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#SullaPelleDegliAyoreo, la denuncia di Survival InternationalNew article
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Foto: Annie Spratt da Unsplash.com
Sappiamo che le macchine non sono solo una questione di mezzi di spostamento. Sempre più spesso sono status symbol, emblemi di un tenore di vita, di una filosofia del movimento, di praticità o lusso o sportività o famigliola felice o chissà che altro. A differenza però di altri settori, quello delle automobili non ha ancora considerato di migliorare gli aspetti etici della filiera, a partire per esempio dagli allestimenti interni. Anzi.
Sedili, finiture e volanti spesso sono in pelle, pelle che molte case automobilistiche acquistano da due aziende italiane leader del settore: Pasubio Spa e Gruppo Mastrotto Spa. A loro volta, le due aziende si riforniscono da concerie che commerciano con allevamenti oltreoceano, colpevoli di reati pesanti come quello di occupare la terra ancestrale dei popoli indigeni. È il caso per esempio degli Ayoreo, popolo indigeno del Paraguay. Ultimi incontattati del Sud America, sopravvissuti al di fuori del bacino amazzonico e depredati di gran parte della propria terra venduta agli allevatori, gli Ayoreo contano più di 5.000 persone e vivono in Paraguay e Bolivia. Sono suddivisi in numerosi sottogruppi, tra cui gli Ayoreo Totobiegosode del Paraguay, che sono quelli entrati in contatto con i colonizzatori in tempi più recenti e costretti a vivere in fuga mentre guardano alle loro terre che vengono illegalmente disboscate e convertite in allevamenti intensivi.
È questo il cuore dell’istanza depositata poche settimane fa contro la Pasubio Spa presso il Punto di Contatto Nazionale italiano (PCN) dell’OCSE da Survival International, in collaborazione e con l'autorizzazione degli Ayoreo Totobiegosode. La decisione è stata presa dopo che Survival aveva inviato lettere di diffida a entrambe le società sollecitandole a interrompere queste importazioni. Ma mentre il Gruppo Mastrotto ha risposto avviando con Survival un dialogo ancora in corso che sarà oggetto di valutazione finale, la Pasubio Spa ha fatto pervenire solo una breve e sterile comunicazione di discolpa generica.
Il legame tra le pelli utilizzate nell’industria automobilistica e la deforestazione delle terre degli Ayoreo nella zona del Gran Chaco è stato svelato per la prima volta da un’indagine di Earthsight, Ong britannica che utilizza indagini approfondite per portare alla luce ingiustizie ambientali e crimini sociali legati al consumismo globale. Risalendo fino all’origine della filiera, nei rapporti Grand Theft Chaco I e Grand Theft Chaco II, Earthsight rivela infatti che quasi tutti i 2 terzi delle pelli esportate dal Paraguay ogni anno nel mondo vanno alle aziende italiane, e principalmente alla Pasubio Spa, che dipende per oltre il 90% dei suoi 313 milioni di euro di ricavi annuali proprio dall'industria automobilistica. Insomma, la Conceria Pasubio sembra non aver rispettato diversi principi contenuti nelle Linee Guida OCSE, tra cui quelli sulla Divulgazione di informazioni (III), sui Diritti umani (IV), sull'Ambiente (VI) e sugli Interessi del consumatore (VIII).
Cosa chiede dunque Survival in questa istanza? Chiede, tra le altre cose, che la multinazionale “accetti di interrompere immediatamente l’importazione di pelli dalle concerie del Paraguay responsabili e/o coinvolte nella deforestazione dell’area protetta degli Ayoreo Totobiegosode. La condotta perpetrata dalla società, infatti, contribuisce ad alimentare la deforestazione illegale e la violazione dei diritti del popolo Ayoreo Totobiegosode, privandolo della foresta da cui dipende per tutte le sue vitali necessità; forzandolo a uscire dalla propria terra in cerca di cibo e cure, e costringendolo a contatti forzati e indesiderati con il mondo esterno – cosa che porterà loro, inevitabilmente, morte e malattie come già accaduto in passato".
La colpa però non è solo della Pasubio. Nel mercato è anche la responsabilità della domanda a determinare molte delle ingiustizie nell’offerta. Quindi se noi non chiediamo di meglio, ci accontentiamo di quello che ci danno. Ma anche il governo paraguaiano ha fatto ben poco per evitare che la maggior parte del territorio ancestrale degli Ayoreo finisse in mano ad aziende agroindustriali che abbattono la foresta illegalmente e senza scrupoli. Se nel 2001 le autorità avevano riconosciuto legalmente un territorio di 550.000 ettari nell'Alto Paraguay come “Patrimonio naturale e culturale del popolo indigeno Ayoreo Totobiegosode” (PNCAT), ad oggi hanno trasferito agli Ayoreo titoli di proprietà solo su alcune migliaia di ettari di terra e continuano a violare sia le misure cautelari emesse dalla Commissione Inter-Americana per i diritti umani (IACHR) sul territorio (che richiedono allo Stato del Paraguay di proteggere e tutelare il PNCAT e i gruppi incontattati che vi abitano prevenendo l’ingresso di terzi e contatti indesiderati), sia le risoluzioni emesse nel 2018 dall'Istituto forestale nazionale (INFONA), che rendono inequivocabilmente illegale la deforestazione.
Dal taglio di alberi preziosi per la biodiversità agli incendi e all’introduzione del bestiame sulla terra disboscata, il governo ha consegnato la ricchezza della propria terra e dei popoli che la abitano e la difendono a portatori di interessi che non hanno nulla a che vedere con la tutela delle comunità locali, dei loro mezzi di sostentamento e della loro salute, fisica e mentale. La determinazione a salvare la loro terra e la loro cultura, anche per il futuro dei loro figli, gli Ayoreo però non la perdono. Non possono. Anche se “stanno rischiando il genocidio a causa di una deforestazione selvaggia che è decisamente illegale, ma continua a crescere di pari passo con le importazioni di pelli dell’Italia” ha dichiarato Francesca Casella, direttrice della sede italiana di Survival.
Gli esperti prevedono addirittura che la domanda di pelle per auto aumenterà di oltre il 5% annuo, fino al 2027. Clienti e consumatori finali devono esserne consapevoli, e poiché l’Italia è il più grande acquirente di pelli paraguaiane al mondo, ha il potere e la responsabilità di intervenire smettendo di fare affari con gli allevamenti di bestiame che operano illegalmente all’interno della terra indigena con la connivenza di politici e funzionari corrotti che rendono possibile un dato che fa accapponare la pelle: la carne e il pellame del Paraguay sono responsabili, per unità di peso, di più deforestazione di qualsiasi altra materia prima sulla terra e di un mercato con cifre da capogiro.
Davvero riusciremo ancora a salire in macchina tranquilli, sapendo tutto questo?
Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.