Sofferenze mediterranee

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Foto: Unsplash.com

Anche in questa primavera nel Mediterraneo si muore. Si muore e si rischia.

Se stessi utilizzando un social i miei emoticons scelti sarebbero quelli della lacrima e della rabbia: lacrima per la sofferenza degli invisibili che continuano a morire e rabbia per un’Europa, un’Italia, che continuano a chiudere, colpevolmente, entrambi gli occhi, previlegiando il gioco delle tre scimmiette: non vedo, non sento, non parlo!

Nel Mediterraneo si muore per il legittimo desiderio di trovare una vita migliore, ma si rischia di morire anche nell’espletamento del diritto di pesca in acque che dovrebbero essere di tutti.

La cronaca, lucida nella crudezza del suo racconto, ci ha aggiornato quotidianamente nelle ultime settimane.

Riportiamo solo i fatti più recenti.

Dossier migranti: come ha scritto La Repubblica, “almeno 500 persone sono morte dall'inizio dell'anno mentre cercavano di attraversare il Mediterraneo centrale per scappare dall'Africa e raggiungere l'Europa. Le vittime sono più del triplo rispetto allo stesso periodo del 2020, quando si registrarono 150 morti. L'incidente più grave di quest'anno è avvenuto il 22 aprile: un naufragio che ha causato la morte di 130 persone. Lo riferiscono fonti dell'Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (Unhcr).”  

Riguardo a quest’ultimo naufragio Simeon Leisch, attivista di Alarm Phone, l'organizzazione che ha segnalato a SOS Mediterranean la presenza dell'imbarcazione, in un’intervista a TV5 MONDE, ha dichiarato che, “era chiaro fin dall'inizio che queste persone erano in estremo pericolo, a causa della tempesta che le avrebbe colpite nel corso della giornata e poi durante la notte. Questo tipo di gommone con 120-130 persone a bordo si danneggia facilmente in queste condizioni meteorologiche. Quel giorno le autorità libiche e maltesi hanno mancato al loro dovere, come probabilmente ha fatto la guardia costiera libica. Delle navi mercantili hanno circolato nell'area più volte durante il giorno e non sono state avvertite dalle autorità europee o dalle autorità libiche di questo naufragio.”

Dossier pesca: sempre La Repubblica ha scritto che “ al largo delle coste di Cipro, un peschereccio italiano é stato attaccato e speronato da dieci barche turche. Il "Michele Giacalone", già aggredito il 3 maggio al largo di Bengasi in Libia dalla guardia costiera del Paese nordafricano, era impegnato nella pesca al gambero rosso al largo della Siria. I pescherecci turchi hanno iniziato a lanciare pietre, poi a tagliare la rotta per costringere il comandante a salpare le reti. Alla fine lo speronamento. Intervento della fregata "Margottini" e di un elicottero della Marina militare nella zona dell'aggressione.”

Nelle acque del Mare Nostrum, nel senso comunitario del termine, di mare di tutti i Popoli che lo circondano, affogano i diritti, annaspa la solidarietà, trionfa l’egoismo.

Questo Mediterraneo, che fin dagli albori delle civiltà, è stato un mare di scambio, una vera e propria arteria che ha seminato per tutti i Popoli delle sue sponde.

Sui barconi che ogni giorno, con l’inizio della bella stagione, si staccano dalle coste libiche, o tunisine, carichi di un’umanità dolente ma che non ha perso la speranza, ci sono i Mohamed e i Samir.
I Mohamed e i Samir che ritroviamo anche sui battelli che vengono aggrediti e lesi nel loro diritto di pesca, accanto ai Michele e ai Giuseppe. Equipaggi misti e solidali che partono insieme da Mazzara del Vallo, la più maghrebina delle città siciliane.

Pesca sempre più difficile perché i libici si sono presi da tempo il Mediterraneo, nel sostanziale silenzio italiano.

Nel 1973 l’allora regime del colonnello Gheddafi dichiarò unilateralmente che il Golfo di Sirte faceva parte delle acque interne, e venne quindi annesso lungo una linea di circa 300 miglia. 

Nel 2005 il governo di Tripoli stabilì, a sua insindacabile scelta, una zona marittima di protezione della pesca. Anche questa decisione provocò la protesta di diversi Stati nonché della Presidenza dell’Unione Europea, ma senza un sostanziale risultato. Considerando il Golfo di Sirte come acque territoriali interne, le 62 miglia di zona di pesca reclamate inizierebbero a partire dalle 12 miglia dalla linea di chiusura del golfo, definendo un limite delle acque territoriali pari a 74 miglia dalla costa libica.

Infine nel 2009, la Libia dichiaro’ una ZEE (Zona Esclusiva Economica)  che si estendeva oltre le sue acque territoriali e il cui limite esterno, ad oggi, non è ancora stato tracciato.

Tutte le imbarcazioni da pesca che vengono sorprese in queste acque sono sequestrate o aggredite. Appare evidente come l'attività ittica siciliana sia danneggiata in modo significativo.

Incurante delle proteste la guardia costiera libica approfitta abbondantemente della situazione, soprattutto quella parte ancora sotto il controllo del generale Khalifa Haftar che mal ha digerito il recente inizio di pacificazione nazionale impostogli e, quando puo’, muove le sue carte, lanciando segnali a Italia e Europa.

