornata del Burundi, vedi la sezione Cronologia dell'Atlante di Nigrizia.
La storia del Burundi si ricollega a quella di due piccoli Stati situati nella regione del Butuutsi e dominati da una etnia di pastori tutsi. Entrambi furono conquistati da Ntare I (1675-1715), capostipite della dinastia che doveva poi regnare sino al 1966. Il regno assunse il nome di Urundi e fu ampliato sin quasi agli attuali confini da un altro grande sovrano, Ntare II (1795-1852). Sotto Mweezi II (1852-1908), il regno attraversò un periodo di decadenza, caratterizzato da varie rivolte, da attacchi da parte di regni confinanti, specie il Ruanda, e dalle razzie compiute da schiavisti arabi contro la popolazione. Nel 1899 fu istituita a Usumbura (oggi Bujumbura) una stazione militare tedesca e quattro anni dopo la Germania impose a Mweezi II il suo protettorato.
Dopo la prima guerra mondiale, nel 1920, l'Urundi fu affidato come mandato, trasformato poi nel 1946 in amministrazione fiduciaria, dalla Società delle Nazioni al Belgio, che lo unì al Ruanda come Ruanda-Urundi. Più tardi l'Urundi reclamò l'indipendenza, conseguita il 1º luglio 1962. La vita del regno indipendente fu subito travagliata da sommosse e crisi, alla cui base stava il contrasto tra la minoranza dei tutsi e la maggioranza degli hutu. Dopo un periodo di repressioni e un ultimo tentativo di colpo di stato da parte del gruppo hutu, in seguito al quale numerosi leader furono fucilati, il re abbandonò il Paese (1965) e si trasferì in Europa nominando poco dopo reggente il proprio figlio. Questi, deposto il padre, assunse il potere (8 luglio 1966), sospese la Costituzione e il 1º settembre fu incoronato col nome di Ntare V.
L'iniziale appoggio ottenuto da parte del primo ministro M. Micombero si trasformò presto in ostilità; Micombero, impadronitosi del Paese, depose il re facendosi proclamare presidente della Repubblica (29 novembre 1966). Nel 1972 Ntare V fu ucciso da Micombero e il Burundi fu sconvolto da veri e propri genocidi perpetrati dall'etnia dei tutsi a danno degli hutu. Nel 1976 il colonnello J.-B. Bagaza destituì Micombero e assunse la presidenza, ma a sua volta fu destituito nel 1987 dal maggiore Pierre Buyoya, con un colpo di stato incruento. Questi sospese la Costituzione, formò un Comitato militare di salvezza nazionale e assunse a sua volta la presidenza; quindi avviò una cauta liberalizzazione del regime, ma gli indiscussi privilegi dell'etnia tutsi, che controllava, tra l'altro, l'esercito, continuarono a esasperare la situazione. Massacri tribali si alternarono a momenti di distensione fino a quando, nel 1990 il Comitato militare di salvezza nazionale fu abolito. Nel marzo 1992 venne approvata una nuova Costituzione basata sul multipartitismo e sull'elezione diretta del capo dello Stato. Nel giugno 1993, nelle prime elezioni democratiche, venne eletto presidente il democratico Melchior Ndadaye, esponente dell'etnia hutu. Da quel momento, nonostante il tentativo del nuovo presidente di avviare una politica di riconciliazione etnica, formando un governo con una significativa presenza tutsi, si aprì una nuova fase di grave instabilità. Un gruppo di ufficiali tutsi trucidò, il 21 ottobre 1993, M. Ndadaye, sei ministri e numerose personalità hutu. Il lealismo dell'insieme dell'esercito impedì che la situazione divenisse irreparabile, anche se gli scontri tribali, immediatamente accesisi, causarono 200.000 morti e un milione e mezzo di profughi. Il nuovo presidente hutu, Cyprien Ntaryamira, trovò anch'egli la morte in un sospetto incidente dell'aereo su cui viaggiava insieme al presidente del Ruanda J. Habyarimana (6 aprile 1994) e venne sostituito da Sylvestre Ntibantunganya: in Burundi alla guerra etnica interna si unirono le contraddizioni della feroce guerra civile ruandese con le molte centinaia di migliaia di profughi hutu.
Nel marzo 1995 un ministro hutu fu assassinato: la vita del Burundi continuò a essere scandita dal reiterarsi dei massacri, in cui furono coinvolti anche religiosi e delegati della Croce Rossa. Nel luglio 1996 un nuovo colpo di stato mise definitivamente fine all'esperimento democratico avviato nel 1993 che, per altro, si era dimostrato foriero di un vero e proprio disastro. A interrompere quel processo fu, paradossalmente, proprio colui che lo aveva avviato, il maggiore P. Buyoya. Le violenze contro gli hutu continuarono con incidenti alla frontiera con la Tanzania.
Nell'estate 1997 si registrarono ancora forti contrasti tra il governo di Buyoya e un incontro fra i rappresentanti delle guerriglie si concluse senza risultati significativi. Ad Arusha nel 2001 si tenne un vertice, alla presenza di Mandela e di altri leader dell'Africa orientale, che portò alla firma di un accordo di pace, sottoscritto da tre dei quattro movimenti ribelli: si incaricò Buyoya, affiancato da un vicepresidente hutu, di formare un governo di transizione per portare il Paese verso le elezioni. Continuò comunque la situazione di conflitto interno tanto che nel 2004 il Consiglio di sicurezza dell'ONU decise l'invio di una missione di 5650 caschi blu, denominata MONUB, per monitorare la situazione.
Le elezioni legislative del 2005 rappresentarono una svolta democratica per il Burundi: in esse le forze ribelli si riunirono in un unico partito (CNDD-FDD) e ottennero la maggioranza dei voti. Il loro leader, Pierre Nkurunziza, venne eletto presidente. Solo un gruppo di ribelli rimase attivo nel Paese, le Forze Nazionali di Liberazione (FNL) e, nonostante con essi sia stato firmato un accordo per il cessate il fuoco nel 2008, la situazione di guerriglia stenta ad arrestarsi definitivamente.