www.unimondo.org/Notizie/Parole-e-politiche-senza-umanita.-Un-carico-residuale-233898
Parole e politiche senza umanità. Un carico residuale?
Notizie
Stampa

Foto: Yucar studios da Unsplash.com
Si dice che le parole plasmano il mondo. Non sempre in meglio. Specie se sono parole infarcite di menzogna, di tornaconto, usate per scavare fossati e tenere a distanza i morsi della coscienza.
A chi verrebbe in mente di definire degli esseri umani «carico residuale»? Ci vorrebbe un Primo Levi per farsi spiegare cos’è un «carico residuale» fatto di carne umana, di anime ferite, di sguardi spersi, di famiglie separate: mamme e figli a terra, papà da rispedire ai mittenti da cui scappano. «Le parole erano originariamente incantesimi, e la parola ha conservato ancora oggi molto del suo antico potere magico. Con le parole un uomo può renderne felice un altro o spingerlo alla disperazione». Chissà se i nuovi governanti e legislatori hanno mai letto Freud. O hanno ascoltato almeno un po’ papa Francesco, che a certe parole ha restituito il peso che fingiamo di non sentire più: «La cultura dello scarto, che colpisce tanto gli esseri umani esclusi quanto le cose che si trasformano velocemente in spazzatura».
È «il carico residuale», in fondo non è che un altro nome dato agli «scartati». La neolingua orwelliana si arricchisce così di nuove allocuzioni. Con l’obiettivo non dichiarato di confondere la realtà rimescolando proprio le parole e il loro senso. Ma le parole sono anche rivelatrici. Diversi decenni dopo, quando ancora una volta in Europa risuonano le sirene antiaeree e il disprezzo dell’altro è di nuovo elevato ad arma di guerra con cui giustificare i colpi di fucile e le peggiori depravazioni, in quel Mediterraneo culla delle civiltà da chissà quale abisso vengono a galla editti ministeriali che sembrano vergati da doganieri addetti allo smistamento di qualche mercanzia.
Intervistato da Rtl 102.5 , Matteo Salvini ha detto: « Bisogna stroncare il traffico non solo di esseri umani, ma anche di armi e droga». Esattamente ciò che “Avvenire” denuncia da anni, con nomi, cognomi, rivelando connessioni internazionali, legami che vanno dalla politica libica a quei faccendieri maltesi con un pied-à-terre nei palazzi del potere e coinvolti nell’omicidio di Daphne Caruana Galizia, fino ai mammasantissima della mafia siciliana. Prove passate al vaglio della magistratura nazionale e internazionale. Quel “Libyagate” che continua ad essere alimentato dalla “trattativa” tra Roma e Tripoli, sfociata nel memorandum d’intesa varato nel 2017 e confermato per due volte dai nostri governi...
L'articolo di Nello Scavo segue su Avvenire.it
Il braccio di ferro. Ma l'accoglienza dei naufraghi non può e non deve essere negata
Le cronache degli ultimi giorni portano a pensare che l’avvio del governo Meloni abbia determinato un deciso cambio di passo nei rapporti tra le istituzioni italiane e le Ong impegnate in attività di ricerca e soccorso in mare. Il 4 novembre, infatti, il ministro dell’Interno in carica ha emanato un decreto che vieta lo stazionamento in acque territoriali alle navi Humanity 1 e Geo Barents, autorizzate ad attraccare nel porto di Catania al solo fine di far sbarcare le persone considerate bisognose di cure mediche e ora obbligate a tornare in acque internazionali. Era dal primo governo Conte che non si ve-devano questi provvedimenti, all’epoca basati sul cosiddetto “decreto sicurezza-bis”, fortemente voluto dall’allora ministro dell’Interno Salvini. Non bisogna tuttavia dimenticare che la base legale sulla quale si fondano gli odierni divieti di ingresso è rappresentata da una disciplina introdotta dal governo Conte 2 (il decreto legge 130/2020), che con una mano ha abrogato il decreto sicurezza- bis, proclamando il superamento di quella controversa stagione, e con l’altra ne ha introdotta una nuova versione, a ben vedere non così diversa.
Le principali novità sono rappresentate dal fatto che la legge in vigore consente di vietare soltanto il transito e lo stazionamento (non anche, come la versione precedente, l’ingresso); che i motivi del divieto sono rappresentati soltanto da ragioni di ordine e sicurezza pubblica (non anche il mero contrasto dell’immigrazione irregolare, ma le attuali vicende dimostrano quanto i concetti di «ordine e sicurezza pubblica» siano evanescenti e malleabili); che per i trasgressori non sono più previste sanzioni amministrative pecuniarie, bensì sanzioni penali (inclusa la reclusione fino a due anni). Quest’ultima novità, se per un verso risulta certamente preoccupante (in quanto approfondisce, anche solo simbolicamente, il processo di criminalizzazione delle Ong), per altro verso presenta il vantaggio di spostare la competenza per l’applicazione delle sanzioni dall’autorità amministrativa all’autorità giudiziaria penale, dunque a un decisore indipendente il cui riferimento giurisprudenziale resta, ancora oggi, la sentenza della Cassazione relativa al caso di Carola Rackete.
Vale la pena ricordare che alla comandante tedesca era stato indirizzato, nell’estate 2019, un divieto di ingresso fondato sul decreto sicurezza-bis; divieto che, a fronte dell’insostenibilità della situazione venutasi a creare a bordo, la comandante aveva deciso di violare, entrando forzosamente nel porto di Lampedusa...