Orgoglio per la nuova Tunisia: il vice-presidente Mourou a Trento

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Abdel Fattah Mourou si presenta all’incontro con istituzioni, giornalisti e pubblico curioso indossando l’abito e il copricapo tradizionali tunisini. Come di consueto. Non è altrettanto ordinario che il numero due del Parlamento tunisino nonché co-fondatore e vice-presidente anche di Ennahda, il partito al governo di ispirazione islamica, avvocato più volte incarcerato sotto la dittatura di Ben Ali, si trovi in Italia a parlare del nuovo corso politico della Tunisia, quello avviato dopo la rivoluzione dei Gelsomini del 2011. Invitato dal Forum trentino per la pace e i diritti umani di Trento, Mourou non ha lesinato interviste e incontri pubblici facendo costantemente riferimento a due parole d’ordine per una rinnovata Tunisia: democrazia e sviluppo.

A guidare i suoi interventi è l’orgoglio di poter presentare i primi frutti di una difficile transizione della Tunisia verso la democrazia che ha trovato ad oggi espressione in una costituzione moderna, in un parlamento e in un presidente democraticamente eletti (Beji Caid Essebsi, 90 anni tondi alla fine del novembre prossimo), e anche nell’aver collezionato nel 2015 un Premio Nobel per la Pace, assegnato al “Quartetto per il dialogo nazionale tunisino” composto da quattro voci della società civile: il sindacato UGTT, la Confindustria Utica, l’Ordine degli avvocati e la Lega dei diritti umani. Tutti passi che fanno ben sperare nel progressivo consolidamento della democrazia popolare e impediscono qualsivoglia forma di dittatura che faccia riferimento al vecchio regime di Ben Ali, o alla religione islamica, o di estrema sinistra, o ancora espressione di gruppi di potere economico-commerciali. Secondo Mourou si tratta peraltro dell’unica ricetta per togliere terreno al terrorismo che così violentemente ha colpito il Paese (e il fortunato settore del turismo) nel 2015 negli attacchi al Museo del Bardo e al resort di Sousse ma anche negli attentati alle guardie presidenziali a Tunisi o ai militari tunisini di stanza sul confine con l’Algeria. La forte preoccupazione per la difficoltà della battaglia non depotenzia la determinazione nel volerla vincere, eliminando quei focolai in cui il terrorismo si annida: l’ignoranza, intesa come mancanza di istruzione e facilità di manipolazione; la povertà, che impone di sanare il gap esistente tra le risorse straordinarie del Paese e l’estrema miseria di vaste fasce di popolazione; e la mentalità dittatoriale che autorizza ogni oscurantismo e repressione, da cui occorre liberarsi a favore di un potenziamento delle istituzioni democratiche e del ruolo della società civile.

La Tunisia vuole dunque diventare un modello per il Maghreb e per gli Stati che si affacciano sul Mediterraneo, se non per l’intero mondo arabo a cui Abdel Fattah Mourou non risparmia critiche per aver unito in maniera confusa l’amministrazione dello Stato alla gestione delle menti e degli animi dei cittadini dal punto di vista sacro. “La religiosità non è invece un campo di cui devono occuparsi i movimenti politici”, pur garantendo la libertà di una componente sociale religiosa di esprimere una propria visione politica accanto a quella di partiti di ispirazione laica. Proprio il partito di Mourou, Ennahda, “Movimento della Rinascita”, è espressione dell’Islam politico in una società quale quella tunisina a maggioranza musulmana, in cui risulta quindi un “obbligo democratico” assicurare tale espressione ma nella chiara distinzione tra l’autorità religiosa e quella statale.

La tenacia della difesa della democrazia va di pari passo con lo sforzo per promuovere lo sviluppo della Tunisia. La necessità di assicurare un tessuto economico sano e garante di benessere per i suoi cittadini è probabilmente la massima priorità del Paese che sta proponendosi come ponte dell’Europa verso l’Africa, o meglio la sponda sud del Mediterraneo, una operazione che potrebbe offrire una soluzione alla crisi economica europea. Se è vero, ha detto Mourou, che la Tunisia “guarda con grande attenzione all’Italia, partner ideale, anche perché nei suoi confronti non ci sono ingombranti reminiscenze di carattere coloniale”, è altrettanto vero che il pesante fardello coloniale europeo non può essere inteso come un ostacolo per la costruzione di un presente e di un futuro differente per il Paese. I misfatti del passato così come l’identità nazionale, temi che spesso ritornano nei dibattiti attuali internazionali, sono denunciati da Mourou come alibi per molti Stati per “non darsi da fare”, crogiolandosi nell’odio verso lo sfruttamento subito e talvolta rifugiandosi in un passato grandioso scomparso da troppo tempo. La stessa Tunisia non è più identificabile col mondo di Annibale e d’altra parte l’Italia degli antichi Romani non c’è più: di questo il governo italiano e quello tunisino di oggi sono ben consapevoli, così come della necessità di cooperare per consolidare da un lato la democrazia di Tunisi e dall’altro per innescare in entrambi i Paesi sviluppo e lavoro. Condizioni essenziali, peraltro, per scongiurare gli esodi migratori verso gli Stati dell’UE dalla Tunisia, di fatto ridotta negli ultimi mesi ai minimi termini, e per fare terra bruciata attorno a quanti soffiano venti di instabilità, di distruzione e di terrorismo dalla (troppo) vicina Libia. Una doppia stretta di mano è dunque possibile.

Miriam Rossi

Miriam Rossi (Viterbo, 1981). Dottoressa di ricerca in Storia delle Relazioni e delle Organizzazioni Internazionali, è esperta di diritti umani, ONU e politica internazionale. Dopo 10 anni nel mondo della ricerca e altrettanti nel settore della cooperazione internazionale (e aver imparato a fare formazione, progettazione e comunicazione), attualmente opera all'interno dell'Università degli studi di Trento per il più ampio trasferimento della conoscenza e del sapere scientifico.

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