Voci di migranti maliani: quando tornare è più dura di partire

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Foto: L. Michelini ®

In Italia si sente spesso parlare della migrazione verso le coste europee, ma poco si sa di quanto accade a chi non ottiene un permesso di soggiorno ed è costretto a rientrare in Africa. Non sempre, infatti, la migrazione si risolve in storie di successo. In alcuni casi chi parte riesce ad installarsi nel paese raggiunto, ma spesso le cose non vanno come previsto e il rientro in patria diventa obbligatorio. Per i migranti di ritorno, rimpatriare, ricominciare e reintegrarsi in una comunità che non è più la loro può risultare molto faticoso, tant'è che spesso pensano di partire, ancora.  

Chi fa rientro in Mali, trova delle condizioni molto difficili da affrontare, sia sul piano delle possibilità economiche (per partire il migrante e la sua famiglia sono spesso costretti a investire i risparmi messi da parte e a contrarre dei debiti per pagare il viaggio), sia per quanto riguarda l’accoglienza da parte della comunità.

M. Coulibaly è originario di Diago, comune dell’entroterra maliano. Tempo fa è salito su un gommone che lo ha portato in Spagna, passando illegalmente attraverso l’Algeria e il Marocco. “Nel mio paese le opportunità lavorative sono scarse, quindi nel 2015 me ne sono andato. Avevo degli amici che sono riusciti ad entrare in Spagna e speravo di fare lo stesso. Ma a Madrid non sono riuscito a trovare nulla di stabile. Facevo piccoli lavoretti, per lo più stagionali e mal pagati. Ho lavorato come giardiniere e come raccoglitore di frutta”.  

Nel 2017 è ritornato in Mali, perché le cose non sono andate come pensava, ma il rientro è stato duro quasi quanto la partenza. “Quando ci si sposta all’estero, se torni senza aver guadagnato nulla, attiri la rabbia e il rancore della gente. Non è facile reintegrarsi in un contesto sociale che punta tutto su di te. Quando parti, tutti si aspettano che tu riesca a portare a casa delle risorse da investire qua, per aiutare l’intero villaggio. Magari nella costruzione di un pozzo, di una casa”, racconta M. Coulibaly.

“Ancora adesso non mi sento integrato al cento per cento. Ho vissuto il ripudio da parte della comunità e anche i membri della mia famiglia non mi vedevano di buon occhio. Ora va meglio, ma c’è voluto del tempo affinché la mia famiglia riprendesse fiducia in me e tornasse ad accettarmi per quello che sono, anche se senza soldi”, spiega il giovane.

Alla domanda “Quale consiglio daresti ai giovani maliani che vogliono partire?”, M. Coulibaly risponde “Se dovessi dare loro un consiglio, gli direi che è un loro diritto andare all’avventura, ma di non farlo in modo clandestino. Raggiungere l’Europa attraverso il deserto e il mare non è facile, il viaggio è pieno di pericoli e i traumi che vivi te li porti dietro per sempre. Inoltre, si pensa che l’Europa sia il paradiso, ma non è così. Trovare un permesso di soggiorno è difficile, come anche un lavoro regolare”. 

Anche S. Traore, originario di Yelekebougou, Mali, è reduce da una migrazione che lo ha spinto a cercare lavoro lontano da casa. “Dopo aver lavorato due anni in Libia sono riuscito a mettere da parte i soldi necessari per pagarmi il viaggio verso Israele, avevo sentito che lì c’erano diverse opportunità economiche. Arrivato a Tel Aviv, ho trovato un impiego come aiuto cuoco. Nel ristorante mi sono trovato molto bene, ma il governo dopo vari anni e permessi di soggiorno di breve durata, non mi ha dato la possibilità di regolarizzarmi definitivamente e mi hanno fatto rimpatriare», racconta. 

Una volta tornato in Mali, S. Traore ha provato a coltivare un piccolo terreno agricolo, ma senza riuscire a fare dell’agricoltura una stabile fonte di reddito: “Con gli effetti del cambiamento climatico, la stagione secca si sta facendo sempre più dura, l’acqua del mio pozzo non basta e si esaurisce in fretta. Quindi per vari mesi all’anno non posso coltivare nulla”, racconta S. Traore. “Se avessi un pozzo più fondo potrei avere l’acqua necessaria per coltivare tutto l’anno e sicuramente riuscirei a garantire una stabilità economica alla mia famiglia”.  

Proviamo a chiedergli se sogna di ripartire e a questa domanda risponde che i suoi sogni variano al variare delle circostanze e delle possibilità. “Il momento più difficile dell’anno è quello della cosiddetta soudure, che corrisponde al periodo in cui manca ancora molto tempo ai primi raccolti stagionali e gli stock alimentari del raccolto precedente sono quasi finiti”, racconta il ragazzo. “In quei mesi è dura e a volte penso di andarmene, di nuovo”. 

Lucia Michelini

Sono Lucia Michelini, ecologa, residente fra l'Italia e il Senegal. Mi occupo soprattutto di cambiamenti climatici, agricoltura rigenerativa e diritti umani. Sono convinta che la via per un mondo più giusto e sano non possa che passare attraverso la tutela del nostro ambiente e la promozione della cultura. Per questo cerco di documentarmi e documentare, condividendo quanto vedo e imparo con penna e macchina fotografica. Ah sì, non mangio animali da tredici anni e questo mi ha permesso di attenuare molto il mio impatto ambientale e di risparmiare parecchie vite.

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