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Servizio sanitario nazionale, addio? I rischi della privatocrazia
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Foto: National Cancer Institute da Unsplash.com
Il Servizio sanitario nazionale è condannato anche in Italia? In un recente articolo pubblicato su JAMA a firma di Donald M. Berwick dal significativo titolo “Salve Lucrum (salve, profitto). La minaccia esistenziale dell’avidità nell’assistenza sanitaria americana”, si sottolinea che «…se da un lato il profitto può svolgere un ruolo nel motivare l’innovazione e migliorare la qualità delle cure», dall’altro «in sanità i comportamenti cleptocapitalistici che portano all’aumento dei prezzi, dei salari e del potere del mercato, finiscono poi per danneggiare i pazienti, le loro famiglie, le istituzioni e i programmi governativi».
Non è un problema limitato agli Stati Uniti d’America: al contrario, la privatizzazione ormai galoppante dei sistemi sanitari pubblici in molti stati è parte di un più ampio movimento che vede enti privati sostituirsi agli stati nella gestione di settori sempre più ampi dell’amministrazione pubblica, in tutto il mondo.
Come si può modificare questo processo che sembra inarrestabile? Che cosa possiamo fare per ridare forza e centralità al servizio sanitario pubblico, autentico baluardo di democrazia? Se ne è discusso al Mario Negri il 5 giugno nel seminario "Salve lucrum: come salvare il SSN dalla privatocrazia", ottavo incontro organizzato dal Centro studi di politica e programmazione socio-sanitaria, con l’obiettivo di promuovere un confronto pragmatico per la riorganizzazione e il rilancio del Servizio sanitario nazionale.
Hanno partecipato Chiara Cordelli, docente di filosofia all’Università di Chicago, Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto Mario Negri, e Ivan Cavicchi, docente di Sociologia delle organizzazioni sanitarie all’Università di Roma Tor Vergata, moderati da Alessandro Nobili, direttore del Centro studi di politica e programmazione socio-sanitaria del Mario Negri.
Punto di partenza è l’articolo 32 della Costituzione secondo cui è la Repubblica a dover tutelare la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività. Un diritto fondamentale che tuttavia nello stato attuale delle cose è disatteso, facendo emergere, come spiega Giuseppe Remuzzi, un problema culturale: si avalla una società che fonda il benessere della popolazione sulla concorrenza e sul libero mercato dando così sempre più credito e più potere a un sistema orientato alle prestazioni e al profitto. In questo modo si finisce per rispondere più agli interessi degli azionisti che ai bisogni degli ammalati.
La privatocrazia sanitaria mette a rischio la democrazia?
Chiara Cordelli, che ha recentemente pubblicato il saggio Privatocrazia. Perché privatizzare è un rischio per lo Stato moderno, ha aperto i lavori citando diversi dati che mostrano quanto in Italia la situazione del servizio sanitario sia ormai orientata verso la privatizzazione: circa il 60% dei fondi pubblici finisce in mano ai privati, in particolare in sanità, per l’acquisto di servizi medici e farmacologici; più del 50% delle istituzioni sanitarie che si occupano di malattie croniche sono in mano ai privati, così come lo sono più dell’80% delle istituzioni di assistenza sanitaria residenziale. Ma la progressiva privatizzazione della sanità, ha spiegato Cordelli, è solo un tassello di un fenomeno più ampio e globale...