«Per ripensare l'Europa abbiamo bisogno del Mediterraneo»

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Foto: Unsplash.com

Abbiamo vissuto la fase di un'Europa a trazione culturale ed economica franco-tedesca. Ora è il momento di pensarla in sinergia con un'Europa mediterranea: accogliente, aperta, interconnessa. Senza muri. Ma anche lontana dagli stereotipi

Per praticare accoglienza «è decisivo elaborare un concetto di identità aperto, mobile, in cui l’interrogativo prevale sulla risposta, l’essere sul fare». Lo spazio di questa elaborazione, spiega l’antropologo Vito Teti, professore all'Università della Calabria che abbiamo intervistato, non può che essere quello del Mediterraneo. Capiamo insieme perché.

Abbiamo spesso parlato di Europa declinandola in senso "franco-tedesco": frugalità, rigore, a volte durezza. Esiste un'altro modo di mettere in gioco una cultura europea, stavolta improntata su uno sguardo mediterraneo?

La prima considerazione che mi viene da fare è che non esiste un Mediterraneo, ma tanti Mediterranei. Le differenze tra riva Nord e riva Sud del Mediterraneo sono state spesso occultate per ragioni ideologiche e politiche. E infatti sono devastanti le posizioni prese nei confronti di Paesi mediterranei della sponda Sud del Mediterraneo, non europei, trasformati, anche per soggezione agli USA, in luoghi di conflitti perenni, di guerre interminabili, di dittature feroci, che potrebbero generare un conflitto mondiale e anche atomico. Sia Fernand Braudel che Predrag Matvejevic’ notavano, con argomenti diversi, quanto fosse difficile stabilire dei confini geografici e antropologici. Certo nemmeno dal punto di vista geografico il Mediterraneo può essere separato, con confini netti, dall’Europa. Le scelte dure, economiciste, efficientiste sono dovute essenzialmente agli interessi economici dell’Europa continentale, “franco-tedesca”, che ha avuto spesso un atteggiamento coloniale nei confronti dei Paesi mediterranei, considerati quasi luoghi ad essa esterni ed estranei. Basti pensare a come è stata trattata e umiliata quelle Grecia, il cui pensiero ispira e alimenta ancora la nostra civiltà. La marginalizzazione del Mediterraneo è stata una invenzione abbastanza recente. Si pensi, infatti, a quello che la Grecia nell’Ottocento aveva rappresentato per gli intellettuali europei, pronti a morire e a combattere per la sua libertà, e basti pensare ai protagonisti inglesi, tedeschi, francesi del Grand Tour che venivano al Sud per trovare resti, reperti, sopravvivenze di un'antica civiltà di cui si sentivano eredi e a cui facevano riferimento. La stessa filosofia tedesca si riconosceva come erede della filosofia greca e magno-greca.

La domanda che lei opportunamente pone in questo caso mi pare colga il problema di quanto le immagini e le rappresentazioni del Mediterraneo non giochino anche un ruolo decisivo per l’affermarsi di questa Europa dura e miope e di come gli stessi abitanti del Mediterraneo siano in qualche modo vittime, ma anche complici, a volte responsabili nell’alimentare immagini che non corrispondono alla realtà. La declinazione in senso franco-tedesco dell’Europa è avvenuta soprattutto attraverso una sorta di cancellazione e rimozione del Mediterraneo. Un atteggiamento di superiorità che ricorda quello dell’Italia Settentrionale rispetto al Sud Italia. E se ci fosse spazio, sarebbe istruttivo ripensare quanto sia stato influente il pensiero dei commercianti, dei banchieri e degli uomini di affare dei Paesi dell’Europa del Nord per creare, in epoca moderna, l’immagine dei meridionali sporchi, apatici, poco inclini a una presunta modernità. E, del resto, la stessa antropologia positivista italiana, dalle tinte razziste (si pensi a Giuseppe Sergi, Cesare Lombroso, Alfredo Niceforo), animatamente e fondatamente contrastata dai grandi meridionalisti (Colajanni, Nitti, Salvemini, Gramsci) ha costruito la distinzione, anche razziali, tra Arii o Celti e Latini o Mediterranei: i primi intraprendenti, bene organizzati, dinamici, moderni, mentre i secondi si presentavano come “sudici”, superstiziosi, criminali. L’invenzione di un’alterità interna che ancora oggi agisce in tanti abitanti e in molte élite del Nord, sempre pronti a tutelare i loro interessi. Negli ultimi decenni poi gli immigrati, mediterranei della riva Sud, del Medioriente, africani, asiatici hanno preso, in parte, il posto degli abitanti del Sud e dei Paesi mediterranei come Italia, Grecia, Spagna. E su questa operazione identitaria razzista si è giocata prima la fortuna di una Lega Padana, poi quella di una Lega nazionale, italiana, alla costruzione delle quali ha partecipato sempre Matteo Salvini, prima giovanissimo seguace di Bossi, poi abile fondatore del Papete nazionale, che è riuscito a mobilitare quei meridionali, prima denigrati, insultati, maledetti, in atteggiamenti antiimmigrati, con il protesto della difesa dei loro interessi (un argomento sensibile in periodo di crisi, di perdita di posti di lavoro, di impoverimento dei ceti popolari e medi di tutta Italia)...

L'articolo di Marco Dati segue su Vita.it

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