UE, luci e ombre sulla solidarietà internazionale

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I ministri europei hanno recentemente approvato l’11° Fondo europeo di sviluppo, il budget gestito dalla Commissione per la cooperazione allo sviluppo con i paesi ACP (Africa subsahariana, Caraibi e Pacifico). Nel quadro di questo accordo, i ministri hanno concordato la messa in comune di oltre 31,5 miliardi di euro per il periodo 2014-2020, un importo superiore a quello proposto inizialmente dalla Commissione e sostanzialmente più elevato rispetto all’esercizio di bilancio precedente, quello del periodo 2007-2013.

A conti fatti, tratta di uno sviluppo piuttosto sorprendente. La scelta dei ministri europei assume enorme rilievo se inserita in un quadro generale di tagli e riduzione del budget. Al contrario del capitolo sulla cooperazione internazionale, il Consiglio europeo ha sostanzialmente abbassato tutte le altre voci di spesa rispetto alla proposta formulata dalla Commissione a fine 2012. E così, la cooperazione internazionale, parte della rubrica dedicata al “Ruolo mondiale dell’Europa”, diventa una parte integrante della politica estera dell’Unione europea, nonché una delle poche discipline ad uscire rafforzata dai complessi negoziati tra le istituzioni che hanno definito il bilancio europeo per i prossimi sette anni.

Che la cooperazione internazionale stia diventando un tema strategicamente importante per tutti i governi europei è comprovato anche dal recente (almeno promesso a parole) cambio di rotta avvenuto in Italia. Dopo anni di contributi scarsissimi, l’attuale governo italiano ha deciso di proseguire l’impegno assunto dall’esecutivo Monti nell’aumentare gli aiuti alla cooperazione internazionale. Un cambiamento significativo rispetto alle scelte del governo Berlusconi, che aveva messo all’ultimo posto delle proprie voci in bilancio l’aiuto pubblico allo sviluppo, disattendendo gli impegni presi in sede europea e tagliando sostanzialmente gli investimenti nell’ambito della cooperazione internazionale. Il governo di Enrico Letta si è impegnato ad aumentare il sostegno alla cooperazione internazionale dall’attuale 0,2% del PIL nazionale allo 0,5% entro il 2015. Nell'ultimo Documento di Economia e Finanza, seppure in un anno difficilissimo, gli Aiuti Pubblici allo Sviluppo rappresentano uno dei punti dell’agenda politica dell’esecutivo per i prossimi mesi.

Sarebbe un grande cambiamento. Lo Stato potrebbe seguire l’esempio di alcune regioni virtuose come Il Trentino che, secondo la legge provinciale del 2005, destina lo 0,25% del bilancio per la solidarietà internazionale (una quota fissata una volta per tutte), circa 11 milioni di Euro l’anno. Un fiore all’occhiello che ci allinea con gli standard richiesti dalle Nazioni Unite.

E tuttavia i dati rimangono negativi. Nel sesto Rapporto Aidwatch che fotografa ogni anno la cooperazione allo sviluppo dell'Unione Europea e dei singoli Paesi europei emerge un quadro scoraggiante. Se si tolgono gli aiuti bilaterali riguardanti le spese relative ai rifugiati (circa il 30%) e quelli per la remissione di debiti ormai inesigibili (circa il 35%), l’Aiuto Pubblico allo Sviluppo si riduce allo 0,13% del PIL. Nonostante le recenti decisioni assunte in sede italiana ed europea rimangano incoraggianti, anche gli ultimi dati forniti da OCSE fotografano una situazione negativa. Secondo l’ultimo rapporto dell’Organizzazione sui fondi 2012 impegnati dai paesi industrializzati per l'Aiuto pubblico allo Sviluppo si registra un calo globale del 4% e del 7,4% per quanto riguarda gli stati dell’Unione europea. Ai due estremi in Europa abbiamo la Spagna che, rispetto al 2011, quasi dimezza i fondi, passando dallo 0,43% dell'Aiuto Pubblico rispetto al PIL, che ne faceva il sesto donatore, allo 0,24% del 2012. Mentre all'estremo opposto abbiamo la Gran Bretagna, che mantiene, nonostante la crisi, il suo 0,56% che dovrebbe consentire di centrare nel 2015 lo storico obbiettivo dello 0,70%, che la comunità internazionale si era data con gli Obiettivi del Millennio nel 2000, per dimezzare la povertà entro il 2015.

Al di là dei numeri, è importante rilevare un cambiamento nella percezione degli aiuti allo sviluppo. Le ultime decisioni assunte in sede europee, confermate dagli studi commissionati dal Parlamento europeo, dimostrano che dopo le crisi della Primavera Araba è possibile intendere gli investimenti nello sviluppo globale non solo sulla base di principi e valori, ma perché questa è la strategia migliore per prevenire le crisi internazionali e sviluppare lungimiranti rapporti di collaborazione verso Paesi terzi.

Lorenzo Piccoli

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