Predazioni e coesistenza, quali soluzioni?

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Foto: A. Molinari

Qual è l’impatto dei grandi carnivori sulle attività zootecniche in Trentino? Quali sono le sfide e le strategie di prevenzione maggiormente utilizzate sul territorio? Sappiamo bene che il periodo non è dei migliori per discutere di questi temi con animi sereni e aperti al confronto: la campagna elettorale incombe, l’isteria dilaga, lupi e orsi sono nel mirino e si prestano come perfetti capri espiatori di tutte le frustrazioni umane.

Ci sono però, e per fortuna, realtà che scelgono di affrontare questo delicato tema con rigore scientifico e apertura a nuove soluzioni possibili, consapevoli che la convivenza non è un’opzione, ma una necessità. Una di queste è il MUSE – Museo delle Scienze di Trento con il coordinamento del progetto di ricerca “Lupus in stabula: analisi delle dinamiche di predazione da lupo sul bestiame domestico in Trentino”, finanziato dalla Fondazione Cassa Rurale di Trento e svolto in collaborazione con il Servizio Faunistico – Settore Grandi Carnivori della Provincia Autonoma di Trento. Lo scopo del progetto è di indagare con approccio scientifico le situazioni e i contesti in cui si sono verificate le predazioni sul bestiame da parte del lupo nel territorio provinciale e approfondirne diversi aspetti: l’andamento negli anni, la distribuzione spaziale, il rapporto con le misure di prevenzione e i fattori gestionali che possono aumentare il rischio di predazione. Primo prodotto del progetto è una relazione tecnico-scientifica a cui faranno seguito ulteriori approfondimenti.

Non si tratta però dell’unico esempio: a soluzioni possibili e praticabili punta anche il progetto “LIFEstockProtect”, che offre webinar, escursioni, giornate pratiche, corsi di formazione e conferenze nelle aree di progetto, con eventi aperti a chiunque sia interessato alla protezione della mandria, con o senza conoscenze pregresse. Uno dei partecipanti, in quanto titolare di azienda agricola con esperienza nella protezione delle mandrie e delle greggi, è Ivan Zanoni, gestore di malga Tuena nella regione del Brenta, dove i grandi predatori sono sempre stati presenti. Qui sopravviveva una piccola popolazione di orsi prima ancora che, con il progetto “LIFEUrsus” iniziato nel 1996, ne fossero reintrodotti poco meno di una decina e poi crescessero fino alla consistenza attualeA malga Tuena dunque si è sempre dovuto fare i conti con la protezione del bestiame: qui si allevano capre da latte, protette da cani da guardiania integrati nelle dinamiche e nelle esigenze di un’azienda agricola che accoglie turisti, escursionisti e che propone anche attività didattiche con le scuole. Un’esperienza recentemente condivisa in un convegno in quota, che ha ospitato un dialogo costruttivo tra allevatori, forestali e rappresentanti delle istituzioni prendendo a esempio una realtà che si estende su 220 ettari, di cui 110 utili per il pascolo protetto da reti elettrificate, recinzioni multifilo e pastori maremmani abruzzesi, cani per cui una selezione genetica accorta e una presenza umana autoritaria ma non autorevole giocano un ruolo fondamentale nell’avere animali equilibrati e molto preziosi per la difesa del bestiame. 

Si tratta di percorsi accompagnati anche da volontari, come quelli formati dal progetto Pasturs, che tramite la Cooperativa Sociale Eliante ha iniziato a lavorare 7 anni fa in Lombardia con gli allevatori delle Orobie nella prevenzione danni da grandi predatori per poi diventare nel tempo un network di progetti avviati in tutta Italia e nei paesi dell’arco alpino, anche grazie al progetto LIFEstockProtect.

Ma perché questo sforzo collettivo per la convivenza con i grandi carnivori? I motivi sono molti, sia etici che ecologici: in particolare su questo secondo ambito i grandi predatori, mentre contribuiscono al controllo del numero delle prede selvatiche, creano hotspot fondamentali per le funzioni ecosistemiche: carcasse e altri materiali biologici, ad esempio, concorrono alla fertilizzazione del suolo per piante autoctone, che attirano a loro volta altre forme di vita, com’è accaduto per esempio negli Stati Uniti dove i lupi, predando i castori, pur non riducendone la popolazione in maniera significativa, hanno impedito che questi trasformassero le foreste in zone umide e hanno favorito la presenza di forme vegetali totalmente diverse da quelle delle aree circostanti.

Le predazioni sono parte di un sistema sano e funzionante. Certo, la coesistenza con le attività umane non è semplice né immediata, ma resta l’unica opzione possibile e sensata da considerare, soprattutto alla luce di esperienze virtuose che ne dimostrano l’utilità e la realizzabilità.

Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.

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