Russia-Nato: storia di un rapporto travagliato

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Foto: Unsplash.com

La condanna dell’invasione russa dell’Ucraina deve restare un punto fermo e insindacabile. Non può prescindere, però, dal tentativo di comprendere i complessi fenomeni storici e politici che hanno portato al conflitto. La teorizzazione delle categorie di buono e cattivo appare insufficiente rispetto alla complessità degli eventi, la cui comprensione ci sembra uno dei prerequisiti per impostare un dialogo di pace. Il rischio di una crociata morale è dopotutto quello di alimentare quelle stesse logiche di potenza che hanno portato al conflitto. Si è parlato molto del ruolo avuto dalla NATO e del cosiddetto ‘espansionismo ad Est’. Al netto di analisi di parte e inaccettabili giustificazionismi filo-russi, sembra necessario comprendere l’evolversi delle relazioni tra Russia e Occidente negli ultimi trenta anni e comprendere le logiche che hanno mosso i reciproci comportamenti. Ce ne parla Simone Paoli, docente di Storia delle relazioni transatlantiche al Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Pisa.

Dopo il crollo dell’URSS, quali erano i rapporti tra la Russia e l’Occidente?

Dopo la dissoluzione dell’URSS, l’Occidente tentò di integrare la Federazione Russa nel sistema internazionale che emergeva dal contesto successivo alla Guerra Fredda. Ci sono varie prove di questo proposito: l’inclusione della Russia nel G7, l’inclusione nel Consiglio d’Europa, l’impegno dell’EU di assistenza tecnica con il programma TACIS, infine l’accordo di partenariato e cooperazione tra Europa e Russia. Ovviamente questa integrazione non voleva e non poteva avvenire sul piano di parità: vi era una forte subordinazione della Federazione Russa, erede di un paese a tutti gli effetti sconfitto. Era un paese in enorme difficoltà economica, sociale e politica. Era difficile considerarlo un partner alla pari.

Ci fu subito una promessa di non allargamento a Est della NATO?

Si è molto discusso se James Baker, segretario di Stato americano, fece o meno la promessa di non allargare la NATO a Est a Gorbačëv. Il dibattito storiografico è ancora aperto anche se documenti di archivio da poco desecretati sembrano oggi avvalorare quella tesi. A mio avviso non è comunque così importante: in quel frangente, in generale, l’ipotesi di allargamento veniva accompagnata da diverse rassicurazioni da parte NATO. L’Occidente non sembrava stesse minacciando direttamente Mosca. È d’altra parte evidente che quell’allargamento non fosse gradito dalla Russia. Di fatto la Federazione non aveva strumenti per opporsi, era subordinata ad interessi Occidentali, ripiegata su sé stessa, incapace di svolgere un ruolo di potenza.

La Russia accettò questo stato di subordinazione?

Già nel 1996, con la nomina di Evgenij Primakov a ministro degli Affari Esteri, a Mosca si iniziò a mettere in discussione questo rapporto, considerato troppo subordinato. Le avvisaglie, quindi, c’erano già prima che Putin, tre anni dopo, diventasse Primo Ministro. Il 1999 segna un momento importante anche per un altro motivo: la Federazione Russa, per la prima volta, si pose in netta contrapposizione contro le strategie militari dell’Occidente contestando il bombardamento NATO della Serbia, suo alleato storico. Iniziò allora una seconda fase dei rapporti, favorita da un oggettivo rafforzamento del paese che si riappropriò del controllo sulle proprie compagnie di idrocarburi e beneficiò dell’aumento del prezzo internazionale delle risorse energetiche. La Russia poté quindi tornare a giocare un ruolo forte a livello internazionale, potendo contare su una maggiore stabilità interna e una maggiore capacità di proiezione esterna.

Cosa caratterizza questa fase?

Si creò il BRIC, composto da quattro paesi a loro modo ‘revisionisti’ del sistema internazionale. La Russia cercò un ruolo più attivo anche a livello europeo, come testimoniato dall’intervento militare in Georgia, facendo capire di voler difendere le minoranze russofone sparse nello spazio post-sovietico, anche mediante l’uso della forza. 

Parallelamente si concretizzò l’allargamento a Est dell’UE e della NATO, arrivate tra il 1999 e il 2004 ai confini con la Federazione Russa. Mosca guardò con sfavore anche all’unilateralismo americano: gli interventi in Afghanistan e Iraq furono visti come azioni troppo assertive da parte degli USA. Restava, però, una volontà di dialogo: venne creato il Consiglio NATO-Russia, e vennero date rassicurazioni sull’assenza di piani per installare armi nucleari e basi militari permanenti nei nuovi membri orientali. C’era ancora la speranza di una ‘coesistenza pacifica’, ma cominciarono i primi, significativi screzi, complici anche le “rivoluzioni colorate” in vari paesi dello spazio post-sovietico...

L'intervista a Simone Paoli segue su Atlanteguerre.it

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