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Perchè l’Italia importa bombe a grappolo da Singapore?
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Foto: Unsplash.com
Perché l’Italia importa, nonostante i divieti, 15mila cluster bombs (bombe a grappolo) da Singapore? E chi è l’utilizzatore finale di un consistente lotto di mitragliatrici e pistole, tra cui alcune inefficienti, esportate a Malta? E, soprattutto, quale ruolo sta svolgendo nel commercio di armamenti l’Agenzia Industrie Difesa, ente di diritto pubblico che agisce per conto del Ministero della Difesa? Sono queste le tre domande principali che emergono dalla ricerca diffusa ieri dall’Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e Politiche di Sicurezza e Difesa (OPAL) di Brescia.
L’Agenzia Industrie Difesa
Lo studio dal titolo “L’Agenzia Industrie Difesa e le operazioni di importazione ed esportazione di armamenti” [qui in .pdf] (collana “Studi e Ricerche”, n. 2), a firma di Carlo Tombola e Giorgio Beretta, rispettivamente coordinatore scientifico e analista dell’Osservatorio OPAL, pone una specifica attenzione all’attività dello Stato italiano come attore nel mercato degli armamenti e in particolare riguardo alle operazioni dell’Agenzia Industrie Difesa (AID), ente di diritto pubblico che agisce per conto del Ministero della Difesa sia per importare materiale militare per le necessità delle FF.AA. e degli stabilimenti militari nazionali, che per esportare materiale, spesso considerato obsoleto.
«L’Agenzia Industrie Difesa (AID) – spiega Carlo Tombola – è attiva dal 2014, svolgendo nei primi anni soprattutto un’attività di vendita dei “surplus” di armamenti pesanti e di munizionamento, mentre nel 2018 e 2019 mostra un forte incremento dell’attività di importazione. Tra i paesi da cui AID sta maggiormente importando materiale militare risultano Singapore e Taiwan, paesi che non hanno aderito né alla “Convenzione di Ottawa per la messa al bando delle mine antipersona”, né alla “Convenzione di Oslo contro le bombe a grappolo” e tanto meno al “Trattato internazionale sulle armi convenzionali”. L’Italia, acquistando materiali da questi paesi, rischia così di rafforzarne l’economia militare e favorire il mercato “grigio”, semilegale delle armi bandite dalla comunità internazionale» – conclude Tombola.
Le operazioni di esportazione dell’AID
Nel quinquennio 2014-2019 Agenzia Industrie Difesa (AID) ha svolto operazioni sia di importazione che di esportazione, con netta prevalenza di queste ultime in termini di valore: si tratta di circa 27 milioni di euro di autorizzazioni all’esportazione a fronte di 9 milioni per importazioni, di cui la metà delle importazioni è relativa al solo ultimo anno, il 2019. “Tra 2018 e 2019 si è notata, di fatto, una più evidente tendenza al pareggio tra autorizzazioni in entrata e in uscita, con un saldo passato da +1.350.829,89 euro (2018) a +52.162,16 euro (2019)” - si legge nello studio di OPAL.
L’Agenzia ha venduto soprattutto armamenti considerati obsoleti, tra cui 207 semoventi d’artiglieria al Belgio; circa 7 milioni di pezzi per Leopard 1A5 nel 2018 alla Grecia per 1,8 milioni di euro, 17 milioni di pezzi per carri M-113 e semoventi M109L nel 2015 al Pakistan per 2,8 milioni di euro.
Ma, come detto, solleva più di un interrogativo l’esportazione a Malta, autorizzata nel 2017 di un ampio lotto di “armi leggere” tra cui figurano 6 mitragliatrici Browning 12.7, 9 mitragliatrici coassiali 42/59, 27 pistole Beretta 92SL, una mitragliatrice coassiale 42/59 inefficiente e 16 pistole Beretta 92SL inefficienti.
