Report dal viaggio di Don Ferdinando Colombo del VIS

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"In Burundi le sensazioni che ho potuto raccogliere sono due: la paura e l'impoverimento," esordisce Don Ferdinando Colombo, Vicepresidente del VIS (Volontariato Internazionale per lo Sviluppo), organizzazione non governativa (ong) di ispirazione salesiana. Parlando al suo rientro in Italia dopo un breve viaggio nella regione dei Grandi Laghi, il salesiano cerca di dare un quadro generale della situazione politica e sociale nella zona, partendo proprio dall'insicurezza riscontrata nel piccolo paese africano - nonostante i recenti accordi di pace fra il governo del Presidente Domitien Ndayizeye e il principale gruppo ribelle, dopo 10 anni di guerra civile - e dalle sue ripercussioni sulla ripresa della normalità.
"A Bujumbura si spara tutte le notti; dal primo piano della casa dei salesiani, si vedono i traccianti delle pallottole, ma senza sapere da dove vengono o chi spara," dice Don Colombo. "Queste violenze notturne espongono tutti ad una situazione di incertezza, che porta alla paralisi delle attività. La paura impedisce alle persone quel tipo di intraprendenza che permette loro di risollevarsi. Si accontentano del minimo." Durante il suo breve soggiorno in Burundi, Don Colombo è stato testimone di uno scenario piuttosto desolante: infrastrutture economiche e sociali distrutte, sistema scolastico paralizzato (391 scuole distrutte, libri scolastici andati perduti, insegnanti uccisi o rifugiati in altri paesi, 77mila bambini obbligati ad abbandonare gli studi o a non cominciarli, tasso di analfabetismo al 65 per cento) mentre rifugiati rientrati e giovani emigranti dalle campagne affollano i quartieri periferici di Bujumbura nella difficile ricerca di un alloggio e di un lavoro.
"La disoccupazione dilagante rappresenta un altro grave problema che minaccia la stabilità sociale e lo sviluppo futuro del Burundi,". Don Colombo ha voluto rilevare anche il grande numero di bambini e ragazzi a rischio, soprattutto nella periferia di Bujumbura: bambini-soldato, ragazzi di strada, orfani di guerra e di AIDS (quest'ultimi stimati intorno ai 90mila), minori capofamiglia o non accompagnati, anche per causa della disgregazione familiare dovuta al processo di 'urbanizzazione' in corso.

A soli 150 chilometri di distanza da Bujumbura, nella capitale del vicino Rwanda si presenta una situazione molto diversa. A Kigali Don Colombo dice di avere riscontrato "uno Stato organizzato": strade asfaltate, banche che funzionano, documenti in regola e molti agenti di polizia per strada. Tuttavia, il salesiano mette in evidenza un paradosso: se da un lato si vedono dei progressi, dall'altro la povertà è in aumento. "I miglioramenti sembrano essere a favore di una classe soltanto," osserva il salesiano. Nel decimo anniversario del genocidio, in cui furono uccisi centinaia di migliaia di ruandesi, Don Colombo ricorda che nelle carceri ruandesi sono ancora in attesa di giudizio circa centomila civili sospettati di aver giocato un ruolo attivo nei massacri.

Infine nella confinante Repubblica Democratica del Congo, Don Colombo ha riscontrato un lento ritorno verso la normalità, grazie soprattutto all'insediamento a Kinshasa del nuovo governo di transizione previsto dagli accordi di pace con cui si è messo fine ad uno dei più terribili conflitti africani. "A differenza degli anni passati, una volta arrivato a Goma (nell'est del Paese) il visto mi è stato rilasciato non dalle autorità locali, ma dal governo centrale. Non è poco.". Il salesiano racconta anche come a distanza di due anni dal risveglio del vulcano Nyiragongo nel 2002 - la cui eruzione investì gran parte di Goma provocando numerosi sfollati - sulla distesa di lava siano state costruite migliaia di case nuove, fatte di legno e di materiali di fortuna.

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