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Storia
Poco note sono la preistoria e la protostoria del territorio dell'attuale Liberia; lo stesso popolamento presenta lacune notevoli sotto il profilo storico: a gruppi etnici aborigeni debbono essersi sovrapposte immigrazioni di genti provenienti dai contrafforti del Fouta-Djalon, a partire soprattutto dal sec. XVI. Quanto ai contatti col mondo esterno, furono i portoghesi, con Pedro de Sintra, a visitare per primi quelle coste nel 1461. Inglesi, francesi, olandesi, danesi ecc. esercitarono poi il traffico degli schiavi e delle spezie lungo le regioni litoranee, senza peraltro insediarvisi stabilmente per le proibitive condizioni climatiche. Agli inizi del sec. XIX l'American Colonization Society si fece patrocinatrice d'un piano per il ritorno in Africa dei neri americani liberi.
Nel 1820 la nave Elizabeth sbarcò il primo nucleo di coloni neri a Freetown nella Sierra Leone. Subito dopo fu organizzato uno stabilimento nell'isola di Sherbro; ma solo nel 1822 presso Capo Mesurado furono gettate le prime basi della colonia che nel 1824 prese il nome di Liberia. Nel 1839 il governatore Buchanan stabilì lo schema della Costituzione del Commonwealth di Liberia; nel 1841 la guida passò a Joseph Jenkis Roberts, primo governatore nero. Questi il 7 settembre 1846 proclamò l'indipendenza della colonia e il 26 luglio 1847 promulgò la Costituzione della Repubblica di Liberia. Il nuovo Stato fu via via riconosciuto dalla Gran Bretagna (1848), dalla Francia (1852), dagli Stati germanici (1855), dal Belgio (1858), dalla Danimarca (1860) e dagli Stati Uniti (1862). Questi ultimi assicurarono poi, col loro intervento finanziario e con la loro protezione, la sopravvivenza della Repubblica, nella quale, in realtà, l'elemento libero-americano si sviluppò come una minoranza privilegiata rispetto alla maggioranza autonoma, lasciata in uno stato di grave arretratezza.
Solo con l'avvento al potere, nel 1943, del presidente Tubman, venne varato un programma di unificazione nazionale, inteso ad assicurare un graduale sviluppo a tutta la comunità nazionale. Costantemente rieletto sino alla morte (1971), Tubman venne sostituito da William Tolbert, che ne proseguì sostanzialmente la linea politica. Riconfermato nel 1975, Tolbert rimase però vittima nell'aprile 1980 di un colpo di stato militare seguito a gravi disordini sociali. Il potere fu assunto dal sergente maggiore Samuel K. Doe e da un Consiglio di redenzione popolare composto da militari, mentre veniva sospesa la Costituzione e proclamata la legge marziale. Le speranze di una certa democratizzazione suscitate dalla nuova Costituzione che, approvata per referendum nel 1984, poneva le basi per un sistema multipartitico, furono però presto deluse con le elezioni del 1985, probabilmente viziate da brogli. Scandali ed episodi di corruzione, nonché falliti colpi di stato (a iniziare da quello del marzo 1985) che provocarono il deterioramento dei rapporti con la Sierra Leone (accusata di sostenere i complottatori), segnarono l'intero decennio senza comportare significativi mutamenti nel regime.
Durante il dicembre 1989 esplosero sanguinosi combattimenti tra l'esercito e le forze del Fronte Patriottico Nazionale (FPN) capeggiato da Charles Taylor, che dal Nord-Est si diffusero presto in tutto il Paese, giungendo fra maggio e giugno del 1990 a coinvolgere la stessa capitale. Il 10 settembre l'uccisione di Doe preluse, tramite il patrocinio degli Stati Uniti, a un cessate il fuoco fra i gruppi ribelli e le forze presidenziali, nonché alla creazione di un governo di transizione (sotto la guida di Amos Sawyer) e alla stesura di accordi per una Conferenza nazionale inaugurata nel marzo 1991. Il processo di pacificazione nazionale incontrò comunque persistenti difficoltà e il FPN, benché nell'ottobre 1991 avesse accettato di affidare il controllo militare del Paese alla forza di pace inviata dai Paesi membri della Comunità Economica degli Stati dell'Africa occidentale, continuò a sferrare duri attacchi, anche alla stessa forza di pace. L'ennesimo accordo (Cotonou Agreement) venne siglato nel luglio del 1993 da Sawyer, il FPN e il Movimento di Liberazione Unito (ULIMO): esso portò finalmente a un reale cessate il fuoco. Tuttavia, sempre più intransigenti, le fazioni in lotta facevano fallire l'una dopo l'altra le varie ipotesi negoziali approntate dall'ONU e dalla CEDEAO. Acuita da anni di combattimenti, la contraddizione etnica si era saldata alla più classica lotta per il potere determinando un groviglio inestricabile, con le organizzazioni che ora tendevano a scomporsi a seconda del riferimento tribale. In tale situazione anche quello che sembrava essere un accordo definitivo, sottoscritto nell'agosto del 1995 in Nigeria, era destinato al fallimento. Alla fine degli anni Novanta la prima nazione libera del continente africano, dunque, pagava le conseguenze di un processo storico contraddittorio. Il colonialismo alla rovescia, rappresentato dagli afro-americani emigrati in Liberia nell'Ottocento, non si era dimostrato, in ultima analisi, tanto diverso da quello più classico operato dai bianchi. L'originaria élite allora formatasi, infatti, aveva sempre continuato a esercitare un ruolo dirigente e quando al suo interno le divisioni si erano fatte incomponibili le varie componenti non avevano esitato a sfruttare nel modo più cinico i contrasti dell'arcaismo tribale piegandoli al proprio interesse e precipitando il Paese nel caos.
Nell'agosto 1996, la firma di un nuovo accordo ad Abuja, in Nigeria, rese possibile ottenere nei primi mesi del 1997 il disarmo di gran parte delle milizie e la fine della guerra civile, iniziata nel 1990. Nel luglio 1997 si svolsero, sotto la supervisione dell'ECOMOG, elezioni presidenziali e legislative, vinte da Taylor e dal suo partito, il Fronte patriottico nazionale. Dopo le elezioni la vita nel Paese cominciò gradualmente a tornare alla normalità anche se l'instaurazione da parte di Taylor di un vero e proprio regime non aiutò il progredire del difficile processo di normalizzazione iniziato con la sua elezione, tanto che la pace raggiunta nel 1997 fu infranta con i combattimenti che sconvolsero nuovamente la Liberia fra il 2002 e il 2003. In questi anni riesplose la guerra civile tra l'esercito e i ribelli del LURD (Liberiani Uniti per la Riconciliazione e la Democrazia), il che provocò un disastro umanitario per arginare il quale intervenne la comunità internazionale. Gli Stati Uniti e la Comunità degli Stati dell'Africa occidentale chiesero l'esilio di Taylor. Egli abbandonò in agosto il Paese, rifugiandosi in Nigeria. Fu istituito un governo di transizione guidato da un uomo d'affari locale, Moses Blah, coadiuvato da funzionari dell'ONU.
Il 2005 è stato un anno di svolta per il Paese in quanto si sono svolte elezioni presidenziali che hanno visto vincere (in un contestato ballottaggio con la stella del calcio George Weah) Ellen Johnson-Sirleaf, ex ministro delle finanze sotto Taylor. La Johnson-Sirleaf, primo presidente donna di un Paese africano, si è trovata a dover governare un Paese in bilico in una pace ancora fragile, devastato da decenni di guerra civile e con un vasto numero di rifugiati e profughi.