Riscatto

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Winston Churchill diceva che, in guerra, la verità ce la si deve tener ben stretta. E forse la prima bugia da raccontare è proprio quella originaria: non siamo in guerra, siamo in missione di pace. Detta questa, vale tutto. Vale anche mentire o non dire quel che si sa su come sono andate le cose per la liberazione di Agliana, Cupertino e Stefio, i tre italiani prigionieri della guerriglia irachena.

Ieri pero' lo scriveva il Corriere della Sera. Per riportare a casa i tre ostaggi italiani, e anche per ottenere la restituzione della salma di Fabrizio Quattrocchi, sono stati pagati denari. Niente di strano, lo si fa quasi sempre nelle vicende di rapimenti. A raccontarlo ad una giornalista del Sunday Times, uno dei rapitori. Quello che avrebbe filmato l'esecuzione di Quattrocchi. Il riscatto pagato? La somma dichiarata dalla fonte della giornalista del Sunday Times è di quattro milioni di dollari.

La fonte, anzi le fonti di PeaceReporter, parlano invece di nove milioni. Una contraddizione solo apparente. Perché secondo le nostre fonti, i nove milioni sono stati pagati in due occasioni. La prima, in Italia, con un pagamento di cinque milioni. Proprio nel periodo in cui un giornale molto legato al governo, Il Tempo di Roma raccontava per bocca del suo direttore che cinque milioni di dollari erano stati movimentati dai conti personali del Presidente del Consiglio. Se questo fosse vero, qualche cosa di male invece ci sarebbe. Come si scrive in molti siti frequentati da militari e mercenari (contractors) di molte parti del mondo, pagare un riscatto, e farlo in modo tanto istituzionale, equivarrebbe a mettere una taglia su ogni straniero presente in territorio iracheno.

Quel che c'è stato di sicuramente sbagliato, in questa vicenda, non è stato il riscatto pagato. Ma le menzogne raccontate agli italiani, e al mondo. La seconda parte del riscatto, secondo i racconti fatti a PeaceReporter, sarebbe invece stata pagata in Iraq, al momento della consegna. E non è affatto detto che un soldato debba essere a conoscenza di ambedue gli episodi.

Troppe cose rimangono da spiegare, in questa vicenda. Auguriamo ai magistrati che stanno indagando di fare un ottimo e soprattutto rapido lavoro.
Nessuno ha la verità in tasca. Ma certamente, noi abbiamo delle buone fonti. Che ci siamo procurati direttamente in Iraq, a dispetto dei mortaretti che ci scoppiavano intorno. E che hanno scelto di parlare con noi perché ci hanno guardato negli occhi, e perché hanno visto che dietro alle nostre spalle non c'erano uomini armati.

Una certezza, però, l'abbiamo. Quelli che ci hanno dato degli sciacalli, quelli che ci hanno accusato di mentire, adesso avranno una ottima ragione in più per tacere. E per leggere, probabilmente per la prima volta, le cose che abbiamo scritto sulla vicenda degli ostaggi italiani.

Maso Notarianni
(Direttore responsabile di Peacereporter)

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