Teocrazia e Petrocrazia

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Immagine: Unsplash.com

Un interessante approfondimento sull'Iran e il corridoio Sciita. Testi di: Adel Jabbar, Angelo Calianno, Francesco Gesualdi, Maria Chiara Parenzo, Paolo Moiola. A cura di: Paolo Moiola

Trump – Khamenei, i due ayatollah

L’ ayatollah Seyyed Ali Khamenei, leader supremo della Repubblica islamica dell’Iran, sostiene che votare è anche un «dovere religioso» (come riferito dalla Islamic republic news agency, Irna, l’agenzia iraniana ufficiale). Un uso strumentale della religione è cosa «normale» in una teocrazia. Ancora più «normale» è che i potenziali candidati siano costretti a passare attraverso le forche caudine del Consiglio dei guardiani. Con un risultato: i pochi iraniani che lo scorso 21 febbraio sono andati al voto, hanno trovato sulla scheda soltanto candidati conservatori, essendo stati esclusi prima della competizione elettorale tutti gli altri. A elezioni concluse, la Guida suprema ha sentenziato che «la religione è la fonte assoluta di una democrazia totale» (Irna, 23 febbraio). Criticare il regime teocratico iraniano non significa però esaltare automaticamente la controparte statunitense, considerata la democrazia per antonomasia.

Nel suo pomposo, esagerato ed egocentrico discorso sullo «Stato dell’Unione» (lo scorso 4 febbraio), Donald Trump si è vantato di aver deciso da solo l’operazione che ha portato all’uccisione del generale iraniano Soleimani. Ha poi sottolineato che le sanzioni statunitensi stanno mettendo in ginocchio l’economia iraniana e, non contento, ha aggiunto che forse gli iraniani sono troppo orgogliosi o troppo stupidi per chiedere aiuto. Un aiuto – precisiamo noi – oggi ancora più necessario vista la diffusione nel paese dell’epidemia da coronavirus.

Khamenei è l’ayatollah ufficiale, a capo di un regime teocratico che sottomette i propri cittadini agli interessi di una casta, Trump è un ayatollah honoris causa perché subordina ogni cosa del mondo all’interesse statunitense. Se un tempo gli Stati Uniti erano considerati gli sceriffi del pianeta, oggi si presentano come giudici urbi et orbi. L’utilizzo delle sanzioni economiche e finanziarie è soltanto uno dei sistemi antidemocratici usati a propria discrezione dal presidente Trump. Antidemocratici perché si ripercuotono sulle popolazioni, antidemocratici perché colpiscono anche le imprese di paesi terzi (gli alleati europei tra essi) che osino continuare a lavorare con gli stati sanzionati.

Ma le similitudini non finiscono qui. Anche Trump come Khamenei usa la religione per i propri fini. Numerosi suoi funzionari hanno dichiarato che lui «è il prescelto». Rick Perry, già governatore e segretario all’energia, ha affermato in televisione che Trump è stato installato nell’Ufficio ovale (della Casa Bianca) da Dio.

Per essere consigliato al meglio in materia religiosa e raccogliere consensi nell’anno elettorale, lo scorso 31 ottobre il presidente Usa ha assunto nella propria amministrazione Paula White, nota televangelista e commerciante della fede (libri, Cd, collane, ecc.), già pastora di una chiesa evangelica della Florida (poi chiusa per fallimento). Una signora che, a gennaio (il 5), ha parlato tra l’altro di «gravidanze sataniche» e «grembi satanici» (costretta poi a rettificare).

Khamenei e Trump sono due ayatollah che riescono addirittura a farci guardare con occhi meno severi i nostri politici. O, per meglio dire, almeno una parte di essi.

Le radici storiche della situazione attuale. Un mosaico ricco di sbagli e di petrolio

Difficile trovare un altro luogo tanto instabile quanto il Medio Oriente. È così dal 1920, ma dal 1979 la precarietà si è aggravata e gli attori coinvolti si sono moltiplicati. La soluzione pare lontana, mentre le condizioni di vita delle popolazioni sono sempre più drammatiche.