Anche per questo, oltre che per i comportamenti vessatori e criminali nei confronti dei migranti, la recente dichiarazione di elogio da parte del nostro Primo ministro Draghi alla guardia costiera libica, é apparsa decisamente sopra le righe, di una pur a volte necessaria realpolitik. 

Il Mar Mediterraneo, etimologicamente ciò che è "in mezzo alla terra" (medi-terraneus), ha sempre versato con le sue acque civiltà, cultura e economia positiva sulle sponde dei Paesi che a lui si affacciano.

Per questo é doloroso constatare quanto quasi tutti i Pesi della sponda sud e orientale vivano oggi in sofferenza.

Il conflitto israelo-palestinese é riesploso con inaudita violenza dopo che i primi hanno iniziato ad espellere i secondi dal quartiere Sheikh Jarrah a Gerusalemme, per dare ulteriore spazio ai coloni ebrei. Una mossa del Primo ministro Benyamin Netanyahou per cercare di rafforzare il suo potere, estremamente in bilico in questo momento. A cio’ si aggiunge un colpo di coda della faida inter-palestinese fra Hamas, che controlla la striscia di Gaza e Mahmoud Selman Abbas, Presidente dell'Autorità Palestinese e dello Stato di Palestina dal 2005, spesso accusato di accondiscendenza verso gli Israeliani. Il tutto nel silenzio complice e imbarazzato dei recenti sodali arabi di Israele, quali gli Emirati Arabi Uniti, Bahreïn e Marocco, o più datati, come Giordania e Egitto.

La Siria, cosi’ come l’avevamo conosciuta, fierezza del mondo arabo, non esiste più: dieci anni di guerra civile “ hanno dislocato la sua economia, la sua demografia e la sua sociologia”, come ha scritto il quotidiano francese Le Monde. La metà della sua popolazione é stata spostata all’interno o all’esterno delle frontiere.

Nella Turchia di Recep Tayyip Erdoğan, il dittatore o l’autocrate, secondo la sottigliezza lessicale dei politici nostrani, vengono sistematicamente cancellati i diritti piu’ elementari, e si manifesta sempre più con evidenza il desiderio di emulazione di un passato da Impero ottomano.

In Libano, da sempre crocevia di un risiko mediorientale, si assiste ad una lenta ma continua discesa all’inferno di un Paese devastato dalla crisi economica, aggravata dalla terribile esplosione al porto di Beirut dell’agosto 2020 (Beirut ancora una volta colpita al cuore), e dall’incapacità endemica della conflittuale classe politica che lo governa.

Anche in Egitto, l’altro autocrate/dittatore Abdel Fattah al-Sissi continua nella sua politica di annientamento dei diritti di libertà di espressione, che riguarda da vicino anche l’Italia con i casi di Giulio Regeni, torturato e ucciso dal regime, e Patrick George Zaky, in carcere da oltre un anno senza processo. Questo non impedisce al l’Italia di gareggiare con la Francia per la vendita di armi all’Egitto.

Nel Maghreb, oltre alla Libia, che prosegue con cautela nel processo di pacificazione nazionale (In Libia forse la politica torna in primo piano), la Tunisia vive una profonda crisi sanitaria, per il Covid-19, ed economica, con l’estrema difficoltà dei governanti di trovare il bandolo della matassa, anche per l’ormai cronica rivalità fra le differenti Istituzioni che gestiscono il potere (La Tunisia e i tre Presidenti). Il Gotha economico del Paese é attualmente a Washington per chiedere al Fondo monetario internazionale (FMI), un ulteriore prestito di 4 milardi di dollari. Missione difficile se non sarà accompagnata, questa volta senza scappatoie, da pesanti riforme strutturali: lo spettro di un caso Grecia é alle porte!

L’Algeria continua in una lenta auto-asfissia nel suo isolamento dal mondo che é iniziato con la chiusura totale delle frontiere aeree, marittime e terrestri nel marzo 2020. 

Il quadro generale é a tinte fosche e il ritrovamento di un sorriso potrebbe dimorare nella cultura, con la rilettura dell’Odissea.

In fondo Ulisse è il legame fra tutti noi uomini e donne mediterranei, il nostro fondamento comune. Rivivere le sue avventure, incontrare Circe, ma anche i terribili Ciclopi o gli dei risentiti, o i lotofagi di Djerba ci permetterebbe di tracciare un ritratto immaginario e sensibile di questo mare che ancora ci incanta.

Ferruccio Bellicini

Pensionato, da una quarantina d’anni vivo nei Paesi della sponda sud del Mediterraneo: Algeria, prima, Tunisia, ora. Dirigente di una multinazionale del settore farmaceutico, ho avuto la responsabilità rappresentativa/commerciale dei Paesi dell’area sud del Mediterraneo, dal Libano al Marocco e dell’Africa subsahariana francofona. Sono stato per oltre 15 anni, alternativamente, Vice-Presidente e Segretario Generale della Camera di commercio e industria tuniso-italiana (CTICI). Inoltre ho co-fondato, ricoprendo la funzione di Segretario Generale, la Camera di commercio per lo sviluppo delle relazioni euro-magrebine (CDREM). Attivo nel sociale ho fatto parte del Comitato degli Italiani all’estero (COMITES) di Algeri e Tunisi. Padre di Omar, giornalista, co-autore con Luigi Zoja del saggio “Nella mente di un terrorista (Einaudi 2017).

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