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Storia
Cronologia
Per una cronologia storica aggiornata del Lesotho, vedi la sezione Cronologia dell'Atlante di Nigrizia.
Le origini dello Stato attuale risalgono agli inizi del sec. XIX quando Moshoeshoe, un capo ngoni, raggruppò in questa zona, naturalmente ben difesa, i resti di tribù bantu minacciate dalla pressione degli zulu. Verso la metà del secolo, consigliato da missionari protestanti francesi, Moshoeshoe si pose sotto la protezione britannica per sfuggire alla minaccia di un'invasione da parte dei boeri. Costituito in protettorato nel 1868 il Lesotho, allora Basutoland, fu annesso alla Colonia del Capo dal 1871 al 1884 quando tornò alle dipendenze della Gran Bretagna e in tale posizione rimase fino al 1966 quando ottenne la piena sovranità (nel 1965 aveva ottenuto l'autonomia interna). Il Paese, retto a regime monarchico costituzionale, ebbe nel re Moshoeshoe II e nel primo ministro Leabua Jonathan le due massime autorità. Jonathan praticò una politica simile a quella del Sudafrica, attuando repressioni contro i rifugiati politici di là provenienti, ed entrò in conflitto con il re che già dal dicembre 1966 fu costretto al domicilio coatto a palazzo e venne privato di molti dei suoi compiti. Sconfitto alle elezioni del 1970, il primo ministro annullò le elezioni, sospese la Costituzione e costrinse il re all'esilio fino al dicembre dello stesso anno. Richiamato in patria il re per volontà popolare, il suo potere restò tuttavia puramente simbolico. Soltanto nel 1973 fu abolito lo stato di emergenza, mentre i frequenti fermenti interni degli anni successivi venivano duramente repressi dal primo ministro Jonathan. A partire dal 1980 il Lesotho venne accusato dal vicino Sudafrica di offrire asilo ai militanti neri dell'ANC (African National Congress), movimento per l'emancipazione dei neri e contro la segregazione razziale: Pretoria sospese, perciò, gli scambi commerciali con Maseru, mettendo in difficoltà la già vacillante economia del piccolo regno africano. Nel gennaio 1986 il vecchio Jonathan venne rovesciato dal generale Justin Lekhanya, capo di una forza paramilitare di 1500 uomini. Ispiratore del golpe fu il re Moshoeshoe II, contrario alla politica di allontanamento dal Sudafrica perseguita dal precedente governo. La Costituzione venne sospesa, vennero banditi i partiti politici e, anche in seguito all'espulsione di rifugiati appartenenti all'ANC, i rapporti con il vicino Stato presto si normalizzarono. Nel 1990 si manifestarono segni di instabilità ai vertici del potere: rimpasti governativi e la sospensione delle facoltà del sovrano in campo esecutivo e legislativo (passate al Consiglio militare), nonché la deposizione di Moshoeshoe II in favore di suo figlio Letsie III segnarono un netto deterioramento dei rapporti politici; l'elezione di una nuova Assemblea Costituente non portò nessun miglioramento. Il 30 aprile 1991 il colonnello E. Phisoana Ramaema, membro del Consiglio militare, attuò un nuovo colpo di stato, destituendo Lekhanya. Contestualmente allo sviluppo del processo di distensione che nella vicina Repubblica portava allo smantellamento dell'apartheid, Ramaema, avviò una fase di normalizzazione del Lesotho fissando libere elezioni per il marzo 1993. Il serrato confronto tra il Partito del Congresso Basotho (BCP) e il Partito Nazionale Basotho (BNP), sostenuto dai militari, si risolse a vantaggio del primo (marzo 1993) che conquistò una larga maggioranza. Il nuovo governo presieduto da Ntsu Mokhehle era, però, inviso ai militari, che ne ostacolarono l'attività tentando in più occasioni di organizzare nuovi colpi di stato in uno dei quali perse la vita anche il vice primo ministro (aprile 1994). Cogliendo al volo l'occasione di un'evidente instabilità, Letsie III rimosse lo scomodo premier e sciolse il Parlamento (agosto), ma dovette ben presto ritornare sui suoi passi e reintegrare N. Mokhehle per la mobilitazione interna e le pressioni del Sudafrica. Il tentato colpo di forza costò caro al sovrano, che perdette il trono nuovamente occupato dal padre Moshoeshoe II (gennaio 1995). Ma il segnale che una piena normalizzazione della vita politica era ancora lontana giunse dopo appena un anno, quando Moshoeshoe II perse la vita in un misterioso incidente automobilistico e il figlio si reinsediò come successivo monarca del Paese. Altri segnali di instabilità si manifestarono nel 1998: i risultati delle elezioni politiche, vinte dal Partito del Congresso Democratico Lesotho (LCD) che pose a capo del governo il leader Pakalitha Mosisili (successore di Mokhehle), vennero violentemente contestati dall'opposizione e da alcuni ufficiali dell'esercito che denunciarono la presenza di brogli. Il governo sentendo di perdere il controllo del Paese chiese l'intervento dei membri della SADC e truppe, sopratutto sudafricane, invasero il regno incontrando una strenua opposizione. In un clima di profonda incertezza si raggiunse un accordo per la convocazione di nuove elezioni, più volte rinviate, che finalmente nel maggio 2002 si svolsero senza contestazioni e riconfermarono la maggioranza dei seggi al LCD, il partito di Mosisili che ottenne il secondo mandato come primo ministro. Dopo cinque anni di relativa tranquillità le elezioni del 2007, che hanno visto Mosisili e l'LCD riconfermato alla guida del Paese, hanno però di nuovo suscitato le proteste dell'opposizione che ne ha contestato il risultato.