L’area del Vicino Oriente, comunemente chiamata Medio Oriente, è stata uno degli scenari principali della Grande guerra. Gli assetti statuali odierni sono il risultato della spartizione dei possedimenti dell’Impero ottomano tra le potenze vincitrici, ovvero Francia e Regno Unito. Ciò determinò enormi cambiamenti, nuove aree di influenza e soprattutto una endemica instabilità.

Il Medio Oriente costituisce un nodo strategico per il controllo delle vie di comunicazione che collegano tre continenti: Asia, Africa ed Europa; per cui numerosi attori della politica mondiale entrano in forte concorrenza tra di loro. Inoltre, in questa vasta area si trovano i maggiori giacimenti mondiali di petrolio e di gas naturale, rendendola una zona primaria per l’approvvigionamento energetico. Le tensioni risalenti già all’epoca della guerra fredda hanno subito un inasprimento con la guerra tra Iraq e Iran (1980-1988), e si sono ulteriormente accentuate dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989. La prima guerra del Golfo (Iraq-Kuwait, 1991), l’occupazione statunitense dell’Afghanistan nel 2001 e successivamente quella dell’Iraq nel 2003 sono stati degli avvenimenti devastanti che hanno costretto tutti i protagonisti a rivedere le proprie posizioni.

L’Iran e le sue ambizioni

In questo quadro si inserisce l’Iran con le sue aspirazioni da protagonista utilizzando in modo strumentale l’appartenenza allo sciismo, corrente minoritaria nel mondo islamico, per esercitare una certa egemonia sulle popolazioni che, in vari modi, aderiscono a questa confessione al fine di rafforzare il proprio ruolo come potenza regionale.

Lo stesso paese degli ayatollah gode di una collocazione geografica che permette l’accesso a importanti giacimenti petroliferi, oltre al fatto che una parte del suo territorio si affaccia su vie di comunicazione strategiche come lo Stretto di Hormuz, un crocevia decisivo per il trasporto del greggio. L’Iran, inoltre, si affaccia sul Golfo Arabico, l’Oceano Indiano, il Mar Arabico e il Mar Caspio. Esso rappresenta, infine, uno dei più grandi paesi della regione con una superficie di circa 1,6 milioni di km2 (oltre 5 volte l’Italia) e una popolazione di più di 81 milioni di abitanti. L’economia iraniana – che, a fasi alterne, subisce embarghi e sanzioni dettate dagli Stati Uniti e da diversi altri paesi, inclusi paesi europei, ormai da decenni – riesce ancora a reggere. Infatti, malgrado la sua dipendenza dalle entrate della vendita del petrolio spesso soggette a restrizioni e fluttuazioni del prezzo, ha raggiunto un discreto sviluppo negli ultimi anni, grazie anche ai rapporti politici e agli scambi economici con paesi quali Russia, Cina e India. Segni manifesti di mire egemoniche in Medio Oriente sono emersi subito dopo la rivoluzione islamica iraniana del 1979, quando allo scopo di diffondere gli ideali della rivoluzione, in particolare nei paesi arabi, i mullah si dichiararono difensori degli interessi dei musulmani. In questo senso l’Iran ha sostenuto e sostiene con diversi mezzi la formazione di Hezbollah, diventata ormai una forte presenza nello scacchiere del Medio Oriente, impegnata a liberare i territori libanesi occupati da Israele e a difendere la sovranità del Libano. Inoltre, garantiscono un importante supporto alla formazione degli Huthi nello Yemen e ai movimenti palestinesi Hamas e dello Jihad Islamico, malgrado questi ultimi appartengano alla corrente sunnita maggioritaria dell’Islam.

