Umani, ma solo per un soffio

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Foto: Unsplash.com

Poco tempo fa mi è capitato di assistere a un intervento divulgativo sui temi dell’eredità genetica. Generalmente, quando storia e chimica fanno un passo avanti, molti di noi ne fanno uno indietro. Sono materie affascinanti, ma che al contempo non risultano di facile comprensione e che non sempre sono intuitive. Eppure, quel pomeriggio, la genetica e la preistoria, grazie all’abilità del relatore, parlavano la lingua delle carte da gioco. Semi, numeri e colori che si mescolano nel tempo e nello spazio. In fondo, è semplice no?

Mah, insomma! È pur vero che il nostro codice genetico è unico per ogni specie ma… sono codici anche molto simili tra loro. Per il DNA umano, ad esempio, solo una percentuale tra l’1,5% e il 7% è DNA esclusivamente umano. Lo dicono i ricercatori dell’Università della California e del Dipartimento di Ingegneria Biomolecolare di Santa Cruz, che hanno recentemente pubblicato uno studio sulla rivista Science Advances proprio su questo nodo della questione.

I risultati dello studio hanno rilevato come, nonostante quelle “esplosioni evolutive” che circa 600.000 anni fa hanno separato le nostre strade, noi e i nostri cugini di Neanderthal condividiamo fino al 98,5 % del DNA. Quello che sembrerebbe fare la differenza è un pugno di geni che potrebbe trattenere gli indizi più importanti su cosa fa geneticamente la differenza tra gli uomini e il resto delle creature, passate e presenti. Un "nucleo" genomico che ci distinguerebbe dalle altre specie, ricco di geni che hanno a che vedere con lo sviluppo neurale e le funzioni cerebrali.

I ricercatori hanno utilizzato sia il DNA estratto da resti fossili di due ominidi estinti, (Neanderthal e Denisova), sia campioni di materiale genetico di 279 esseri umani moderni raccolti in ogni parte del mondo. Li hanno confrontati e hanno sviluppato un nuovo algoritmo con l’obiettivo di stimare quale materiale genetico provenisse dalla specie da cui hanno avuto origine sia gli esseri umani moderni che i Neanderthal, e quale invece da un incrocio con essi. 

Uno dei risultati è appunto la scoperta che la parte “esclusivamente umana” del genoma è sorprendentemente piccola e che la commistione non è l’eccezione, ma la regola. In quella percentuale esigua è contenuto il mistero di ciò che ci rende unicamente umani: non sappiamo se sia legato a un modo di pensare o di comportarci specifico, ma in quella quota è racchiusa la differenza rispetto alle altre specie. E il resto?

Il resto avrà ancora forse molto da raccontarci sulle nostre origini comuni e molto da suggerirci su come affrontare il nostro futuro: se le altre creature sono “solo pochi geni più in là” rispetto a noi, forse potremmo provare a orientare ancor più le nostre ricerche e riflessioni su ciò che ci rende più vicini di quanto non siamo disposti ad ammettere. Una prospettiva che, se da un lato potrà fornire maggiori dettagli sulla nostra comparsa sul Pianeta e sul nostro passato, potrebbe anche di gran lunga ridimensionare il nostro atteggiamento di supponenza e superiorità per orientare il nostro futuro e fare spazio a nuovi orizzonti di rispetto e salvaguardia che, ahinoi, non sono scritti nel nostro DNA, ma ci chiedono a gran voce di essere esplorati e considerati.

Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.

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