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Sanità definanziata, i pronto soccorso già al collasso
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Foto: Marcelo Leal da Unsplash.com
C’è un nuovo topic, dal Polesine all’Abruzzo, ed è “pronto soccorso al collasso”. Il combinato disposto della coda della pandemia da Covid-19 e della nuova emergenza influenzale ha saturato i reparti di urgenza e emergenza negli ospedali ancor prima del picco dell’infezione da coronavirus australiano previsto a gennaio dopo i contatti delle feste.
Secondo alcune fonti sindacali ci sarebbero 300 decessi al giorno nei pronto soccorso degli ospedali italiani in queste settimane pre-natalizie e che le attese nei corridoi possano arrivare anche a una settimana. Ma la situazione antecedente non doveva essere molto migliore se è bastato un aumento dal 15 al 50 per cento rispetto alla media degli accessi in queste settimane per causare queste situazioni “da guerra” nelle astanterie, tanto da far intervenire in alcuni casi, tipo a Torino, i carabinieri e la procura.
La colpa non va soltanto a un’influenza particolarmente virulenta e alla scarsa copertura vaccinale anti influenzale di quest’anno ma soprattutto ai decenni di tagli, alla congestione ancora non metabolizzata delle strutture sanitarie durante il Covid e alla strutturale debolezza dei servizi di medicina territoriale.
Grandi ospedali da migliaia di posti letto come il Policlinico Umberto I e il San Camillo di Roma o il Cardarelli di Napoli già a ottobre-novembre i pronto soccorso erano in tilt con malati sulle barelle in corridoio per giorni in attesa di uno smistamento in reparti sovraffollati e sotto organico. Viene da chiedersi cosa potrebbe succedere se si verificasse una nuova pandemia contagiosa e mortale come quella del Covid. Esistono, è vero, un piano di prevenzione nazionale 2020-2025 e un piano pandemico influenzale 2021-2023 ma al di là delle tante pagine, dei rimandi ai livelli essenziali di assistenza (i LEA, che pur essendo aggiornati nel 2017 sono ancora rimasti sulla carta), dei riferimenti a parole inglesi altisonanti, tutto è stato affidato anche questa volta solo ai vaccini, in questo caso anti influenzali.
La sanità nella manovra di bilancio continua ad essere di fatto de-finanziata: i 2 miliardi e 150 milioni di euro in più destinati al Fondo sanitario nazionale, infatti, sono un sostanziale taglio se si considera che si tratta di un incremento di soli 128 milioni, pari al 2% a fronte di un fabbisogno in aumento e considerato che quasi l’intera cifra di scarto – 1 miliardo e 400 milioni – servirà solo a coprire il caro-bollette.
E per il personale? Il ministro della Salute Orazio Schillaci ha promesso 200 milioni l’anno per remunerare con una specifica indennità gli operatori dei pronto soccorso ma solo a partire dal 2024. Nel frattempo, come hanno denunciato i sindacati Cgil e Uil con la manifestazione del 15 dicembre in piazza Santi Apostoli a Roma dal titolo “Salviamo la Sanità Pubblica”, il sistema rischia il collasso completo e gli operatori non vedono all’orizzonte norme chiare di stabilizzazione né rinnovi contrattuali effettivi.
Secondo la relazione dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio nel 2025 la spesa per finanziare il Fondo sanitario nazionale sarà inferiore a quella pre pandemica e in ogni caso al 6,1 per cento del Pil mentre secondo le valutazioni dell’OMS sotto il 6, 5 per cento del Pil si precipita in zona collasso (e infatti l’Italia è stata al 6,4 dal 2019, e lo sarà nel 2023, e ancora peggio, al 6,1 nel 2025)...