L’occasione a lungo attesa per occupare il ruolo guida nella regione, si è presentata infine con gli attacchi agli Usa dell’11 settembre 2001 che hanno dato avvio alla cosiddetta «guerra al terrorismo» attraverso l’invasione americana dell’Afghanistan e la successiva occupazione dell’Iraq nel 2003. Per rafforzare il suo ruolo di potenza regionale, l’Iran si è tra l’altro impegnato a sviluppare un’importante industria bellica e a investire risorse per aumentare la propria capacità militare.

In tal senso va compreso anche il suo impegno nell’ambito della ricerca nucleare. Tale impegno ricopre anche la funzione di affrontare le sfide poste dalle politiche degli Stati Uniti e del suo alleato israeliano, specialmente in considerazione del fatto che quest’ultimo è in possesso di armi nucleari.

Le divisioni dottrinali non spiegano tutto

La politica dello stato iraniano si basa sulla concezione del «velayat-e faqih» ovvero dell’autorità della Guida suprema sciita, sia a livello nazionale che a livello delle comunità sciite internazionali. L’Iran si è posto diversi obiettivi: propagare il pensiero della rivoluzione islamica iraniana e sostenere i suoi alleati politicamente ed economicamente, diffondere la concezione dello sciismo facendo leva sulle varie galassie sciite e in particolare sulla difesa del suo principale alleato siriano. Tale ottica è divenuta una fonte di preoccupazione per gli stati limitrofi della regione. Attualmente infatti l’autorità della Repubblica Islamica sta facendo molti sforzi per supportare alcuni movimenti militanti, di obbedienza iraniana, nell’ambiente sciita dei paesi vicini al fine di rafforzare le proprie posizioni. Questo attivismo trova il suo culmine in Siria già a partire dagli anni ‘80 considerata un alleato fondamentale all’interno del disegno espansionistico degli ayatollah. Alla Siria si è aggiunto poi l’Iraq dopo la caduta del regime di Saddam Hussein e l’ascesa al potere a Baghdad dei movimenti d’ispirazione sciita e altri vicini alle posizioni iraniane, ormai divenuti per Teheran un elemento fondamentale al fine di propagare la propria influenza politica. Ciò spiega la soddisfazione del paese degli ayatollah nel vedere la scomparsa dell’ostacolo iracheno. L’Iran, infatti, malgrado la sua influenza nella vita interna dell’Iraq, non ha dimostrato particolare interesse né alla ricostruzione del paese né tanto meno alla formazione di una forte autorità che godesse del consenso della popolazione, in quanto una guida capace potrebbe rappresentare un nuovo concorrente con il quale dover competere per il controllo dell’area.

Un conflitto intra-islamico

Il contesto mediorientale attuale è diventato uno scenario di scontro tra innumerevoli belligeranti. Fondamentalmente si è di fronte ad un conflitto intra-islamico tra la Turchia, la Repubblica islamica dell’Iran e il Regno dell’Arabia Saudita. Ognuno di questi paesi (di cui il primo e il terzo di fede sunnita) persegue da una parte il mantenimento della propria posizione, dall’altra il raggiungimento di maggiori benefici. Va notato che anche la lettura che tende ad addebitare la causa della frattura tra l’Arabia Saudita e l’Iran alla divergenza dottrinale tra la maggioranza sunnita e la corrente minoritaria sciita, rischia di essere parziale e poco chiarificatrice, nel momento in cui la politica della Turchia diverge anche da quella saudita e da quella egiziana, pur essendo tutti e tre i paesi di orientamento sunnita. Mentre constatiamo, come abbiamo poc’anzi menzionato, l’appoggio iraniano a movimenti sunniti come Hamas e Jihad islamica in Palestina. Un ulteriore esempio, in questa direzione, è dato dalla posizione iraniana rispetto al conflitto del Nagorno-Karabakh, zona contesa tra l’Armenia cristiana e l’Azerbaijan islamico a maggioranza sciita. L’Iran, infatti, per motivi geostrategici, appoggia l’Armenia piuttosto che l’Azerbaijan...

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