Resistenza, Costituzione, speranza

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Il 25 aprile 1945 rischia di cominciare ad essere considerato una festa di vecchi reduci, un retaggio del passato. In realtà da esso e dagli avvenimenti che lo precedettero e lo seguirono nacquero le solide fondamenta della nostra Repubblica. Quei valori e il sacrificio di quelle donne e quegli uomini rischiano ora di essere annullati?

Nel gennaio del 2000 conobbi Paride Brunetti che tutti chiamavano Bruno. Passava gli ottanta e aveva due occhi che ti scrutavano e, insieme, ti tranquillizzavano. Ti guardava come dire: tranquillo, ho tutto sotto controllo. Credevo che quell’appellativo che tutti gli davano fosse un diminutivo del cognome; si tratta invece del suo nome di battaglia da partigiano. Quell’uomo infatti era stato militare di carriera, reduce di Russia, comandante partigiano della Resistenza veneta, medaglia d’argento al valor militare e uno dei pochi uomini che per la sua attività partigiana fu decorato dal generale Mark W. Clark, della 5ª Armata USA, della “Bronze Star Medal”, una prestigiosa e limitata decorazione assegnata tra gli altri a Ferruccio Parri e a Raffaele Cadorna Junior, comandante del Corpo volontari della libertà.

Nel dopoguerra, perché antifascista, la sua carriera militare venne osteggiata. Senza vendersi o perdersi d’animo si congedò, si laureò in ingegneria e lavorò fino alla pensione alla Montedison.

Quando ci incontrammo era il Presidente dell’Anpi di Saronno, paese che aveva scelto come casa e nel quale era stato per decenni consigliere comunale prima come iscritto al PCI e poi in varie liste civiche.

Mi accolse con un sorriso enorme nella sua casa, subito ci intendemmo e ben preso mi trovai nel suo studio con in mano pagine di storia: resoconti di battaglie, lettere che di fianco alla data portavano la dicitura “Fronte della liberazione”, e, meraviglia un dettagliatissimo schedario che raccoglieva tutto dei militanti della resistenza che aveva combattuto con lui.

“Pochissimi avevano idee politiche o erano entrati nella Resistenza per motivazioni politiche” mi stupiva raccontandomi “la maggior parte si unirono a noi per vendicarsi di parenti uccisi, o per essere utili. Tanta era infatti la frustrazione nel vedere il nostro esercito alla sbando, i nostri governanti in fuga, l’Italia spaccata a metà e incapace di liberarsi del giogo nazifascista. Combattemmo per la libertà e per avere ancora il coraggio di poterci definire uomini. Dovevamo fare la nostra parte.”

Parlava in modo semplice e altrettanto semplicemente mi disse cosa pensava della nostra costituzione “è la più bella del mondo perché partorita sulla sofferenza e il bicameralismo perfetto, i pesi e i contrappesi tra i vari poteri in essa specificati incarnano l’amore e il rispetto per la democrazia, come a dire: dopo venti anni in cui l’uomo solo al comando ci ha portati alla rovina, scegliamo i migliori tra noi, certi che incastonati in una cornice costituzionale complessa ma funzionale possano, davvero fare il bene dell’Italia.”

Oggi che le modifiche della Costituzione sono nuovamente all’ordine del giorno, mi tornano alla mente quelle parole e credo che se fosse ancora qui – ci ha lasciati novantacinquenne nel 2011 – piegherebbe la bocca in una smorfia, commentando l’inadeguatezza dei politici odierni. Da uomo intelligente quale era quasi certamente concorderebbe sulla necessità di sottoporre questo importante cambiamento al referendum. Non so, e non voglio nemmeno pensare cosa voterebbe, ma di certo andrebbe a votare. A noi giovani lo diceva sempre “il diritto/dovere del voto è sacro ed è costato il sangue di migliaia di persone”; non credo avrebbe mai potuto sopportare un Presidente del Consiglio che invita gli italiani a non recarsi alle urne in aprile – il referendum trivelle è una bufala - ma a farlo in ottobre – questa è la volta buona, l’Italia si gioca il suo futuro, finalmente è tornata la democrazia.

Di certo sarebbe fiero di ricordare, anche in questo 25 aprile 2016, i compagni di battaglia caduti per un domani migliore, le donne e le staffette partigiane, fiori cresciuti sulle macerie della guerra e angeli che poterono, anche grazie alla resistenza e in base alla Costituzione repubblicana, ottenere finalmente il diritto al voto. Mi manchi Bruno, ma ti ringrazio per quello che tu e i nostri nonni ci avete insegnato. E state tranquilli perché ciò per cui avete lavorato e combattuto, libertà, diritti, democrazia, lo consideriamo – anche se forse non sembra - un vero patrimonio e uno dei pochi germogli di speranza che nessuno riuscirà a portarci via. Promesso.

Fabio Pizzi

Laureato in Studi Storici e Filologico Letterari all’Università di Trento, scrive fin da piccolo per passione e, da qualche anno, anche per lavoro. Per questo si ritiene parecchio fortunato. Appassionato di storia e politica è attivo nell’associazionismo fin da giovanissimo soprattutto nelle associazioni locali e nelle Acli Trentine.  Ama il cinema, l’arte e la tecnologia, la satira, la musica, il bosco e il mare. Su tutto, sua moglie, la famiglia e i suoi veri amici. Dice e scrive quello che pensa, filtrandolo il meno possibile e prendendo spesso posizione. Questo gli ha portato in dote parecchie polemiche, qualche complimento e il rispetto di se stesso.  

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