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Pandemia, guerra e capri espiatori
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Foto: Unsplash.com
“La folla, per definizione, cerca l’azione, ma non può agire sulle cause naturali. Cerca dunque una causa accessibile che sazi la sua brama di violenza. I membri della folla sono sempre dei persecutori in potenza, perché sognano di purgare la comunità dagli elementi impuri che la corrompono, dai traditori che la insidiano” [René Girard, Il capro espiatorio]. Alle dieci ragioni che elencavo nell’aprile del 2020 (riprese e sviluppate nel libro Disarmare il virus della violenza. Annotazioni per una fuoriuscita nonviolnta dell’epoca delle pandemie, edizioni GoWare) per le quali ritenevo sbagliata l’adozione politica e mediatica del paradigma bellico per interpretare e narrare la pandemia di covid-19 come “guerra al virus”, allora iniziata da poco, oggi ancora in corso con la “quarta ondata” – che nel frattempo ha anche generato la gestione militare della campagna vaccinale – è necessario oggi aggiungere esplicitamente a quegli “effetti collaterali” uno ulteriore, che era contenuto in quell’articolo solo in forma implicita: ossia la ricerca ossessiva del capro espiatorio, per dare in pasto alla folla “il colpevole” della sofferenza diffusa, dalla quale dopo due anni non riusciamo ancora a guarire.
È quanto accaduto, per esempio, durante la conferenza stampa del presidente del consiglio Draghi del 10 gennaio scorso che ha additato alla “folla” il preciso capro espiatorio responsabile della situazione: “Gran parte dei problemi che abbiamo oggi dipende dal fatto che ci sono delle persone non vaccinate”. Si tratta di una semplificazione insostenibile da parte di chi ha la responsabilità e l’onere del governo complesso del paese, rispetto a cause profonde che vengono da lontano. Lo spiega, per esempio, anche Paolo Cacciari (autore, tra l’altro, per Altreconomia di Ombre verdi. L’imbroglio del capitalismo green. Cambiare paradigma dopo la pandemia), su Comune-info:
“La metafora fuorviante della “guerra al virus” sta dando i suoi frutti avvelenati. Non sono i renitenti, i disertori, gli obiettori di coscienza e nemmeno gli “imboscati” che pregiudicano la “causa comune” complottando con il “nemico”. Piuttosto sono i generali dello stato maggiore che preferiscono indirizzare l’attenzione verso facili obiettivi di comodo piuttosto che affrontare le cause profonde della disfatta socio-sanitaria-ecologica in atto. Le pandemie da zoonosi, che diventeranno sempre più endemiche (a causa della evoluzione dei virus per adattarsi alle specie ospitanti, spillover), sono la inevitabile reazione (feedback) delle forze della natura alla vera guerra che la megamacchina termo-industriale ha lanciato alla Terra distruggendo habitat naturali, rompendo equilibri vitali millenari, liberando virus e batteri dalle loro nicchie ecologiche” (Non in mio nome, P. Cacciari).
Di fronte a questo scenario di crisi sistemica e globale, i governi italiani che si sono succeduti – oltre a cincischiare sulla conversione ecologica dell’economia, tanto sul piano nazionale che su quello internazionale –hanno pensato bene di operare tagli drastici agli investimenti sulla sanità pubblica, operandone un vero e prorio “definanziamento” del quale anche il Rapporto dell’autorevole Fondazione GIMBE ci aveva ampiamente avvisati nel luglio del 2019 – ossia pochi mesi prima di essere investiti in pieno dall’epidemia – per il decennio 2010-2019: “Il finanziamento pubblico è stato decurtato di oltre € 37 miliardi, di cui circa 25 miliardi nel 2010-2015 per tagli conseguenti a varie manovre finanziarie ed oltre 12 miliardi nel 2015-2019, quando alla Sanità sono state destinate meno risorse di quelle programmate per esigenze di finanza pubblica. (…) I dati OCSE aggiornati al luglio 2019 dimostrano che l’Italia si attesta sotto la media sia per la spesa sanitaria totale (3.428 dollari contro 3.980), sia per quella pubblica (2.545 contro 3.038), precedendo solo i Paesi dell’Europa orientale oltre a Spagna, Portogallo e Grecia”. Ciò ha significato, come declina “dato per dato” Altreconomia (1 settembre 2021), che “in dieci anni sono stati chiusi 173 ospedali e 837 strutture di assistenza specialistica ambulatoriale. Inoltre ci sono 276 strutture di assistenza territoriale pubbliche in meno e il personale dipendente del Ssn è diminuito di 42.380 unità.”...