USA: Quando scavalcare la volontà popolare può essere la cosa giusta

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New York - Dopo le ultime primarie statunitensi sembra che ormai i candidati alla Casa Bianca saranno Hillary Clinton e Donald Trump. Ma tutto può ancora cambiare, e per capire perché è necessario comprendere il sistema di primarie chiuse e aperte, caucuses, super delegati e convention nazionali in un’epoca di enormi cambiamenti sociali.

“The dream is over”. Tre persone diverse incontrate in tre luoghi diversi hanno sparato questa frase a bruciapelo. “Il sogno è finito”, è la reazione alla ormai certa vittoria di Hillary Clinton contro Bernie Sanders nella nomination alle presidenziali americane il prossimo 8 Novembre.

Martedì scorso, in occasione dell’ultimo mini - “Super Tuesday”, sono andati al voto Pennsylvania, Maryland, Connecticut, Delaware e Rhode Island. Tutti stati della regione orientale. Tra i repubblicani Trump ha vinto tutto, con percentuali a volte vicine o sopra al 60%. Tra i democratici, il senatore del Vermont Bernie Sanders è riuscito a vincere solo Rhode Island

Potremmo pensare che tutto è deciso: il prossimo Novembre, Hillary Clinton e Donald Trump si sfideranno per diventare in nuovi inquilini della Casa Bianca.

Ma davvero l’America rischia di scegliere, dopo otto anni di guida Obama, tra l’aggressivo imprenditore che questa volta Berlusconi avrebbe ben ragione a definire “abbronzato” e l’eroina dell’establishment marcato famiglia Clinton?

E’ azzardato sperare che le cose vadano diversamente, eppure potrebbe essere. E per capire perché senza cadere nel mero ottimismo, è necessario comprendere – almeno a grandi linee -  come funziona il sistema elettorale statunitense.

Innanzitutto, le primarie americane non si compongono solo di primarie: infatti, alcuni stati usano il sistema dei caucuses. Il caucus è un incontro organizzato dai membri del partito locale, ed ha varie funzioni, tra le quali votare il candidato per l’elezione presidenziale. Le primarie invece sono organizzate dall’alto, dal partito stesso, e possono essere chiuse o aperte a seconda che sia necessario essere iscritti al partito per poter votare o meno.

Sanders ha vinto soprattutto negli stati in cui funziona il sistema dei caucuses e ha subito la sconfitta decisiva a New York Martedì 19 Aprile, dove si votava con primarie chiuse. La necessità di essere iscritti al partito da cinque mesi per poter votare in questo stato è prevista da una legge della fine dell’ ‘800: iscrizione difficile per l’elettorato di Sanders, composto in larga parte di persone che normalmente non sostengono il partito, facendo parte di gruppi politici ben più a sinistra o essendo regolari astensionisti. Questo ha creato molti disagi ai seggi, dove migliaia di persone si sono sentite rispondere che il loro nome non risultava nelle liste, a volte nonostante l’avvenuta iscrizione.

“Per questo il Procuratore Generale Schneiderman ha aperto un investigazione e l’ufficiale della Commissione Elettorale di New York City Diane Haslett-Rudiano è stata rimossa. Solo a Brooklyn, quartiere natale di Sanders, sono state presentate migliaia di denunce di irregolarità” dice Kena, studentessa di legge alla Columbia University.

Per finire con i tecnicismi, caucuses e primarie sono elezioni indirette: l’indicazione del candidato preferito è solo funzionale ad assegnargli un certo numero di delegati, prestabiliti per ogni stato. Saranno quei delegati, da ultimo, ad eleggere il candidato vero e proprio nelle convention nazionali dei due partiti, che si svolgeranno solo il prossimo Luglio.

Assieme ai delegati scelti dagli elettori, c’è poi la strana figura dei “super delegati”: leader di partito, membri del partito che siedono al Congresso, sindaci e così via. I “super delegati” dichiarano spesso la loro preferenza in anticipo ma possono cambiarla a piacimento anche andando contro il voto dei cittadini. La presidentessa della Convention Nazionale del Partito Democratico, Debbie Wassermann Shultz, ha dichiarato che “servono ad evitare che i leader di partito debbano concorrere contro attivisti della società civile”.

