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Tanzania: quella ricchezza che va oltre le statistiche
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BEIRA (Mozambico) – Le statistiche, i numeri, ci indicano sempre lo sviluppo o meno di un Paese, come e quanto cresciamo, siamo cresciuti e cresceremo, cosa sbagliamo e cosa dovremmo fare.
E’ interessante confrontare Paesi che paiono molto lontani l’uno dall’altro non solo geograficamente ma soprattutto statisticamente e poi accorgersi, non guardando soltanto ai numeri ma alle persone che li popolano, come le differenze si riducono.
L’Italia e la Tanzania, la buona tavola e la savana nell’immaginario collettivo, sono tanto distanti quanto simili quando si guardano i sentimenti, il comune attaccamento alla vita, i valori più profondi dell’esistenza
I numeri ci mostrano il digital divide: in Italia ad esempio nel 2014 c’erano 154 telefoni cellulari ogni 100 persone, in Tanzania poco più di 62. Il 62% della popolazione italiana tra i 16 e i 74 anni utilizzava internet nel 2014 mentre nello stesso anno in Tanzania era stimato il 4,9% , una differenza abissale, un buco nero nello sviluppo di una nazione non indifferente.
Le condizioni di vita, dall’ utilizzo dell’acqua potabile ai servizi igienici, il servizio sanitario, sono diverse e portano ad una aspettativa di vita alla nascita di 85 anni per le donne italiane e 20 di meno per le donne tanzaniane, scende rispettivamente ad 80 e 62 per gli uomini.
Un argomento di grande discussione oggi è la difficoltà di formare una famiglia: i numeri ci dicono che l’Italia ha una crescita annua dello 0,1 con una media di figli per donna pari a 1, 4 mentre nel Paese africano la crescita annua ha un valore pari a 3,2; la media di figli per donna è di 5,2 (fonte: data.un.org)
Dal digital divide al numero di figli, dall’aspettativa e le condizioni di vita le statistiche tentano di dare un’immagine di un popolo, della composizione della famiglia e dello sviluppo della stessa, descrivere le donne e classificarle ma se si ha la fortuna invece di poter guardare anche oltre si scoprono ricchezze inaspettate, come il coraggio di una mamma che ho incontrato in Tanzania.
Quando vivevo con mio marito in Tanzania qualche anno fa, in un villaggio sperduto tra le colline, lontano 120 km dalla prima cittadina, l’ unico mezzo di trasporto era un autobus malandato che partiva da un villaggio distante 20 km dal nostro. Noi però, lavorando per un progetto di cooperazione internazionale, avevamo a disposizione un pick up. Il mezzo veniva utilizzato per le esigenze più disparate ma mai avremmo pensato per aiutare un parto.
Una sera io e mio marito stavamo tornando da un viaggio in città con la macchina carica degli acquisti. Impolverati e stanchi, non vedevamo l’ora di arrivare a casa. Improvvisamente, il medico del piccolo posto di salute si parò in mezzo alla strada sterrata con le braccia spalancate. Aveva appena ricevuto una donna partoriente, l’aveva aiutata a dare alla luce il suo bambino sul lettino nudo della stanza, con l’aiuto di una bacinella, guanti sterili e pochi strumenti.
Il parto sembrava riuscito fino a quando il medico si era accorto che il bambino non era solo, c’era un gemelloancora nel grembo materno . Fu in quel momento che sentì la nostra macchina arrivare. Occorreva trasportarla subito all’ospedale più vicino.
I momenti seguenti furono concitati: preparare cuscini, teli di plastica, stoffe per poter affrontare il lungo e tumultuoso viaggio verso la cittadina e l’ospedale.
Il viaggio di 120 km durava un tempo variabile in base alla stagione, alla strada, ai camion che si potevano torvare guasti nel mezzo del cammino. Ci sono stati giorni in cui abbiamo impiegato due ore e mezza, altri anche sette o otto ore. Dunque sempre un’ incognita. La macchina partì con la donna dolorante, il suo piccolo di poche ore ( forse minuti) tra le braccia e la mamma ad accompagnarla. La notte mi dissero che erano arrivati tutti sani all’ospedale in tempo per partorire il secondo bimbo: nessun’altra notizia. I giorni seguenti mi recavo spesso al centro del villaggio in cerca di informazioni, perché, di solito, facendo un giro per le baracche della via principale si riuscivano a raccogliere informazioni anche sui villaggi vicini. Questa volta nessuno sapeva nulla della mamma e i suoi due gemelli. Il quarto giorno uno dei lavoratori del nostro progetto venne alla porta dicendomi che, per avere notizie, potevo rivolgermi direttamente a lei! Infatti era arrivata in villaggio accompagnata da sua madre e con i suoi due piccoli tra le braccia. Un miracolo l’aveva portata a partorire, uscire dall’ospedale poche ore dopo e intraprendere un viaggio di quattro giorni a piedi tra le colline chiedendo ospitalità e infine raggiungere casa. Un miracolo o forse soltanto l’amore, la forza e il coraggio di una mamma.
Io ero in attesa del mio primogenito, pareva fossi tanto diversa da quella signora ma forse la forza dei sentimenti che l’hanno guidata li abbiamo in comune. Italia e Tanzania dunque paiono più vicine quando non si guarda soltanto ai numeri.
Chiara Conti