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Per non dimenticare Tienanmen
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Parigi, 4 giugno 2004 - Di Wei Jingsheng, 54 anni, colpisce subito il grande sorriso. Non si direbbe che ha vissuto sulla propria pelle i capitoli più bui dell'ultimo mezzo secolo cinese.
A soli 16 anni, in piena Rivoluzione Culturale, è tra i fondatori del primo movimento democratico e finisce in campagna per un corso di "rieducazione". Qui scopre la povertà estrema delle zone rurali e gli orrori causati dal regime. Dieci anni più tardi affigge a Pechino, sul cosiddetto "Muro della democrazia", dei pannelli che contestano il governo, e nel '78 pubblica una rivista di opposizione, "Esplorazioni". E' la fine della sua vita da uomo libero.
I 18 anni dal '79 al '97 li passa in carcere e sopravvive solo grazie a un'incredibile forza d'animo: "Le guardie mi dicevano che ero pazzo perché riuscivo a stare sereno e a non pensare troppo alla mia situazione. Solo in questo modo potevo salvarmi". Così è stato. Oggi vive in esilio negli Stati Uniti da dove continua a lottare per la democrazia.
Da ragazzo rischiò la vita per i suoi nobili ideali e molti anni più tardi, nel quindicesimo anniversario del massacro di piazza Tienanmen (4 giugno 1989), coglie l'occasione per lanciare ai giovani di oggi un messaggio: "Studiate la storia e addossatevi la responsabilità di cambiare il mondo. Solo così non vi perderete".
"Proprio i giovani - dice Wei - sono le principali vittime della repressione cinese. La cosa più grave della Rivoluzione Culturale è che usava i giovani cinesi per i suoi scopi e in seguito 'li gettava dietro di sè'. Ricordo la 'signora Mao', come veniva chiamata la moglie di Zedong. Era una donna terribile. Disse di essere vicina ai giovani, ma una settimana dopo inviò la polizia ad arrestare alcuni ragazzi. Le forze dell'ordine li misero in prigione e in seguito li inviarono nei campi di lavoro.
Tutto quello che riguardava Mao era una menzogna. Il 4 giugno dell'89 a piazza Tienanmen fu come rivedere gli episodi della Rivoluzione Culturale. I giovani non devono farsi usare dalla politica".
Wei guarda con rammarico alla gioventù cinese di oggi: "Purtroppo questi ragazzi non sanno nulla della nostra storia. Avrebbero delle potenzialità perchè sono intelligenti e pieni di voglia di fare, ma non hanno la consapevolezza. Non sanno, cioè, come sono arrivati fin qui, attraverso diverse generazioni, e come si sono perduti. A loro vorrei consigliare di studiare la storia, per crearsi una coscienza e capire il presente, cosa hanno lasciato e cosa hanno guadagnato".
Wei è stato tra i fondatori del movimento democratico cinese quando aveva solo 16 anni. Se gli chiediamo come ha trovato a quell'età il coraggio di ribellarsi e di rischiare la vita, risponde con ironia: "Non so. Forse 'Dio' mi ha scelto!". In realtà il segreto delle grandi azioni di quest'uomo, come rivela lui stesso subito dopo, è nell'avere al contempo "un senso di leggerezza e di responsabilità."
"Sono sopravvissuto a 18 anni di prigione cercando di restare leggero, ovvero di fare in modo che la mia anima non si appesantisse", spiega. "Se quando hai paura fai continuamente autocritica e pensi ogni giorno a come salvarti, la vita si complica. I poliziotti più anziani della prigione mi dicevano che ero strano - aggiunge con un sorriso - mi chiedevano perché in quelle condizioni apparivo comunque contento. E mi dicevano che loro si sentivano 'appesantiti' nell'anima. Il segreto sta nell'essere coscienti e nell'accontentarsi di aver agito bene, di aver fatto del proprio meglio". "Quando sei giovane - continua - hai una responsabilità verso la società. Se una cosa ti piomba sulle spalle, la devi sostenere. Altrimenti perdi l'occasione di migliorare la tua vita e quella della società e sei perduto. Questo vale per i giovani di tutto il mondo".
Secondo Wei, si deve agire in questo modo anche a rischio di perdere tutto quello che si ha, "di vivere in esilio, nel dolore e in un mondo sconosciuto. E pensando ogni giorno al proprio Paese".
di Francesca Lancini da Peacereporter