Ed ecco che il candidato sgradito, sebbene scelto dalla maggioranza dei votanti, potrebbe non essere il candidato alla Casa Bianca, per i Repubblicani. Per quanto riguarda la Clinton, invece, la nomination non sembra essere più in discussione. Già prima di martedì, la Clinton stravinceva nel numero di super delegati dalla sua parte, 502 contro i 38 di Sanders. L’establishment non tradisce e la Convention Nazionale non spaventa.

Dunque, se i super-delegati repubblicani decidessero che Trump non è adatto a rivestire il ruolo più importante del pianeta, potrebbero provare a negargli la soglia necessaria a prender parte alle elezioni presidenziali.  In numeri, questo consente ancora loro di provare a negargli la soglia di 1.237 delegati, che renderebbe automatica la nomina. Così tutto sarebbe rimandato alla Convention di Cleveland (18-21 Luglio).

In teoria, il sistema richiede una riflessione circa le possibilità che il voto popolare sia ribaltato da una manciata di “grandi elettori”. Dall’altro lato, al momento non c’è che da sperare che questo accada. Perché come dimostrano i sondaggi fino ad oggi, mentre la vittoria di Sanders contro Trump sarebbe stata quasi sicura, la vittoria della Clinton contro l’imprenditore è tutt’altro che certa.

“Tutti abbiamo paure e desideri irrazionali. Alcuni di noi agiscono di conseguenza, altri no. Trump non solo pensa un quantitativo sproporzionato di cose irrazionali, ma le sbandiera senza ritegno”, scrive il mio amico Kevin nel suo blog Polychromasöl. E potrebbe agire fedelmente di conseguenza, se avesse il potere di farlo. Come ho ricordato in questo articolo, la parola più utilizzata da George W. Bush nei suoi 8 anni di presidenza è stata “terror”. Quale potrebbe essere la parola più utilizzata da Trump? E quale quella della Clinton? Quello che sta accadendo in America ci richiede un grande sforzo: andare oltre l’abusato, sebbene utile, concetto di populismo per comprendere i profondi cambiamenti sociali che portano gli elettori a preferire alcune proposte.

Sono gli stessi cambiamenti sociali che portano qualcun altro a cavalcare desideri. E così, a sorpresa, il senatore del Vermont non si ritira: nonostante stia licenziando molte delle persone assunte per la campagna elettorale, rimane in gioco per le prossime primarie in California, lo stato più popoloso degli Stati Uniti. La strategia è semplice: non lasciare che la campagna elettorale Clinton si concentri solo su “quanto è cattivo Trump” ma continui a parlare di battaglie sociali, economiche e politiche con la speranza di poter ancora vincere in California.

Ma se davvero “the dream is over”, i votanti di Sanders sosterranno Hillary Clinton ora che la minaccia di Trump è reale?

Qualcuno non la sosterrà, come dimostra la campagna che è già virale “Bernie or Bust” (Bernie o fallimento): se davvero i milioni di sostenitori di Sanders rifiutassero di votare per Hillary, allora i “super- delegati” sarebbero forzati a cambiare atteggiamento verso Sanders per non vedere vincere un repubblicano.

Perché non la voterebbero? Come suggerisce Richard, membro del Gruppo dei Socialisti del Barnard College, mentre raccoglie spillette e volantini lasciati nell’ufficio dai sostenitori di Sanders: “Siamo sicuri che Hillary sia meglio di Trump?”. Basta ascoltare uno degli ultimi dibattiti democratici e scorrere ai minuti riguardanti la politica estera o studiare le mosse della Clinton in veste di Segretario di Stato di Obama per capire l’approccio (a dir poco) aggressivo che questa lady di ferro sostiene e che potrebbe essere più dannoso per il mondo intero rispetto all’isolazionismo proposto da Trump.

A questi dubbi, la Clinton stessa ribatte con un tweet che “certe persone possono permettersi il lusso di aspettarsi la perfezione. Ma molti americani soffrono, e non possono aspettare per il suo arrivo”. 

Sofia Verza

Laureata in Giurisprudenza presso l'Università di Trento, ha studiato ad Istanbul presso le Università Bilgi e Yeditepe, specializzandosi nel campo del diritto penale e dell'informazione. Ad Istanbul, ha lavorato per la fondazione IKV (Economic Development Foundation), ricercando nel campo della libertà di espressione. E' stata vice presidente dell'associazione MAIA Onlus di Trento, occupandosi di sensibilizzazione sulla questione israelo-palestinese e cooperazione culturale in Cisgiordania. Scrive per il Global Freedom of Expression Centre della Columbia University e collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso

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