I ricercatori di OPAL evidenziano che «Malta non offre sufficienti garanzie di trasparenza nel caso di rivendita di armi di questo tipo». «Le autorità di Malta, infatti, dal 2013 non comunicano – come dovrebbero – i dati sulle esportazioni di armamenti ai competenti organi dell’Unione Europea. Si tratta di informazioni richieste ai sensi della Posizione Comune 2008/944/PESC del Consiglio, che ha definito a livello europeo “Norme Comuni per il controllo delle esportazioni di tecnologia e attrezzature militari”. Non va inoltre dimenticato che Malta è stata al centro di diversi casi di traffici illeciti di armi» - si legge nella ricerca di OPAL.
L’Italia importa bombe a grappolo
Negli anni 2018 e 2019, AID ha ottenuto autorizzazioni per importare da Singapore oltre 7,5 milioni di euro di materiale, in gran parte componenti di granate 40×53 con esplosivo ad alto potenziale. Ma soprattutto AID ha importato da Singapore, per circa 596.000 euro, 12.476 pezzi per “munizionamento 155mm ICM W/HB (Hollow Base)” e 2.665 pezzi per “munizionamento 155mm ICM W/BBU (Base Bleed)”. «La sigla “ICM” – spiegano gli analisti di OPAL – significa Improved Conventional Munition (‘Munizioni convenzionali migliorate’), in due pezzi (la ‘base cava’ e la ‘base viva’), cioè per proiettili da obice “a grappolo”, altrimenti chiamati cluster bombs. In proposito va ricordato che l’Italia ha firmato la Convenzione di Oslo che vieta le bombe a grappolo nel 2008 – cioè prima ancora della sua entrata in vigore giusto dieci anni fa, il 1° agosto 2010 –, l’ha poi ratificata nel 2011, con piena efficacia dal marzo 2012 e prevedendo sanzioni penali in caso di violazione. Le cluster bombs erano e in parte sono ancora utilizzate per diffondere su larghe superfici le cosiddette “sub-munizioni” (bomblets), con effetti indiscriminati identici a quelli causati dalle mine antipersona anch’esse soggette a un bando internazionale, la Convenzione di Ottawa del 1997, firmata dall’Italia nel 1997 e ratificata nel 1999.
Unica deroga a questi divieti rimane quella dell’art. 5.1, legge n. 374 del 1997, che prevede la distruzione delle scorte nazionali di mine antipersona, tranne «una quantità limitata e comunque non superiore alle diecimila unità e rinnovabile tramite importazione (…) destinata esclusivamente all’addestramento in operazioni di sminamento». «Le quantità di cluster bombs che Agenzia Industrie Difesa ha importato da Singapore (paese che non aderisce né alla Convenzione di Oslo né a quella di Ottawa) – si legge nel rapporto di OPAL – non sono per tipologia tra quelle espressamente vietate, tuttavia rimane da chiarire la finalità specifica di questa importazione».
L’Italia anello debole
Secondo Francesco Vignarca, coordinatore di Rete Italiana per il Disarmo, «l’analisi dei casi e dei dati riportati nella ricerca di OPAL dimostra ancora una volta il pericolo che il nostro paese diventi un percorso facilitato per export di armamenti non controllati e problematici. Casi recenti di autorizzazioni e licenze dimostrano la fragilità dell’applicazione delle norme, i cui principi invece sono chiari e di alto standard. E dunque è fondamentale che il Parlamento continui a occuparsi approfonditamente della questione e richieda un esame dettagliato di tutte le operazioni di esportazione di qualsiasi natura». «Non è accettabile – conclude Vignarca – che possano esistere buchi nei controlli o norme che facciano diventare l’Italia un ponte per esportazione di materiali militari in zone del mondo in cui sono presenti conflitti o violazioni dei diritti umani».
Nel trentesimo anniversario della legge n. 185 del 1990 – che ha introdotto in Italia “Nuove norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento” – l’invito al Parlamento a svolgere il suo ruolo di controllo sulle attività dell’esecutivo ed in particolare sulle operazioni di import-export autorizzate dall’Autorità nazionale UAMA (Unità per le Autorizzazioni dei Materiali di Armamento) incardinata presso il Ministero degli Esteri è quanto mai attuale.
Giorgio Beretta
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